MEDEA – LEONARDO LIDI

La sera di mercoledì 17 aprile un forte vento soffia sulla città di Torino. Frettolosamente i panni stesi vengono ritirati e ci si chiude in casa. Quello che sembra un preludio di tempesta avvolge le Fonderie Limone di Moncalieri con un fascino cupo e tangibile.

Ad aspettare il pubblico dentro la sala teatrale c’è una costruzione parallelepipeda in plexiglass. Una ‘scatola’ trasparente che a inizio spettacolo non lascia intravedere nulla ma costringe lo spettatore a osservarsi nell’immagine riflessa davanti a sé.  
La Medea di Lidi comincia col guardarsi negli occhi, propri e degli altri.
Le pareti di questo involucro, prima affollate da figure e volti incuriositi, improvvisamente si svuotano all’accendersi di luci fredde, quasi ospedaliere, sulla scena.
Prende forma uno spazio vuoto, un luogo non luogo.
Quella scivolosa patina di “tragicità ostentata” incontrata talvolta nelle rappresentazioni classiche è qui assente. L’impianto scenico, nonché un’ottima amplificazione acustica e un utilizzo calibrato ma curato della musica, donano alla messinscena un taglio fortemente cinematografico.
Questo, unito alla maestria attoriale del cast, permette ai personaggi di agire e prendere vita su un piano di realtà forte, un’operazione non scontata data la difficoltà testuale e drammaturgica.
Il pubblico, quasi fungesse da testimone di un esperimento scientifico, guarda il ‘pacchetto Medea’ dall’esterno assistendo a un processo collettivo di autodistruzione.
Le pareti assumono diverse funzionalità; da confini materiali di una casa isolata si fanno espressione di stati psicofisici contrastanti; i protagonisti, come fossero cavie, si accaniscono a più riprese tanto fra loro quanto contro i muri di un luogo serrato su sé stesso.
Il senso di straniamento permette paradossalmente al pubblico di entrare nel vivo della storia e osservare intenzioni e reazioni come se si guardasse dentro l’oculare di un microscopio.

La tragedia consumata non è un dramma che fa subito rumore, all’inizio i personaggi sono immersi in un’apparente calma che dona concretezza a un prologo (interpretato da Valentina Picello) altrimenti del tutto avulso ed eccessivamente lontano per allusioni e riferimenti.
Inoltre la Medea di Orietta Notari è una donna che dapprima appare in una veste privata e intima, come già abbandonata, arresa, in un corpo provato e quasi lasciato a sé stesso.
Ma così come si rimane a prima vista colpiti davanti a una vetrina appariscente, ecco che lentamente la protagonista comincia a muoversi all’interno di questa ‘cage-box’ con una scrupolosità e intelligenza tali da riuscire a convincere chiunque.
Particolarmente degno di nota il momento in cui Medea tratteggia come ucciderà la principessa, una descrizione tragicomica, a tratti buffonesca, che rende bene il doppio piano su cui lavora per avere l’appoggio dei servi e per portare a termine le fasi del piano.
Lo stesso Euripide dissemina il testo di indizi per cui pare che la protagonista cominci a figurarsi fin da subito ciò che compirà, e perciò instilli dubbi, goccia a goccia, negli altri di modo da depistarli dalle sue vere intenzioni.
Una lettura di Medea non folle ma che si mostra folle e che il dolore non ha portato al delirio ma a uno studio lucido delle azioni che potrebbero rivendicare la sua sofferenza.
Usa le stesse armi con cui è stata ferita, manipolazione e inganno, per compiere vendetta.

In questo scenario gli unici ‘presenti innocenti’ sono i comprimari, la nutrice e il pedagogo, che con musica e brevi scambi d’affetto portano piccoli spiragli di luce.
Rispetto ai personaggi euripidei Lidi compie una riduzione affidando più ruoli a stessi interpreti (Valentina Picello è nutrice, corifea e figlia; Alfonso De Vreese è pedagogo e figlio) e ribalta il punto di vista dei potenti di Corinto non più incarnati da Creonte ma da Glauce (interpretata da Marta Malvestiti). 
L’entrata della principessa crea un forte contrasto; il vestito sgargiante, il tono maggiormente colloquiale, e la serenata dal sapore neomelodico della festa nuziale la delineano come un personaggio quasi outsider rispetto al resto ma che dona al contempo ulteriore concretezza.
Particolarmente brillante la scena a tinte grottesche del matrimonio subito seguita dalla morte di Glauce ben riuscita anche grazie all’ottimo utilizzo disturbante dell’illuminotecnica.
La tragedia è vivida e palpabile sebbene sia espressa attraverso una chiave poetica; un procedimento simile ma meno incisivo lo si incontra per l’infanticidio ricreato dal contrasto fra un’ambientazione calda e la sola prefigurazione di quello che Medea andrà a compiere.

Nessuno uscirà da qui illeso perché finiranno tutti per avere una parte di colpa. Anche lo stesso spettatore che rimarrà incastrato fra le sbarre invisibili di questa gabbia di violenza costruita su violenza e per questo destinata a generare altrettanta violenza.

Bianca Ferretti

Con Orietta Notari, Nicola Pannelli, Valentina Picello,
Lorenzo Bartoli, Alfonso De Vreese, Marta Malvestiti
Regia Leonardo Lidi
Dramaturg Riccardo Baudino
Traduzione Umberto Albini
Scene e luci Nicolas Bovey
Costumi Aurora Damanti
Suono Giacomo Agnifili
Assistente regia Alba Maria Porto

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