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PASOLINACCI E PASOLINI – SERATA CONCLUSIVA DELLA RASSEGNA LUCI SULLE ALBE

C’è un paradosso che chi si accosta al teatro da studioso o da appassionato si trova ad affrontare. Da un lato il fatto teatrale è fragile: si potrebbe dire che muore, non già dopo il parto, ma durante, per mezzo del suo parto, e addirittura perché nasca è necessario il suo dissolversi. Non tollera una storicizzazione perché di sé non lascia che tracce labilissime, poche scie. Eppure, e qui arrivo al paradosso, gli artisti più interessanti sono quelli che non vivono il singolo lavoro come un unicum concluso in sé, che si dissolve, ma come un tassello di un mosaico molto grande che ingloba e si nutre di altri lavori teatrali, di letture, cinema arte e soprattutto esperienze di vita, così che ogni atto artistico logora sempre di più quel confine tra arte e vita, fino a farlo sparire. Anzi col proprio operato mettono l’accento a quella e di congiunzione che diventa copula.
Arte è vita.

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MINCHIA – SALVATORE CANNOVA

Le nostre radici sono dove germogliamo o dove facciamo germogliare?

“Stiamo scomodi” recita una delle frasi scritte a pennarello sulla parete costellata di pensieri e parole di Bellarte. Bellarte è un ex fabbrica di mutande e una ‘fabbrica’ presente d’arte, un luogo dal cuore caldo e colorato, incastonato fra alti palazzi moderni della periferia torinese. “Stiamo scomodi” salta all’occhio mentre, comodamente seduti, ci si gusta un bicchiere di dolcetto circondati da piante, libri, locandine affisse, risate, suoni di bottiglie stappate e brani jazz.

Queste parole continuano a risuonare quand’ecco che per Minchia prima ancora del suo protagonista sono i suoi oggetti che lo presentano; quei particolari oggetti, e non altri, che delineano il mondo dentro cui si muove Antonio Cristal Morte Espresso Tonì, un nome emblematico delle infinite peripezie che attraverserà fin dalla più tenera età.

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LUCI SULLE ALBE / TEATRO DELLE ALBE – MARTINELLI MONTANARI

La maieutica delle Albe – il dionisiaco degli «Asinelli zoppicanti»

Sono un idiota io?
Sono un cretino io?
Sono un asino io?
Sì, sono un asino
e non riesco
a non versare lacrime…

Da Siamo asini o pedanti? di Marco Martinelli, 1989.

«Cominciammo errando. Errare nel senso di cammino e di sbaglio».

Fin dalle prime epifanie teatrali, l’inciampo è Maestro nel cammino artistico di Ermanna Montanari e Marco Martinelli. Le Albe risalgono agli anni del loro incontro, un’alchimia che tutt’oggi vibra nel legame arte-vita che li unisce. L’ errare è quello di chi arde per la sapienza, degli «asinelli zoppiccanti» che abbracciano la sconfitta e germogliano dalle proprie ceneri: è la messa in vita – non la messa in scena – di un teatro eretico e inquieto in cui il fallimento è linfa per la ri-creazione. 

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PAUSE/SOLARIS – DORIANA CREMA & FILO D’ARIA – RAFFAELLA GIORDANO

Un luogo maestoso, affrescato in ogni centimetro, flora e fauna soggetti protagonisti di ogni sua stanza. La Palazzina di caccia di Stupinigi, spazio scelto da La Piattaforma – La nuova città per festeggiare i vent’anni di attività, è stato abitato da sabato 21 a domenica 29 ottobre in maniera extra-ordinaria da molte comunità. F E S T E, questo il nome del Festival, ha visto realizzarsi un ricco programma di performance e laboratori di danza di comunità attraversati dal tema comune del rapporto tra arte e natura, danza ed ecologia.

In particolare, sabato 28 e domenica 29 ottobre il Salone d’onore della Palazzina ha ospitato due performance interessanti, rispettivamente PAUSE / SOLARIS a cura di Doriana Crema e FILO D’ARIA a cura di Raffaella Giordano. Accomunati dalla presenza di danzatori professionisti e non, i due gruppi hanno però alle spalle percorsi molto diversi che hanno portato a risultati altrettanto peculiari.

Pause è innanzitutto un laboratorio stabile curato da Doriana Crema a Torino attraverso il quale propone pratiche di danza per professionisti e non, finalizzate al lavoro sulla percezione e sulla consapevolezza del sé corporeo, in relazione agli altri e allo spazio. Chiamati a condividere i processi interni al laboratorio con un pubblico, tredici donne e uomini, di età differenti, danzano nello spazio accompagnati da musica classica ed elettronica eseguita dal vivo. Solaris – secondo nome della performance – è infatti il concerto di Giorgio Li Calzi e Manuel Zigante, rispettivamente alla tromba e al violoncello, che grazie a F E S T E incontra la comunità danzante e si trasforma in ascolto con essa.

“Tutti possiamo danzare” afferma nell’intervista la coreografa e il messaggio emerge subito. All’inizio i danzatori si confondono seduti tra gli spettatori, come a voler sottolineare che non ci sono distinzioni. Il coinvolgimento del pubblico risponde all’esigenza di Doriana di esprimere l’appartenenza della danza come modalità espressiva all’umanità intera. L’apice di questo processo viene raggiunto quando gli interpreti si avvicinano agli spettatori e uno alla volta, gentilmente, li invitano ad entrare nello spazio e a danzare.

Le sedie dei performer, inizialmente fra il pubblico e poi portate dentro la scena, sono come una base a cui tornare, il punto di partenza e di arrivo di continui attraversamenti dello spazio. Uno spazio, ora quadrato ora circolare, che è segnato da diagonali interne e linee di viali esterni che collegano la Palazzina alla città, visibili attraverso le ampie finestre. La possibilità di fruire della perfomance da tutti i lati della Sala rende l’azione ancora più rituale ed immersiva. Lo spettatore vede i performer ma anche il pubblico seduto sugli altri lati, quasi a confondersi con la comunità danzante. I raggi di sole che fendono i vetri e si proiettano sul pavimento, la maestosità dell’architettura e degli arredamenti contribuiscono notevolmente a rendere la performance ancora più suggestiva. Gli abiti dalle forme e dai colori neutri (per lo più sui toni del beige e del marrone) alleggeriscono la scena. La qualità del movimento contraddistingue ogni danzatore e danzatrice e la loro presenza consapevole nello spazio gli permette di entrare in dialogo e dar vita a incontri nutrienti e trasformativi. Un forte ascolto interno al gruppo restituisce la sensazione di essere di fronte a un processo in atto da tempo.

@ Andrea Macchia

Filo d’aria nasce invece grazie a una call per cittadini, pensata proprio in occasione di F E S T E, invitati a partecipare a un periodo di residenza artistica curata da Raffaella Giordano, danzatrice, coreografa e direttrice della compagnia Sosta Palmizi. Una neo-comunità di giovani e adulti che, in due settimane circa, ha esplorato i temi della danza e dell’ecologia e ha composto una performance per restituire al pubblico la ricerca affrontata. La domanda di partenza è stata: “è possibile che la danza trasformi la nostra relazione con la natura?”. Si presentano otto performer, in abiti quotidiani, che abitano il Salone d’onore della Palazzina immergendosi in un’esplorazione individuale del movimento punteggiata da “convocazioni” di gruppo, come le ha definite Raffaella, utili a scandire la struttura drammaturgica. La musica, curata dalla stessa Raffaella Giordano con l’ausilio di Lorenzo Brusci e l’esecuzione tecnica di Aldo Rendina, ha sostenuto i danzatori nella creazione di un’atmosfera a tratti inquietante a tratti poetica. È forte la potenza immaginativa suscitata dall’unione di musica, architettura e corpi in movimento, dall’espressività dei volti e dalla forza comunicativa delle azioni. È un gesto quotidiano, un movimento nello spazio che tende al contatto con il pubblico. Anche in questo caso la comunità danzante entra nello spazio camminando tra gli spettatori, confondendosi con essi. C’è un tentativo forte di comunicare con chi guarda: persino un pezzetto di carta diventa pretesto per sostare in un dialogo tra sguardi. Si percepisce la necessità di lasciare un messaggio, ora scritto compulsivamente sul pavimento come si fa sulla sabbia, ora raccontato attraverso i gesti, il contatto visivo. L’architettura e la geometria degli spazi permettono al gruppo sul finale di incamminarsi tutti in una direzione e sparire quasi completamente dentro a uno dei corridoi che si sviluppano a raggera e che conducono dalla Sala alle altre stanze della Palazzina. Per Raffaella è un processo aperto, che non pretende ancora di arrivare a una conclusione. Questa prematurità arriva e lascia il desiderio di voler vedere altro.

PAUSE/SOLARIS

Performance a cura di Doriana Crema

Interpretazione Partecipanti del laboratorio PAUSE – Ornella Obrero, Fabio Castello, Giorgio Colombero, Petra Comaschi, Rita Fabris, Gisella Patrizia Finocchio, Eugenia Gaglianone, Sara Girardo, Alessandra Lai, Sabrina Marsili, Elena Pugliese, Raffaella Tomellini, Veronique Torgue, Alessandra Trevisan

Musiche di Giorgio Li Calzi, Manuel Zigante

FILO D’ARIA

Gesto coreografico a cura di Raffaella Giordano

Interpretazione Comunità estemporanea di cittadinanza artistica

Paesaggio sonoro a cura di Raffaella Giordano, Lorenzo Brusci

Esecuzione tecnica musicale Aldo Rendina

Fotografie di Andrea Macchia

CECITÀ – VIRGILIO SIENI

Quando si entra a teatro, solitamente, è prassi comune svolgere un certo tipo di rituale comportamentale: guardarsi un po’ intorno per cercare il proprio posto, poi scrutare qua e là tra la baraonda di persone alla ricerca di qualche faccia amica con cui scambiare una chiacchiera e infine entrare in maniera più o meno unanime in uno stato di chiara attesa, che coglie ognuno in modi inaspettati e diversi ma che pone quasi sempre le persone di fronte ad un sipario, nero e ben tirato. E a meno che non si abbia letto il libretto di sala o si abbia visto il trailer su YouTube, non ci si aspetta nulla. Il sipario nero ti conferma un non detto, lo sguardo comincia la sua esperienza teatrale in modalità neutra.  

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NEL LAGO DEI LEONI – MARCO ISIDORI

QUI POTES CAPERE, CAPIAT

Entriamo in sala, al Teatro MarcidoFilm!, un ambiente ristretto, dalla capienza limitata, con sedili in pendenza da un lato e il proscenio dall’altro, a ridosso delle prime file . Siamo subito abbagliati da una gigantesca tela illuminata raffigurante il muso di un leone disegnato con colori vivaci, opera della scenografa e pittrice Daniela Dal Cin, che contribuisce a limitare lo spazio. L’immagine simbolica allude a quella condizione infernale provocata dall’assenza di Dio e che viene descritta dalla protagonista attraverso una metafora: Il lago dei leoni. Poi improvvisamente cade il sipario.

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S 62° 58’, W 60° 39’ – PEEPING TOM

Lo scorso 24 ottobre Torino Danza Festival, in convenzione con il Festival delle Colline Torinesi, ha ospitato alle Fonderie Limone di Moncalieri la prima nazionale della nuova produzione della compagnia belga di teatro danza Peeping Tom diretta da Gabriela Carrizo e Franck Chartier.

La compagnia è famosa in tutto il mondo per i suoi spettacoli altamente provocatori e complessi e “S 62° 58’, W 60° 39’” non è da meno, per questo abbiamo deciso di provare a restituire un doppio punto di vista riportando due recensioni scritte rispettivamente da Graziana Distefano e Mirella Oliveri.

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