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VIRO – Michele Abbondanza e Antonella Bertoni

Inaugura,alla Casa del Teatro Ragazzi, il Festival Interplay/25 con lo spettacolo di Antonella Bertoni e Michele Abbondanza che come sempre ci accompagnano in dimensioni che incantano per la loro simbologia.

VIRO, interpretato da due danzatori precisi nell’esecuzione e che iniziano con semplici gesti del quotidiano per poi amplificarli, sottrarli e dettagliarli sugli impulsi elettronici di Byetone, ci porta  nel mondo maschile e  in  quello virale: X e Y.

Sono due danzatori dalla chioma grigioblu, ma ci parlano di un personaggio, di un maschio femmineo che ostenta l’inessenziale.

Viro è un’identità spezzata e ferita, è l’uomo contemporaneo, la tensione erotica, la spregiudicatezza e anche un velo di ironia che delinea la sua ovvietà.

 Sul finale una voce robotica  pone delle simboliche e retoriche domande: “Ciao Y! Ciao X! Anche tu da queste parti? Chi, io? Hai voglia di farmi compagnia? Potremmo anche.. Tu non sei stanco? Non mi dire.. Chi, io? Oh, sì, tu, davvero, X”

La Bertoni spiega come i due avatar stiano aderenti alla musica elettronica che impone il proprio ritmo, creando una partitura sociologica per leggere il nostro tempo.

Un lavoro estremamente attinente alla società odierna, curato nei dettagli e che lentamente ti cattura nella sua esasperazione ,facendoti quasi empatizzare con X e Y per la loro banalità che trasuda fragilità emotiva in un gesto cosi ritmicamente preciso.

Alessandra Lai

di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
coreografia Antonella Bertoni
regia Michele Abbondanza
con Cristian Cucco e Filippo Porro
disegno luci Andrea Gentili
direzione tecnica Claudio Modugno
sound design Giacomo Plotegher
consulenza musicale Marco Dalpane
organizzazione, strategia e sviluppo Dalia Macii
amministrazione e produzione esecutiva Francesca Leonelli
comunicazione Erika Parise
ufficio stampa Marilù Ursi
produzione Compagnia Abbondanza/Bertoni

Con Il Sostegno Di Mic – Ministero Della Cultura, Provincia Autonoma Di Trento, Comune Di Rovereto, Fondazione Cassa Di Risparmio Di Trento E Rovereto
Con Il Contributo Di Cassa Rurale Vallagarina Bcc
Si Ringrazia Danio Manfredini, Nadezhda Simenova, Orlando Cainelli

Artisti vincitori del premio Danza&Danza Migliori Interpreti, premio Danza&Danza per Miglior Produzione Italiana dell’Anno 2017, Premio alla Carriera nel 2019, Premio UBU 2021 Miglior Spettacolo di Danza

STABAT MATER – LIV FERRACCHIATI

“Mamma! quanto è buono il prosciutto”

Stabat Mater (Premio Hystrio Nuove Scritture di Scena 2017) racconta la storia di un trentenne scrittore che vive al maschile in un corpo dalle sembianze femminili che cerca di liberarsi della presenza della madre ma dentro di sé non vuole.

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Il lavoro fa parte di una trilogia sull’identità scritta da Liv Ferracchiati ora edita dalla casa editrice CuePress. Una trilogia dedicata alla ricerca sull’identità di genere creata con la compagnia The Baby Walk. La trilogia (Peter Pan guarda sotto le gonne –  Stabat Mater Un Eschimese in Amazzonia) pone all’attenzione dello spettatore le storie, i sentimenti, le vite di personaggi diversi alle prese con la propria vita e la sua natura interiore ed esteriore. 

Stabat Mater è una preghiera del XIII Secolo attribuita a Jacopone da Todi.  Liv ne prende solo a prestito il nome, la figura della Madre e la tematica del dolore per trasferirla sul tempo presente. Non c’è nulla di riferimento al cristianesimo, anzi il paganesimo qui la fa da padrone.

C’è la madre seduta che assiste alle incertezze del figlio  (che fa lo scrittore) e viene ripresa da una videocamera frontale per apparire su uno schermo bianco in maniera che lo spettatore possa essere partecipe alle sue emozioni. C’è la ragazza dello scrittore, innamorata, decisa, che ha un ruolo da giocatrice del sesso. C’è la psicologa che indaga sui suoi perturbamenti e cerca di fargli confessare il complesso di Edipo, sfrutta le sue debolezze per fargli aprire le porte dell’amore. Poi c’è lui, lo scrittore che vuole avere un’anima da donna ma si sente ancora insicuro del suo essere e non riesce a finire il sue ennesimo romanzo.

In questa drammaturgia dove ognuno piace all’altra e all’altro si va con una narrazione fatta di parole forti, di parole che concretizzano l’atto sessuale (forse di troppi ok), di crisi esistenziali, di sesso implicito e di un veloce botta e riposta tra la madre e il figlio.

Le domande marzulliane della psicologa che rivolge ai due innamorati rendono la piece leggera. Il monologo del prosciutto inteso come alimento sessuale che ironizza sulle indecisioni dello scrittore nel fare sesso col la sua ragazza può essere letto come un momento di autoironia. Tra i dialoghi si sente anche una certa presenza delle battute alla Woody Allen quando girava i primi films (qui omaggiati). Introspezione, autoanalisi, indifferenza, insicurezza, vivacità nascosta, ironia sono qui come là.

Brave le attrici, essenziale la cura scenotecnica, luci frontali e amovibili, musica di sottofondo stile fado portoghese. 

Ok – anzi non ok. Forse vedere la seconda parte di una trilogia senza la prima e la terza toglie interesse per l’operazione. Lo straniamento non aiuta il coinvolgimento emotivo dello spettatore.

LUIGI RINALDI

CREDITS

Drammaturgia e Regia Liv Ferracchiati

con (in ordine alfabetico) Liv Ferracchiati, Francesca Gatto, Chiara Leoncini, Livia Rossi

Aiuto Regia Piera Mungiguerra

Scene Giuseppe Stellato

Costumi Laura Dondi

Luci Emiliano Austeri

Suono Spallarossa

Centro Teatrale Mamimò

In collaborazione con Marche Teatro, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

IO SONO INVISIBILE – COMPLESSO POLAR

“Chi sono io?” È la domanda che tutti noi ci facciamo nel corso della nostra esistenza, ed è l’interrogativo al centro di questo spettacolo che con semplicità esplora le fasi di crescita dell’individuo, dalla nascita fino alla maturità. In linea con il tratto più sperimentale del Fringe Festival, la rappresentazione è caratterizzata da un aspetto improvvisativo, dettato dall’interazione continua tra i disegni di Stefano Matteo Porro e la musica dal vivo di Matteo Boglietti e Matteo Cicolin.

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XXX – PRESENTAZIONE DEL 30ESIMO FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI

Ormai un consueto ed importante appuntamento per la scena teatrale torinese, Il Festival Delle Colline compie quest’anno il suo terzo decennio di attività, confermandosi una presenza storica e un faro per il teatro contemporaneo, grazie al quale la città di Torino ha potuto assistere a lavori di compagnie locali e internazionali, abbracciando una pletora di generi che spaziano dal teatro di prosa alla performance più sperimentale. Anche stavolta la direzione del festival collabora in stretto contatto con il TPE e la Fondazione Merz, e proprio nei locali di quest’ultima ha avuto luogo giovedì 22 maggio la presentazione del nuovo programma a cura dei direttori artistici Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla.

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IL MEDICO DEI MAIALI-DAVIDE SACCO, CON LUCA BIZZARRI E FRANCESCO MONTANARI

È sulle note di Lascia ch’io pianga del Rinaldo di Händel che si apre il sipario e ha inizio Il medico dei maiali di Davide Sacco, andato in scena a Torino dal 2 al 4 maggio al Teatro Gioiello.  Fin dalla prima scena, ogni dubbio viene risolto: partendo dall’epilogo, gli spettatori sanno che la pistola presente sul palco sparerà. La scenografia, raffinata ed essenziale, è dominata da una scritta in caratteri cubitali sul fondale: “THE KING IS DEAD”, un presagio che anticipa la trama. 

Durante l’inaugurazione di un hotel in Galles, il re d’Inghilterra muore improvvisamente. L’unico a poter constatarne ufficialmente il decesso è Alfred, un veterinario interpretato da Luca Bizzarri, che vede in questo evento l’occasione perfetta per convincere il principe erede Eddy, interpretato da Francesco Montanari,—un eterno Peter Pan che si presenta al capezzale del padre indossando una divisa nazista—a eliminare la monarchia e passare alla storia.

Tra le quattro mura di una stanza, intelligenza e stupidità si scontrano. Alfred, per quanto appaia il più lucido tra i presenti, commette un errore che si rivelerà fatale: sottovalutare il potere del dubbio. Instillarlo nella mente di uno stupido può essere pericoloso, perché potrebbe portarlo a realizzare di non esserlo affatto. Eddy, l’erede apparentemente sprovveduto, potrebbe rivelarsi tutt’altro. Il veterinario dimentica una verità fondamentale: “quanto faccia rumore una certezza che si rompe”, ovvero quanto sia impossibile prevedere le conseguenze di quando una credenza ben radicata viene messa in discussione.

In questo gioco di potere, anche i cortigiani, David Sebasti e Mauro Marino, responsabili della morte del re, perseguono il loro obiettivo: eliminare la democrazia. Il testo, che potrebbe benissimo essere la sceneggiatura di un episodio di Black Mirror, diventa così una riflessione contemporanea sulla politica e sui potenti che ci governano. Emerge però un interrogativo attuale: le rivoluzioni hanno ancora senso? 

I personaggi grotteschi che popolano questa storia, ricordano la celebre frase di Ennio Flaiano

Vogliono le rivoluzioni, ma preferiscono fare le barricate con i mobili degli altri.

Viviamo in un mondo in cui metà della ricchezza globale è concentrata nelle mani dell’1,5% della popolazione, spesso per eredità o potere monopolistico. E allora, viene spontaneo chiedersi: E se fossi stata io Alfred? 

Non avrei tentato anche io di ribaltare il sistema? Non avrei cercato di sovvertire un ordine ingiusto e non meritocratico, dove alcuni ottengono tutto senza sforzo, mentre altri, per colpa di chi li governa, non avranno mai nulla, nonostante ogni sacrificio? 

Io ho scelto da che parte stare. Ora tocca a te.

Sofia De March

Testo e Regia: Davide Sacco  

Aiuto regia: Claudia Grassi

Protagonisti: Luca Bizzarri e Francesco Montanari

Attori: David Sebasti e Mauro Marino

Scene: Luigi Sacco

Costumi: Anna Maria Morelli

Luci: Luigi Della Monica

Musiche: Davide Cavuti

Testo vincitore del Premio Nuove Sensibilità 2.0 2022

ERODIÀS + MATER STRANGOSCIÀS – SANDRO LOMBARDI / ANNA DELLA ROSA

Soltanto tracce. Nella memorie di Sandro Lombardi, che in quel tempo e in quel luogo ha agito sulla scena, e degli spettatori, che hanno assistito a quella restituzione. È quanto resta del secondo e del terzo dei Lai testoriani che l’attore recitò nel ‘98 con la regia di Federico Tiezzi.
Si può decidere di tornare su uno stesso testo, su uno stesso lavoro, innumerevoli volte (e innumerevoli sono le ragioni che possono spingere un attore a farlo) e di viverne, con più o meno consapevolezza, variazioni ed evoluzioni nel corso del tempo. Ma quel corpo scenico, di quel momento e in rapporto a quel contesto, è inafferrabile.
Il mestiere teatrale porta in sé la difficoltà di indagine, e di ragionamento estetico, su una forma artistica che non si conserva, che non precipita in un’opera richiamabile e visionabile. Muore con l’attore, il cui talento, quando scende dal palco, «esiste solo nei ricordi di chi l’ha visto e sentito», scriveva Talma nelle Riflessioni su Lekain e sull’arte teatrale.
Lombardi recupera quelle tracce – un recupero critico, dialettico, e non semplicemente un “ricalco” di ciò che era stato – per consegnarle ad Anna Della Rosa e farle rivivere attraverso il suo corpo e la sua voce. Una ri-nascita: l’attrice partorisce la battuta in un nuovo tempo e per un nuovo pubblico.

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RE CHICCHINELLA – EMMA DANTE

LA CORPORALITÀ DELLE PAROLE

Una fiaba scritta nel Seicento  tratta da Lo cunto de li cunti  di Giambattista Basile: La Papera, che racconta appunto di una papera che caca scudi d’oro con un’architettura di personaggi, come dice Emma Dante, dove il re non è il vero protagonista, ma l’avidità e l’invidia. Emma Dante riscrive la fiaba dando centralità al re che è un emarginato, un uomo profondamente solo e alla famiglia che vive a corte, una famiglia ipocrita che fa finta di prendersi cura di lui ma che in realtà vuole solo il suo potere e le sue uova d’oro.

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VAN GOGH CAFE’ OPERA MUSICAL – ANDREA ORTIS

23 marzo 2025, ritorna in scena al Teatro Alfieri dopo due anni Van Gogh Cafè Opera Musical, scritto e diretto da Andrea Ortis.

Uno spettacolo immersivo nel quale i quadri di Vincent Van Gogh si mescolano a una narrazione profonda ambientata all’interno di un caffè Chantant parigino.

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CON IL VOSTRO IRRIDENTE SILENZIO – FABRIZIO GIFUNI


Abbiamo visto al TPE – Teatro Astra lo spettacolo Con il vostro irridente silenzio. Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro di e con Fabrizio Gifuni.

L’attore porta in scena il frutto di uno studio intenso e personale sugli scritti di Aldo Moro. Gifuni ci consegna personalmente il suo invito a leggere questi documenti, affinché non consideriamo la morte di Aldo Moro un evento auto conclusivo. Nonostante per anni le sue lettere siano state definite la narrazione di un’Italia ormai passata, queste fungono da specchio in cui si scorge il riflesso di una nazione in quegli anni fragile, immobilizzata, dipendente da “suggerimenti esterni”. Molte delle questioni trattate nel memoriale sono evolute fino ad oggi e risultano estremamente attuali, come se profeticamente da lui ci fossero state anticipate.

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