Un critico «militante» e «ricettivo» (Giuliana Pititu), un «filosofo del teatro» (Federica Mazzocchi) «sempre all’erta per i cambiamenti» (Susanna Fadini), Edoardo Fadini negli anni Sessanta giunge a Torino e avverte i fervori di una città che si prepara a raccogliere le voci della contestazione.
L’incontro sul Sessantotto a teatro del 14 marzo 2024, presso la Fondazione Archivio Lorenzo Ferrero, si è aperto con la proiezione di un estratto di Paradise Now del Living Theatre. Datato proprio 1968, le prove del lavoro teatrale – che di “teatrale” ha ormai ben poco e si precisa anzi come dissoluzione della prassi scenica – si svolgono nel clima del maggio francese, i cui fermenti accelerano la fuoriuscita del gruppo dal teatro verso una più diretta lotta politica nelle piazze. Recuperando la fede anarchica di Antonin Artaud e l’idea di teatro come arma politica di Erwin Piscator, il Living persegue la bella rivoluzione anarchica non violenta. Un caso emblematico di una temperie di più ampio respiro.
Da spettatrice teatrale, se raschio la superficie di certe rappresentazioni e provo ad indagarne i processi, mi capita di scorgere quel fare proprio dell’attore-burattino (e del regista-burattinaio). È una questione che ha a che fare non con il personaggio ma con l’attore. Smorzato e trattenuto, è appeso ai fili controllati dalla mano registica che – predisposto un disegno – li manovra dall’alto. Una riflessione che intenzionalmente estremizzo per giungere al punto: laddove il teatro si esaurisce in un compiacimento registico andrebbe, forse, ripensato. Se la regia si fa presenza ingombrante – cioè se riduce l’attore a mezzo esecutivo di un’idea aprioristicamente fissata – la premessa è verosimilmente quella di un teatro rigido e asettico.
Piccola Compagnia della Magnolia firma un lavoro vivo, a tratti anarchico, che anziché precisarsi macchinosamente si manifesta come urgenza artistica. A partire da una necessità espressiva la Compagnia edifica la sua creazione. Finalmente il Teatro! Neanche un accenno di intellettualismo o falsi manierismi. È presenza vissuta, essenziale e libera da abbellimenti. Tutto rifugge la menzogna.
La maieutica delle Albe – il dionisiaco degli «Asinelli zoppicanti»
Sono un idiota io? Sono un cretino io? Sono un asino io? Sì, sono un asino e non riesco a non versare lacrime… Da Siamo asini o pedanti? di Marco Martinelli, 1989.
«Cominciammo errando. Errare nel senso di cammino e di sbaglio».
Fin dalle prime epifanie teatrali, l’inciampo è Maestro nel cammino artistico di Ermanna Montanari e Marco Martinelli. Le Albe risalgono agli anni del loro incontro, un’alchimia che tutt’oggi vibra nel legame arte-vita che li unisce. L’ errare è quello di chi arde per la sapienza, degli «asinelli zoppiccanti» che abbracciano la sconfitta e germogliano dalle proprie ceneri: è la messa in vita – non la messa in scena – di un teatro eretico e inquieto in cui il fallimento è linfa per la ri-creazione.