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LA TIGRE DEI DUE FIUMI – GIULIO GRAGLIA

Torino celebra Emilio Salgari. Lo scrittore, infatti, è protagonista del documentario “La Tigre dei Due Fiumi” (1991, Giulio Graglia), proiettato alla Mediateca Rai “Dino Villani” il 20 ottobre.
L’opera, brevemente introdotta dallo stesso Graglia, si propone di ripercorrere la vita del romanziere, dai suoi primi anni nella natale Verona – dove, sulle pagine del quotidiano “L’Arena” vede la luce Sandokan, la Tigre della Malesia – fino al trasferimento con la sua famiglia a Torino, dove sarebbe rimasto fino alla morte.
Salgari rivive nelle interpretazioni di critici letterari (come Ugo Gregoretti), ma anche nelle performance di vari attori (come Roberto Accornero, nei panni del giornalista rivale Giuseppe Biasoli), che mettono a confronto il coraggio dei suoi personaggi e le innumerevoli difficoltà economiche e famigliari di un uomo, che lo avrebbero portato, il 25 aprile 1911, a togliersi la vita.
Ed è proprio dal suicidio dello scrittore che prende avvio lo spettacolo “l’Ispezione”, per la regia di Sergio Ariotti, anche lui presente alla proiezione assieme a Isabella Lagattolla, che con lui dirige il Festival delle Colline Torinesi (che festeggia quest’anno trent’anni), e Aldo Salassa, autore del testo.
Ariotti, parlandoci dello spettacolo che andrà in scena dal 28 al 31 ottobre al Palazzo degli Istituti Anatomici di Torino, coglie l’occasione per parlare brevemente non solo dell’autore, ma anche di quell’Italia che pochi giorni dopo avrebbe celebrato il Cinquantenario della sua Unità, ospitando l’Esposizione Universale.
Uno spettacolo che affianca a Salgari un’altra importante figura: il professor Mario Carrara, genero di Cesare Lombroso, incaricato di occuparsi della salma dell’autore veronese.
Ma di questo avrete modo di leggere più nel dettaglio in una recensione di prossima pubblicazione.

Niccolo’ casassa

MI PROMETTI UN BALLO ? – ERIKA DI CRESCENZO, SIMONA CECCOBELLI, AMALIA FRANCO

“Sia bella e che possa accogliere tutti
Mettila alta da poter far dire ‘Bellissimo sto pezzo! Che gruppo è?’
Ma non troppo alta, lascia che i vostri dialoghi
Non vengano coperti dagli assoli”
“Invita amici”, mi diceva, “Invitane tanti
Invita tutti gli amici che conosci
E poi, finita la festa, lascia che ognuno prenda la via che preferisce …”

FINITA LA FESTA – GIO EVAN

Provengo da una piccola città della toscana, definita da me il “paesone”. Vivendo e crescendo lì, ho imparato a comprendere i meccanismi interni di queste piccole realtà, dove tutto appare sospeso e fermo. Sono meccanismi in cui rientri se conosci determinati luoghi, determinate persone; nei paesoni il divertimento non è in piazza ma nei garage, nelle case in campagna, nelle mansarde, sul mare, vicino alle statue. Tutti luoghi privati e non.

La festa è qualche cosa di perfettamente artigianale, arrangiata a tratti, che ha l’unico obiettivo di far divertire. Un luogo di ritrovo per sfuggire dalla noia, per sentirsi meno emarginati da un centro che si propone invece di soddisfare i divertimenti di chi è fortunato a vivere in quei paraggi.

Se nelle piccole città, nei paesi e paesoni questo sentimento è meno sentito perché intorno non ci sono troppi riferimenti e vige la regola del ‘si fa quel che si può’; nelle città grandi è ben diverso, almeno per me. I quartieri marginali per me non sono altro che una trasposizione del “paesone”, ma lo vedo nettamente più sofferente perché sono parte di una città che li ignora. E quindi non resta che organizzare tutto come nei paesi, nel silenzio e quando irrompe un evento che è per tutti, quasi si rimane sorpresi.

Questa sorpresa l’ha regalata la performance Mi prometti un ballo ? di Erika Di Crescenzo, Simona Ceccobelli e Amalia Franco. Un accadimento che è riuscito a spezzare la sospensione del tempo di quel luogo, di quel silenzio e ha permesso di andare in un altrove con il ballo.

ACCADIMENTO

Tutto è accaduto nel piazzale di Officine Caos del quartiere Vallette. Un luogo ricco di energia, di obiettivi, di creatività che si trova collocato in un punto nel quale intorno troviamo tutto l’opposto: una scuola abbandonata, piccole vie cittadine che non sembrano percorse da anni e infine quel silenzio, quella sospensione quasi tombale.

Non appena si entra nel luogo performatico ciò che ci troviamo davanti non ci appare con una disposizione palco-platea bensì sembra di essere immersi in un contesto di sagra. Di fatto, non può sfuggire all’occhio la disposizione dei tavoli, che avvolgono lo spiazzo e rompono immediatamente l’idea, o il pensiero, di quarta parete, provocando fin da subito un’idea di familiarità. È come se questa organizzazione dello spazio rompesse fin da subito il modo di stare classico di un teatro, e aprisse invece un immaginario libero.

Inoltre lo spazio, oltre al piazzale, è quasi del tutto occupato con diverse azioni che generano una stratificazione. C’era chi giocava a palla nel campo di calcio, chi girava in bici, chi disegnava, chi accoglieva il pubblico e così via. Queste diverse attività, unito ad un’entrata del pubblico, ha generato un momento polifonico, già denso di azioni che scaturivano da un micro-sistema in formazione.

Al tavolo, avevi fin da subito la possibilità di interagire nell’accadimento, di esserne parte attraverso il disegno, ovviamente non c’era un compito da eseguire.

Riconoscere l’inizio è difficile, potrebbe forse collocarsi nel momento in cui un ragazzo con un microfono ha fatto il suo ingresso nel piazzale e ha iniziato a leggere un testo. Da lì sono iniziate diverse azioni di altri performer che portavano successivamente ad un inizio di danze condivise fra di loro. Dei balli che però seguivano dei codici di invito, di saluto e di condivisione; questo momento è stato fondamentale per educare il pubblico. Infatti, nel momento in cui è stato portato all’interno, sapeva già come agire.

Poco dopo questo coinvolgimento il luogo scenico è diventato vorace: il pubblico non era più confinato al suo ruolo ma si è prodotto uno sconfinamento, nel quale tutti sono tutto e il tutto si dissolve in un niente, in grado di rappresentare la possibilità di non aderire a strutture rigide, ma di reinventarle e modificarle. Così è stato anche per il posto che diventava man mano un tempo-altro, dove il quotidiano sembrava avvenire in un altro periodo ma dentro un atto nato come scenico. Era come se tutto diventasse performatico: per esempio l’angolo bar, in funzione di essere un punto ristoro, apriva a degli scenari che uscivano dalla sua finalità primaria.

Improvvisamente tutta questa libertà è stata infranta da un fischio, un ritorno a una struttura drammaturgica, a ruoli netti dove i performer agiscono e il pubblico resta seduto a guardare. Una realtà in cui il “fuori regola” non è più concesso. È proprio da questo ritorno che emergono le caratterizzazioni dei performer, dei personaggi, attraverso il come si ponevano di fronte a tale rigidità. Ed è così che subentra il ruolo del gioco, il quale man mano è riuscito a far tornare il tutto ad una complicità festaiola, eliminando la “disciplina”. In effetti, il finale si potrebbe ricondurre ad una glorificazione del calcio, uno dei giochi più praticati al mondo, oppure più direttamente ad una celebrazione del gioco, del desiderio di partecipare, di divertirsi, di condividere un tempo festivo.

Chiara Jadore Cacciari

Luogo Officine Caos

All’interno della rassegna di Officine Caos IL CORAGGIO DI ESSERE FELICI

All’interno del programma culturale TORINO, CHE SPETTACOLO! CHE BELLA L’ESTATE!

Spettacolo di Erika Di Crescenzo, Simona Ceccobelli, Amalia Franco

con Riccardo Ruggieri – musicista dj

Performer Complici:

Gianluca Bottoni

Renato Cravero

Roberto Montarulo

Luigi Piccarreta

Pietro Barbanente

Giuseppe Saccotelli

Ettore Bosco

Mirella Maruri

Margherita Fantini

Lina Maria Garcia Nino

Ornella Bavaro

Cristina Foti

MADRI – DI DIEGO PLEUTERI, CON LA REGIA DI ALICE SINIGAGLIA

Nelle insenature della memoria

Un tavolo, delle sedie, microfoni, leggii, scatoloni per terra. Forse una cucina; ma più che in un ambiente domestico ci troviamo in un luogo metafisico, un luogo dell’interiorità. Un ripostiglio zeppo di oggetti che costituiscono l’io. Un posto di pieni e soprattutto di vuoti. Potrebbe essere una stanza tratta da un film di Lynch o di Gondry, o ancora la stanza piena di tavoli e sedie di Cafè Müller. Siamo nella sala Pasolini del Teatro Gobetti, e questa è la scena in cui si  svolge Madri, scritto da Diego Pleuteri, attore e drammaturgo, che si è formato alla Paolo Grassi come drammaturgo e poi è stato allievo della scuola per attori del Teatro Stabile di Torino sotto la direzione di Leonardo Lidi.

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LA LOCANDIERA – ANTONIO LATELLA

Al Teatro Carignano è andato in scena lo spettacolo La Locandiera, con Sonia Bergamasco, regia di Antonio Latella.

Lo spazio della scena, pur occupato da una scenografia fissa, rende l’idea della locanda in tutte le sue declinazioni: luogo d’incontro e conversazione ma anche di ristoro ed intimità.

In alto sono posti dei neon, e la sensazione è quasi di trovarsi in un laboratorio. Lo spettatore è forse chiamato ad osservare un esperimento.

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STUDIO SU PICCOLI RITI – JULIE ANNE STANZAK

Nel 1973, a Wuppertal, in Germania, nasce il Tanztheater Wuppertal. Il nome della compagnia, che include il termine “Tanztheater” (in italiano “teatrodanza”), è stato fondato da un gruppo di coreografi, tra cui spicca il nome più noto di Pina Bausch. Il termine indica progetti artistici che si differenziano dalla danza classica e moderna, includendo elementi recitativi teatrali e con l’intenzione di produrre opere con precise finalità drammaturgiche. Oltre alla percezione corporea che il danzatore dovrebbe acquisire fin dai primi tempi, Pina Bausch richiede ai membri della compagnia un’interpretazione personale del movimento, sostenuta dalla contrapposizione tra fragilità e forza. In questo luogo di ricerca artistica, nel 1986, Julie Anne Stanzak, danzatrice di danza accademica, partecipa a un provino con la compagnia che le permetterà di lavorare con Pina Bausch in modo permanente, partecipando alle opere più note e continuando a lavorare con la compagnia ancora oggi.

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IL MOSTRO DI BELINDA – CHIARA GUIDI E VITO MATERA

È andato in scena, alla Casa del Teatro ragazzi e giovani, Il mostro di Belinda di Chiara Guidi e Vito Matera nell’ambito del progetto Tra infanzia e voce, realizzato insieme all’Università di Torino. Lo spettatore prende inconsapevolmente posto in uno spazio che poi, con l’inizio dello spettacolo, si trasformerà nella casa della Bestia.

Lo studio sulla voce operato da Chiara Guidi ci è evidente sin dai primi istanti: voce e testo ci invitano a “sentire”. In questo, la vista e gli altri sensi, sono inizialmente esclusi.

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IL RISVEGLIO – COMPAGNIA PIPPO DELBONO

Al teatro Astra è andato in scena, tra qualche contestazione, lo spettacolo Il risveglio di e con Pippo Delbono e la sua Compagnia.

L’attore comincia parlando di sé, di alcuni momenti della sua vita e della sua giovinezza.

Racconta di un amore che l’ha provato nella salute del corpo e della mente, tracciando un percorso che introduce il pubblico allo spettacolo vero e proprio.

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HANNAH – SERGIO ARIOTTI

Nella Sala Pasolini del Teatro Gobetti è andato in scena lo spettacolo Hannah.

Il monologo, che vede la drammaturgia di Sergio Ariotti, è interpretato da Francesca Cutolo. L’intento è quello di raccontare la storia di Hannah Arendt, filosofa e politologa tedesca che ha concentrato i suoi studi sui meccanismi dei totalitarismi, risalendo alle cause ed evidenziando le conseguenze di certi eventi storici.

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Fantasmi. La Stagione 2024-2025 di Teatro Piemonte Europa

Da qualunque angolazione lo si accosti, il teatro si fa gioco della sua etimologia. La parola teatro deriva dal greco ϑέατρον, ovvero gli edifici in cui fare teatro, che a sua volta nasce dal verbo ϑεάομαι: guardare essere spettatore. Eppure basta frequentarlo, studiarlo anche poco, per rendersi conto che la vista non è la chiave giusta per penetrarvi. 
Bisogna, anzi, allenare i sensi all’invisibile. Si potrebbe dire che il teatro è luogo dove si pratica una prossimità con i fantasmi. Una caccia continua allo spettro.
Questa è la strada che ci invita a percorrere Andrea De Rosa, direttore artistico del TPE, che presenta alla stampa la prossima stagione teatrale, l’ultima di un triennio incentrato sul macrotema della verità.

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CONFERENZA STAMPA TEATRO STABILE DI TORINO – ATTO UNICO

Unico atto politico

Lo scorso 4 giugno, presso il Teatro Gobetti, si è tenuta la conferenza stampa della stagione 2024/2025 del Teatro Stabile di Torino, dal titolo “Atto Unico”. Un anno di festeggiamenti, giacché ricorrono i 70 anni del Teatro Stabile di Torino e i 50 anni del Centro Studi. Settant’anni come settanta sono gli spettacoli che verranno messi in scena, come sottolinea il direttore, Filippo Fonsatti.

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