Andare avanti per inerzia. «Aveva creduto nella sua bontà connaturata, nella sua umanità, ed era vissuta di conseguenza, senza mai fare del male a nessuno. Si era sempre impegnata, indefessamente, a fare le cose nel modo giusto; tutto il suo successo era dipeso da questo, e lei avrebbe continuato così per sempre».[1] Conservare lo stato delle cose. Finché non c’è un rallentamento e si rompe qualcosa. «Di colpo, fu assalita dalla sensazione di non aver mai davvero vissuto in questo mondo. […] Anche da bambina, per quanto indietro si spingesse la sua memoria, non aveva fatto altro che subire».[2]
Continua la lettura di ELOGIO DELLA VITA A ROVESCIO – DARIA DEFLORIANArchivi categoria: Teatro
SAHARA – CLAUDIA CASTELLUCCI
L’essenzialità è una condizione nel teatro sempre difficile da maneggiare, ma è proprio ciò che Claudia Castellucci fa, alla sua quinta presenza al estival, insieme alla compagnia Mòra. In Sahara riduce il teatro al grado zero, in scena ci sono solo tre elementi: corpo, luce e suono.
La scena iniziale delinea già l’atmosfera che accompagnerà tutto lo spettacolo: la platea e il palco sono immersi nel buio e nel silenzio quando la luce di una torcia inizia ad illuminare un attore sullo sfondo. Non appena il palco diventa più visibile, si nota la presenza di sei attori in uno spazio completamente vuoto, i loro vestiti sono rovinati, hanno colori tenui e di tonalità di marrone. Questi sono i colori protagonisti dello spettacolo: sembra di trovarsi in un deserto, intorno a loro non c’è nulla, la luce è di un colore caldo e le immagini non sono del tutto nitide, c’è del fumo che rende l’ambiente “opaco”, come se fossero immersi nella polvere o nella sabbia.
Continua la lettura di SAHARA – CLAUDIA CASTELLUCCITHEBES: A GLOBAL CIVIL WAR – PANTELIS FLATSOUSIS
Libano, Repubblica Democratica del Congo, Bosnia, Grecia. Quattro performer, quattro lingue, quattro nazionalità, unite da un passato (e spesso un presente) di guerra civile, di massacri tra vicini, di case e intere famiglie bombardate e distrutte. E proprio di questa sofferenza parla Thebes: A Global Civil War di Pantelis Flatsousis, presentato al Teatro Astra all’interno del Festival delle Colline Torinesi 2024/25.
Leggi tutto: THEBES: A GLOBAL CIVIL WAR – PANTELIS FLATSOUSISLa scena è vuota e piena allo stesso tempo: ad abitarla non sono solo i corpi dei quattro attori e i loro racconti, ma soprattutto chi non c’è più, cancellato così radicalmente dalla guerra da lasciare come unica traccia di sé i propri abiti. I vestiti, che coprono ogni centimetro del pavimento, ci ricordano che in questo caso anche sopravvivere e avere la possibilità di sedersi davanti ad una telecamera e raccontare (e raccontarsi) è un privilegio. La recitazione oscilla come un pendolo tra l’incertezza della reminiscenza della sofferenza, in cui il performer mantiene sì la sua individualità, ma si fa mediatore dell’esperienza secolare di conflitti sanguinolenti e fratricidi, e la perfetta dizione di attori professionisti alle prese con un classico della cultura teatrale occidentale. I sette a Tebe si svolge lungo tutta la narrazione come un fil rouge storico, ma soprattutto profondamente umano, con lo scopo di sottolineare come questi argomenti non escano mai veramente dalla sfera dell’attualità.
Questo quartetto di lingue, estranee all’orecchio dello spettatore, lo costringe ad abbandonare la comoda posizione passiva sulle poltrone imbottite del teatro e a mettersi in gioco, riflettendo così in parallelo lo sforzo di testimoniare, di raccontare l’orrore che viene fatto dagli attori.
Il costante dialogo tra scena, video live e film (così profondo da concludere la spettacolo con la proiezione dei titoli di coda) contribuisce a rendere più coinvolgente la narrazione, eliminando la distanza tra attori e spettatori attraverso il primo piano sul volto e sullo sguardo dei performer, superando i limiti naturali del teatro stesso. La sensazione che rimane sulla pelle dello spettatore una volta conclusosi lo spettacolo è di essersi intromesso di nascosto dietro le quinte delle riprese di un documentario, di aver potuto vedere ciò che si cela oltre l’inquadratura.
Lo spettacolo ovviamente non si propone di esaurire un argomento così vasto come la guerra civile, ma nonostante ciò, dice molto più di tanti altri spettacoli che pretendono di informare ed educare sugli stessi argomenti. Thebes – A Global Civil War non scade mai nel banale, nel moralismo spicciolo che ripete massime vuote e ovvie; allo spettatore non viene concesso di scrollarsi di dosso lo sguardo e le parole dei quattro performer con un applauso. Davanti a una narrazione di questo calibro non c’è catarsi che tenga.
Questo spettacolo è testamento del vero potere del teatro e del senso della sua sopravvivenza nel mondo contemporaneo: non il rudere di un’epoca passata da adorare come un’icona e da conservare in una teca in qualche museo, ma la necessità radicata nelle caverne più profonde dell’Io umano di comunicare, di raccontare e di stabilire un rapporto fisico, visivo e mentale con un altro essere umano in carne ed ossa.
Barbara Turinetto
Uno spettacolo di Pantelis Flatsousis & the ensemble / Spectrum
Regia: Pantelis Flatsousis
Drammaturgia: Panagiota Konstantinakou
Interpreti: Vedrana Bozinovic, Racha Baroud, Albertine Itela, George Paterakis
Scene e costumi: Constantinos Zamanis
Musiche originali: Henri Kergomard
Video: Constantine Nisidis
Disegno sonoro: Christina Thanasoula
Assistente alla drammaturgia: Ioanna Lioutsia
Consulente scientifico: Manos Avgerides
Assistenti alla regia: Athena Bakoyianni, Anna Karamanidou
Manager di produzione: Rena Andreadaki, Zoi Mouschi
Produzione: Athens Epidaurus Festival
Con il patrocinio di Consolato Generale della Repubblica Ellenica in Torino
Con la collaborazione di Baroneostu
LAPIS LAZULI – EURIPIDES LASKARIDIS
IRONIA E CRUDELTA’
Euripides Laskaridis mette in scena uno spettacolo giocato sulle contraddizioni e nel contempo produce un effetto disarmonico, a tratti consapevolmente, ma che fa uscire il pubblico dal teatro con molti interrogativi.
Un esplosivo inizio ci accompagna in un’atmosfera burlesca, un lupo mannaro rivela la sua ferocia ma lo fa mostrando una poetica sensibile e commovente.
I personaggi grotteschi ricordano creature che hanno attraversato la nostra infanzia, qualcosa di sopravvissuto al passato e che nel presente ritornano con sottile ironia.
Lapis Lazuli è uno spettacolo dalla forte dualità e ci fa interrogare su chi sono i veri mostri, i crudeli, gli assassini…
Il titolo prende spunto da una pietra dal colore blu, lapislazuli, che deriva dal latino e dall’arabo e che viene ripreso dal greco bizantino,il suo colore blu dovuto ad un’alta concentrazione di lazurite al quale vengono attribuiti svariati significati e proprietà spirituali.
Tra il terreno e il celeste i performer si muovono con un linguaggio fatto di suoni vocali e di spari, si disperano si interrogano e si dimenano. Ed è ciò che più colpisce appunto di tutto lo spettacolo, la maestria degli interpreti che giocano in un teatro fatto di variazioni e contraddizioni.
Uno spettacolo coinvolgente, misterioso, sognante e inquietante.
Le maschere ti osservano sotto intrecci di luci e si avvia un viaggio che attraversa scambi di visioni, giochi di potere e crudeltà ampliate da voci dispotiche ed esaltate: chi è il vero cattivo?
Quando arriva, il silenzio si fa denso e violento e lascia per un momento quell’ilarità iniziale.
Un volto mascherato che si lascia intravedere a tratti e ci evoca una trappola, un varco che gli uomini non riescono ad affrontare, intrappolati dalle maschere della società.
Il canto del lupo rivestito di ricchi diamanti esalta il potere della ricchezza e il rito sacrificale del maialino è compiuto.
Alessandra Lai
Ideato e diretto da Euripides Laskaridis
Musiche originali di Giorgos Poulios
Consulente alla drammaturgia Alexandros Mistriotis
Scenografia di Sotiris Melanos
Luci di Stefanos Droussiotis
Effetti sonori di Yorgos Stenos
Costumi di Christos Delidimos e Alegia Papageorgiou
Oggetti di scena di Konstantinos Chaldaios
OSMOSIS coordinamento e comunicazione
produzione Onassis Stegi
con il supporto di Fondation d’entreprise Hermès
coproduzioneThéâtre de la Ville, Théâtre de Liège, Espoo Theatre Finland, Teatros del Canal, Teatro della Pergola Firenze, Festival Aperto / Fondazione I Teatri Reggio Emilia, the Big Pulse Dance Alliance festivals: Julidans, Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, One Dance Festival
cofinanziato dal Creative Europe Programme of the European Union
con il supporto di Megaron – the Athens Concert Hall con il supporto del
Ministero della Cultura Greco
grazie a Onassis AiR Fellowship
un ringraziamento speciale Dimitris Papaioannou & Tina Papanikolaou
USODIMARE – VALERIO BINASCO
Anche quando sveste i panni del personaggio, Valerio Binasco sale in scena con quella naturalezza, nel senso di autenticità e profondità in cui la intende Carlo Cecchi, che dice la realtà (sempre secondo la sua accezione di gioco reale) del suo teatro.
Il corpo scenico – concreto e nervoso – è, in un modo quasi sensuale (il teatro è un fatto anche “erotico”), attratto dal palcoscenico, dal luogo fisico in cui sta agendo. La sua presenza concitata, vibrante e dinamica, incarna quel tipo di teatro – che non incontro di frequente – molto poco concettuale (nel senso di priorità data all’elaborazione intellettuale) e capace, invece, di verità: ciò che Binasco fa sulla scena viene fuori come liberazione di quella «bestia teatrale» che abita la sua anima. Come qualcosa di visceralmente sentito.
SALOMÈ – madalena reversa
La percezione dell’estasi
“Ah! I have kissed thy mouth, Jokanaan, I have kissed thy mouth. There was a bitter taste on thy lips. Was it the taste of blood?… But perchance it is the taste of love….”
Leggi tutto: SALOMÈ – madalena reversaLa compagnia madalena reversa torna al Festival delle Colline dopo il suo precedente lavoro Manfred del 2022.
No, non c’è nessun errore, il nome della compagnia è proprio in minuscolo, il motivo lo svelerò dopo; madalena reversa è un progetto artistico, creato da Maria Alterno e Richard Pareschi nel 2016, che fonde performing, visual arts e danza multimediale.
Dopo il teatro, la musica, l’opera e il cinema non poteva mancare la Salomè sotto aspetto rappresentativo di transmedia wave. Qui viene coreografata e interpretata da una bravissima Gloria Dorliguzzo.
Veniamo accolti da una nebbia che accompagna tutto lo spettacolo come un respiro sospeso nell’aria. Appare uno schermo che interagisce con noi, mostrandoci una frase dell’opera di Oscar Wilde: “Non ci sono Dèi adesso. Ho passato notti, cercandoli dappertutto. Non li ho trovati, Li ho chiamati, Non sono apparsi. Penso che siano morti.” Silenzio, poi a lenti e agognati passi, accompagnata da una musica tetra, entra Salomè.
La musica o per meglio dire i suoni che pervadono la performance la fanno sentire un essere antropizzato dal malessere percepito come una condizione di fragilità umana. Le luci stroboscopiche e psichedeliche dialogano e danzano con la musica, s’intervallano alla forza del suono emettendo spasmi e sputando scie chimiche voltaiche.
Ha un significato profondo questa Salomè sia come drammaturgia musicale che come drammaturgia della danza, essendo l’opera teatrale già di per sé un dramma scritto nel periodo post-romantico di fine Ottocento.
Siamo attratti da una performance fisica di danza non-danza, da un’interpretazione coreografica che, prendendo spunto dalle ultime pagine del testo, traduce le parole in movimenti coreutici, formando una drammaturgia del movimento all’interno di un discorso concentrato sulle azioni del solo corpo.
Il timing dei gesti di Salomè ci trasporta in un mondo onirico, tetro, illuminato solo da fievoli luci giallastre, rossastre, bluastre. I passi sono sintonizzati con le tonalità della musica e appaiono appesantiti da una forma epilettica che parte dai piedi fino ad arrivare allo stomaco. L’interpretazione del corpo e del movimento rimandano all’ansia del vivere contemporaneo.
Avvolta in una felpa nera, bermuda neri e stivaletti neri, questa Salomè non ci fa quasi mai vedere il viso, lo nasconde, come quando inarca il busto verso l’alto fino a farsi “tagliare” la testa e rimanere sospesa per pochi secondi: pura azione emozionante che sintetizza l’intera performance.
Ed eccolo il profeta, rappresentato come “Monolite Jokanaan”, causa di desiderio e di morte per Salomè. Egli urla, grida, maledice tutti emettendo suoni che irrompono nella sala come lampi diegetici. Salomè è attratta da lui ma viene respinta e qui inizia il climax tra di loro; tra una cambio stroboscopico e l’altro lei indossa una specie di museruola formata da una mezza protesi inferiore a mandibola argentata. Ed eccola danzare attorno ad lui, inteso come oggetto del desiderio. Lo vuole tutto per sé, si arriva ad un amplesso con lei che si butta ai suoi piedi, divarica le gambe, si spoglia dalla felpa per rimanere in una t-shirt grigio topo, luci e suoni la trasportano impazzendo tra loro e poi…poi buio di nuovo fino al momento dell’inizio della forza tragica. Una sorta di “danza dei sette veli” psicotica che culmina con la dura forza nell’uccisione di lui.
Posseduta e dilaniata dai sensi di colpa, Salomè irrompe con una mazza da baseball mentre sul finale una luce bianca accecante punta dritto sul pubblico.
Si arriva alla forza degli ultimi gesti, prima della catastrofe, ovvero avvicinarsi al “Monolite Jokanaan” per spogliarlo con ferocia dei veli e portarseli addosso come un senso di liberazione dagli atti impuri. Salomè si arrotola nella grande veste nera che avvolgeva lui. Sa che anche lei morirà e per questo vuole possederlo anche quando diventeranno un tutt’uno.
Lo schermo si riaccende, facendoci leggere che non esistono dèi e che tutto viene percepito dall’ invisibilità della forma.
BREVE INTERVISTA a Richard Pareschi
L.R: “perché madalena reversa e perché in corsivo?”
R.P: “semplice, perché viene confuso con un nome e cognome che esiste già quindi abbiamo pensato di scriverlo in corsivo, altro motivo viene riferito durante il Seicento alla Madalena in Estasi, proprio alla posizione del capo cioè reversa, ed era un’opera del Caravaggio che è stata ritrovata nel 2014 da Mina Gregorio, una delle più importante esperte sulle opere di Caravaggio nonché storica dell’arte italiana. Quindi il nome della nostra compagnia si lega alla percezione dell’estasi come nostra ricerca, legata alle teoria della filosofia contemporanea tedesca su una nuova visione di estetica, e tutta la nostra ricerca si basa sulla percezione, un oggetto che esce fuori da sé stesso oltre la sua reale funzione.”
L.R: “correggimi se sbaglio, ma il vostro Jokanaan lo rappresentate come un monolite, ispirandovi a “2001 a Space Odyssey” o sbaglio ?”
R.P: “beh, rappresenta il concetto di sacro, d’invisibile; è vero rappresenta il monolite da 2001, come invisibile che non si può toccare come il sacro è, nella religione ebraica il velo (Kippà) dietro il “paroakeet” del tempio viene rubato da Erode. In tutta l’opera di Wilde tutti si chiedono che fine a fatto il velo, alla fine Erode ammette che è stato lui a rubarlo e quindi Salomè in qualche modo cerca sempre di toccare l’invisibile.”
L.R: “il metodo grotowskiano c’è nella performance di Gloria Dorliguzzo, o no?”
R.P: “no, cioè sotto il nostro punto di vista, dialogando con lei prima d’iniziare questo percorso, non siamo partiti da Grotowski, anche se dai nostri studi accademici c’è un allineamento ma è esterno. Dopodiché la struttura coreografica dei movimenti è proprio di Gloria, noi abbiamo tracciato un percorso anche con il nostro compositore delle musiche originale Donato Di Trapani, abbiamo elaborato una drammaturgia musicale come punto di partenza dei nostri lavori che poi diventa veramente un monolite, un punto intoccabile e Gloria su questo ha voluto fare una ricerca di qualità dei movimenti, dopo di che come coreografa della pièce… quindi ti dico un ni da parte nostra, mentre per lei, non avendo una formazione teatrale accademica tradizionale, non ci ha fatto sapere se conosce questo metodo grotowskiano, ma chi lo sa, forse…”
Luigi Rinaldi
Dall’opera di Oscar Wilde
ideazione e regia Maria Alterno e Richard Pareschi
composizione coreografica e interpretazione Gloria Dorliguzzo
musiche originali Donato Di Trapani
disegno luci Andrea Sanson
direzione tecnica e fonica Francesco Vitaliti
mandibola Plastikart Studio di Zimmermann & Amoroso
progetto grafico Federico Lupo
produzione madalena reversa in collaborazione con Motus VAGUE coproduzione FOG Triennale Milano Performing Arts, TPE – Festival delle Colline Torinesi
con il sostegno di C.U.R.A. – Centro Umbro Residenze Artistiche / ZUT!, Anagoor
SENZA TITOLO – ROMEO CASTELLUCCI
L’individualità è per definizione il complesso degli elementi di caratteristica ed esclusiva pertinenza del singolo. Attualmente, cosa ci pone come individui all’interno della collettività? Una tematica complessa, che ci viene mostrata nell’elaborazione dell’installazione performativa Senza Titolo di Romeo Castellucci all’interno della Fondazione Merz. La sala che ospita l’azione è completamente bianca, per non concedere distrazioni allo spettatore, ed è presente un fumo che rende austero il luogo. Al centro della sala è collocata una sbarra d’oro sospesa, che viene colpita dai capelli dei diversi performer, generando così un suono. Appena si entra l’azione è già iniziata, probabilmente mai finita, perché l’azione non prevede una conclusione ma una ciclicità e un continuo sostituirsi di persone che compiono il medesimo gesto. Sono le prime impressioni a rendere la sala un luogo dal tempo altro.
Continua la lettura di SENZA TITOLO – ROMEO CASTELLUCCIIL FUOCO ERA LA CURA – SOTTERRANEO
Nel momento in cui vige sempre più la cultura del disimpegno e del disfacimento intellettuale, la compagnia del Sotterraneo al teatro Astra mette in scena Il fuoco era la cura dove l’elogio dell’Arte in tutte le sue forme s’impossessa dello spazio scenico; dalla recitazione al ballo, dal cinema al teatro, con la letteratura come punto di riferimento alto. Come afferma il filosofo Ferraris, la verità non esiste se non viene registrata. Quando ogni impronta di sapere e di civiltà viene data alle fiamme l’umanità diventa vulnerabile all’affermazione di regimi autoritari. Questo, secondo il capitano Beatty (Radu Murarasu), per un principio di uguaglianza fra individui che libera dal peso di un pensiero complesso, in un futuro distopico che stimola l’immaginazione dello spettatore.
Continua la lettura di IL FUOCO ERA LA CURA – SOTTERRANEOIl combattimento di Tancredi e Clorinda- Torinodanza Festival 2024
Nella Sala Piccola delle Fonderie Limone è andato in scena il 20 ed il 21 settembre lo spettacolo Il combattimento di Tancredi e Clorinda, una co-produzione del Torinodanza Festival. Un piccolo gioiellino la cui narrazione si concentra sul contrasto tra amore ed odio e le emozioni che li accompagnano. Struggimento, paura, rancore e risentimento, vengono elegantemente rappresentati dai ballerini Gador Lago Benito e Alberto Terribile, accompagnati dall’intensa performance canora del tenore Matteo Straffi e del clavicembalista Deniel Perer. Quattro interpreti per 25 minuti di spettacolo, commovente, profondamente sentito. Uno spettacolo dalle vibrazioni antiche. La dolcezza e la naturalezza dei movimenti regalano autenticità ad una vera storia d’amore, finita nel peggiore dei modi. L’affetto profondo talvolta ci svela la profondità di chi ci si pone d’innanzi, rendendoci però ciechi, nel vederne le oscurità. Una storia d’amore destinata alla tragedia, un raggio di realtà indiscussa, una rappresentazione della guerra più antica del nostro mondo, quella contro noi stessi e la persona che amiamo, l’unica, talvolta, ad avere il potere, di renderci completamente vulnerabili. Tancredi e Clorinda, ci confermano nuovamente quale sia l’esito di un buio che incombe inaspettato, quando le certezze su cui abbiamo umanamente costruito ogni nostra aspettativa, decadono.
Poco quindi lontan nel sen d’un monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v’accorse e l’elmo empiè nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide e la conobbe: e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
Non morì già, che sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l’acqua a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de’sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise:
e in atto di morir lieta e vivace
dir parea: “S’apre il ciel: io vado in pace.”
Una pedana è protagonista del palcoscenico, dalla forma circolare, bianca, rappresenta un mondo, forse il loro. Col volto coperto, i due amanti- combattenti, lottano, corrono e si rincorrono, fuggono e si cercano. Il suono di ogni passo sulla pedana ricorda un battito del cuore, mi sovviene alla mente il suono onomatopeico del ritmo cardiaco, un’eco dall’inesauribile forza e costanza. Ad un tratto il suono si ferma, il cuore non batte più, la battaglia è terminata e l’amore con esso. Una corda unisce indissolubilmente i due amanti, che cinti in vita da essa, si incastrano e si intrecciano, si scontrano e si liberano ma senza mai allontanarsi davvero. L’anatomia dei corpi dei ballerini, restituisce il più alto ideale della carne: attrazione e rifiuto, bellezza, possenza e virtù ed allo stesso tempo, come nell’opera: L’anatomia di un abbraccio di Luna Lu, lo spettacolo, ci regala la possibilità di indagare le anime di Tancredi e Clorinda e vedere due cuori legati ma fragili. Il coinvolgimento che ho provato è stato per me un coinvolgimento totale, ogni nota del canto, scritto da Torquato Tasso, era intrisa di suspense e attesa, la danza, dai movimenti puliti e precisi, ha reso la narrazione chiara e limpida. Una storia quindi che tocca l’anima di ognuno di noi che abbia conosciuto nel suo viaggio di vita l’amore e l’innamoramento e che abbia fatto anche i conti con la perdita, il dolore di un errore e la delusione.
Tancredi e Clorinda sono un paradosso che abita ancora i giorni nostri e che credo fermamente non morirà mai, uno spettacolo quest’ultimo che celebra la sconfitta come libertà e la vittoria come condanna. Le sconfitte ci liberano e aprono davanti a noi le strade più luminose, come Clorinda che ora, troverà la sua pace. La vittoria invece, accecante, ci richiede un prezzo da pagare, talvolta la nostra stessa esistenza.
Rossella Cutaia
regia e visual Fabio Cherstich
coreografia e movimenti scenici Philippe Kratz
musica Claudio Monteverdi
danzatori Gador Lago Benito, Alberto Terribile
tenore Matteo Straffi
clavicembalo Deniel Perer
CENCI. RINASCIMENTO CONTEMPORANEO – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA
CENCI- rinascimento contemporaneo, tra passioni e crudeltà
Torino, 15 ottobre 24, ore 19:30. Teatro Gobetti – Festival delle Colline Torinesi: Cenci, rinascimento contemporaneo
Suoni stridenti, un motivetto rinascimentale risuona nel teatro.
Il racconto si avvia come eco e ricordo proveniente da una tomba.
Maschere fisiche e metaforiche danno inizio alla rappresentazione cupa e tragicomica ambientata a Villa Panfili nella Roma di fine Cinquecento.
Un’aria inquietante attraversa la platea, il gelo di una storia brutale sembra fermare il tempo e tenere tutti in sospeso.