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IL MOSTRO DI BELINDA – CHIARA GUIDI E VITO MATERA

È andato in scena, alla Casa del Teatro ragazzi e giovani, Il mostro di Belinda di Chiara Guidi e Vito Matera nell’ambito del progetto Tra infanzia e voce, realizzato insieme all’Università di Torino. Lo spettatore prende inconsapevolmente posto in uno spazio che poi, con l’inizio dello spettacolo, si trasformerà nella casa della Bestia.

Lo studio sulla voce operato da Chiara Guidi ci è evidente sin dai primi istanti: voce e testo ci invitano a “sentire”. In questo, la vista e gli altri sensi, sono inizialmente esclusi.

Si ha la percezione di qualcosa di occulto che certamente verrà svelato e, in attesa di ciò, il pubblico s’immerge in un tempo e in uno spazio che è altro da quello che ha lasciato fuori dal teatro.

Voci di bambini, voci sovrapposte, voci che si susseguono, voci che indicano una strada da percorrere, che danno istruzioni, che esortano a fare. Andando avanti ci sarà chiaro che si tratta della voce di Amore, una voce scherzosa, sottile e acuta, ma inequivocabile nella parola, nel contenuto.

Allo spettatore, per lo più giovane e in formazione, sono consegnati dei preziosi insegnamenti.

Primo tra tutti la necessità di andare oltre le apparenze, per conoscere l’altro, per poterlo accogliere, per instaurare un rapporto in cui le parti, sentendosi sinceramente apprezzate ed amate, possano godere della libertà di mostrarsi per quello che sono.

Ed ancora, la questione del consenso. La Bestia si rivolge a Belinda chiedendole: “Posso abbracciarti?” e quando questa risponde con un rifiuto, la Bestia, seppur triste, va via.

Lo spettacolo, nelle luci e nella scenografia, restituisce la sensazione di assistere ad una magia: lucciole, fuochi d’artificio, ed una rosa gigante tanto spaventosa quanto affascinante.

Un lavoro completo, ricco, in grado di far coesistere stupore e significato, abbandonando la pretesa di aver già detto e mostrato tutto.

Silvia Picerni

Fondazione TRG/Societas/Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa/ Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale

Da un’idea di: Chiara Guidi 

Drammaturgia: Chiara Guidi e Vito Matera

Con: Maria Bacci Pasello, Eugeniu Cornițel, Alessandro De Giovanni 

E con le voci di: Demetrio Castellucci, Chiara Guidi, Anna Laura Penna, Giulia Torelli, Lavinia Bertotti, Bice Bosso, Maddalena Bosso, Eva Castellucci, Lia Castellucci, Nora Castellucci, Enrico Guerri, Iris Guerri, Michele Guerri, Amedeo Matera, Daphne Sophia Nguyen, Ophelia June Nguyen, Agata Scardovi, Federico Scardovi, Gabriel Rotari, Mia Valmori

Composizione sonora: Scott Gibbons

Scene, luci, costumi: Vito Matera

Realizzazione scene: Attosecondo

Assistente costumista: Chiara Venturini

Cura del suono: Andrea Scardovi

Tecnica: Francesca Pambianco

Cura: Irene Rossini

Direzione di produzione: Benedetta Briglia

Direzione tecnica: Eugenio Resta 

IL RISVEGLIO – COMPAGNIA PIPPO DELBONO

Al teatro Astra è andato in scena, tra qualche contestazione, lo spettacolo Il risveglio di e con Pippo Delbono e la sua Compagnia.

L’attore comincia parlando di sé, di alcuni momenti della sua vita e della sua giovinezza.

Racconta di un amore che l’ha provato nella salute del corpo e della mente, tracciando un percorso che introduce il pubblico allo spettacolo vero e proprio.

In teatro, tra la musica del violoncello suonato da Giovanni Ricciardi, e le parole di Pippo Delbono, si assiste quasi ad un rito funebre, certamente ad un atto commemorativo.

Bobò, membro della Compagnia, non c’è più.

Vengono ricordati i suoi gesti, la sua voce, il suo modo di relazionarsi con gli altri, con i grandi artisti ed i compagni. Il conforto dato dalla sua presenza.

La musica, in parte proposta in video, in parte suonata dal vivo, accompagna l’attore nella sua narrazione del dolore e della perdita. Lo spettacolo rivela le fragilità del personaggio, le sue paure.

E così la paura si intreccia al ricordo di chi non c’è più. La mancanza dell’altro crea incertezza, è quasi come dover imparare nuovamente a vivere. Si fa strada nella mente la consapevolezza che, nel procedere, nulla sarà più come prima.

Al tema della perdita, oltre a quello dell’amore e della paura, si intreccia quello della guerra come distruzione e incombenza della morte. In questo la scrittura, in particolare sotto forma di lettera, permette il tramandarsi di memorie pregne di dolore e rassegnazione ma, in fondo, anche di speranza e desiderio di cambiamento.

Sulla scena vengono proposti due possibili finali. Dei due, il secondo, forse supportato da quel potere di coinvolgere che ha la musica, ha fatto sì che, anche i più scettici, si sciogliessero in un fragoroso applauso.

Lo spettacolo, che chiude il Festival delle colline torinesi e inaugura la stagione del TPE Teatro Astra, ha generato molto fermento tra il pubblico. Qualcuno, durante la recita, ha dichiarato di pretendere il rimborso del biglietto e, al momento degli applausi, ha fischiato, mostrando tutto il suo disprezzo.

Delbono, vedendo lo spettatore agitarsi sulla poltrona, gli ha risposto con il tipico gesto italiano della mano a carciofo.

Non sono mancate, al termine della recita, anche all’esterno del teatro, altre polemiche e confronti accesi tra gli spettatori.

Il teatro, troppo spesso relegato a luogo del silenzio e del mistero, si è riempito di suoni: voci sovrapposte, gesti caotici, passi affrettati. Idee.

Silvia Picerni

Uno spettacolo di: Pippo Delbono

Con: la Compagnia Pippo DelbonoDolly Albertin, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella

E con: Giovanni Ricciardi (violoncello e arrangiamenti)

Luci: Orlando Bolognesi

Costumi: Elena Giampaoli

Suono: Pietro Tirella

Capo macchinista: Enrico Zucchelli

Organizzazione: Davide Martini

Assistente di produzione: Riccardo Porfido

Direttore tecnico: Orlando Bolognesi

Personale tecnico in tournée: Manuela Alabastro (suono), Carola Tesolin (costumi), Corrado Mura (luci), Enrico Zucchelli (scena)

Produttore esecutivo: Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

Coproduttori: Teatro Stabile di Bolzano (Italia), Teatro Metastasio di Prato (Italia), Théâtre de Liège (Belgio), Sibiu International Theatre Festival/Teatrul Național “Radu Stanca” Sibiu (Romania), Teatrul Național “Mihai Eminescu” Timisoara (Romania), Istituto Italiano di Cultura di Bucarest (Romania), TPE – Teatro Piemonte Europa/Festival delle Colline Torinesi (Italia), Théâtre Gymnase-Bernardines Marseille (Francia)

In collaborazione con: Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento (Italia), Le Manège Maubeuge – Scène Nationale (Francia)

HANNAH – SERGIO ARIOTTI

Nella Sala Pasolini del Teatro Gobetti è andato in scena lo spettacolo Hannah.

Il monologo, che vede la drammaturgia di Sergio Ariotti, è interpretato da Francesca Cutolo.

L’intento è quello di raccontare la storia di Hannah Arendt, filosofa e politologa tedesca che ha concentrato i suoi studi sui meccanismi dei totalitarismi, risalendo alle cause ed evidenziando le conseguenze di certi eventi storici.

Il lavoro è ambientato per metà nel 1943, quando Hannah Arendt tiene una conferenza riguardo la condizione dei tedeschi giunti  in America a seguito dell’avvento di Hitler, per poi cambiare prospettiva e riportarci ai giorni nostri: è una studiosa, durante un discorso pubblico, ad offrirci la propria narrazione della Arendt, suggerendo alla memoria alcuni accadimenti della vita della filosofa, utili ad evincere la direzione del suo pensiero.

La prima parte dello spettacolo vede la protagonista alle prese con degli oggetti contenuti in una valigia.

Li estrae uno alla volta per poi spiegarne il significato, fino ad arrivare, esasperata, a rovesciare la valigia e di conseguenza quanto contiene.

Il gesto esprime la voglia di mettersi a nudo, di raccontarsi senza censure, anche nel dolore e nella perdita.

Nel prepararsi ad assistere alla seconda parte dello spettacolo, il pubblico si trova a vivere un’attesa piuttosto lunga, che tende inevitabilmente a farlo uscire dall’atmosfera creatasi in precedenza.

Qualcuno beve un sorso d’acqua, qualcun altro ne approfitta per scambiarsi un dolce bacio sulle labbra.

L’attrice rientra in scena con un cambio d’abito parziale e con i capelli sciolti (prima erano raccolti con un’acconciatura bassa).

Ci saremmo aspettati forse una metamorfosi diversa, una rottura più netta tra passato e presente.

Il tentativo sta nel portare in scena (ancora e ancora) quei temi che sempre sono attuali: la guerra, il potere, l’eliminazione, il viaggio, la vita, la morte.

L’attrice, per tutta la seconda parte dello spettacolo, si trova a rimbalzare da un leggio all’altro.

Legge con enfasi mentre dietro di lei scorrono le fotografie di Andrea Macchia, immagini di quegli stessi oggetti che nella prima parte dello spettacolo erano stati mostrati.

Dopo un lungo momento di lettura, lo spettacolo termina con la proiezione di una frase estratta da Gli oggetti cari, poesia di Bertolt Brecht.

Ancora una volta, l’accento sembra ricadere insistente, ancor prima che su Hannah Arendt, sugli oggetti della memoria.

Silvia Picerni

Liberamente tratto da: “Noi rifugiati” di Hannah Arendt

Drammaturgia e regia: Sergio Ariotti

Con: Francesca Cutolo

Aiuto regista: Andrea Luchetta

Assistente: Beatrice Biondi

Immagini: Andrea Macchia

Costumi: TPE – Teatro Piemonte Europa

Con la consulenza di: Augusta Tibaldeschi

Sarta: Milena Nicoletti

Tecnico: Emanuele Vallinotti

Produzione: TPE – Teatro Piemonte Europa, Festival delle Colline Torinesi