Archivi categoria: Interplay

Lazarus – David Bowie, Enda Walsh, tradotto e diretto da Valter Malosti

Lazarus, nella sua versione italiana tradotta e diretta da Valter Malosti, in scena al Teatro Carignano dal 6 al 18 Giugno, è un’opera scritta da David Bowie e Enda Walsh.

Ispirato al libro The Man who fell to Earth di Walter Tevis e all’omonimo film in cui Bowie interpreta l’alieno Newton, lo spettacolo continua a raccontarci la storia di Newton da dove l’avevamo lasciata. Nonostante non appartenga a questo Mondo, egli rimane prigioniero senza poter tornare al pianeta che lui chiama casa. Incapace di vivere, non riesce nemmeno a morire. Un immortale senza spirito vitale.

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SCONFINAMENTI (che Interplay abbia inizio)

Dal 23 maggio al 10 giugno 2023 Interplay Festival di Mosaico Danza animerà il capoluogo piemontese, con venticinque spettacoli (di cui sette prime nazionali) in programma, presso teatri e spazi multidisciplinari. Si susseguiranno compagnie italiane, realtà ampiamente affermate e giovani proposte, insieme a compagnie di stampo internazionale. A fianco della programmazione, Interplay anche quest’anno proporrà una significativa sezione di eventi performativi outdoor e/o site specific al fine di intercettare nuovo pubblico e incrementare l’offerta culturale rivolta ai cittadini, pure nei luoghi periferici della città.

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INTERPLAY – FESTIVAL INTERNAZIONALE DI DANZA CONTEMPORANEA

CONFERENZA STAMPA 23ESIMA EDIZIONE

Giovedì 11 maggio, presso la Sala della Musica del Circolo dei Lettori di Torino, ha avuto luogo la Conferenza stampa del Festival Interplay. La kermesse inizierà il 23 maggio per poi proseguire fino al 10 giugno 2023. In totale le creazioni saranno ben venticinque, sette  delle quali in prima nazionale. Ad ospitare le performances otto luoghi tra teatri e spazi multidisciplinari. Dalla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani la scena si sposterà all’interno dell’incantevole cornice di Villa Rey passando dalla Lavanderia a Vapore, dall’Imbarchino, dal Teatro Astra, dagli spazi di Via Baltea e da altre location ancora. Un programma ricco di proposte italiane e internazionali che indaga la scena contemporanea mantenendo alta l’attenzione nei confronti del futuro.  

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L’ORESTEA DI LIVERMORE

– Note intonate di un’orchestrazione imperfetta –

“Io voglio mostrare a cosa può assomigliare un albero quando lo si vede per la prima volta nella vita”. – (Werner Herzog)

“Se siete finiti in un vicolo cieco tornate al punto di origine…” e quale origine può essere migliore del mito?

Gli eroi e i personaggi della mitologia greca, proprio perché eccezionali, sono i più indicati per mostrare sentimenti e valori in forme accentuate e, quindi, più evidenti. Per questo il mito è quasi sempre, sia nell’antichità che nella modernità, materiale per la tragedia.

Ma il mito, nella tragedia, è sempre reinterpretato alla luce dell’attualità, cioè dei problemi culturali, sociali ed esistenziali che chi scrive vuole mettere in luce. Lo spettatore si trova così di fronte a uno specchio deformante di quello che lui stesso potrebbe essere e che a tratti è già.

La tragedia infatti diviene il luogo – letterario e teatrale – in cui si dibattono idee e questioni di carattere universale, affronta le contraddizioni della vita e della civiltà, e spesso è costruita in base a conflitti insanabili, che sono propri di ogni era. Come nel caso dell’Orestea che vede contrapporsi giustizia e vendetta, polis e sfaldamento della società, legge del taglione e giustizia amministrata da un primo tribunale.

Ph. Federico Pitto

L’Orestea di Eschilo, l’unica trilogia integrale arrivata sino a noi da un lontano passato che ci risalda alle nostre origini, è andata in scena al teatro Carignano per la regia di Davide Livermore, in due serate ravvicinate (Agamennone e Coefore/Eumenidi) o proposta anche in un’unica maratona, dando la possibilità agli spettatori più temerari di testare il loro grado di resistenza fisica e mentale.

La tragedia, come abbiamo visto, è per sua stessa natura il genere delle grandi passioni, dei grandi amori e delle grandi atrocità.

Sarà a causa di tutta questa grandiosità che Livermore ci propone una trilogia, organizzata in due “atti”, dalla sfarzosa realizzazione: 40 attori, 2 pianoforti, 50mq di ledwall e una lancia Aprilia 1500 presente per la messa in scena al teatro greco di Siracusa, ma che al chiuso del teatro Carignano ci viene risparmiata.

Ph. Tommaso La Pera

Come da tradizione del mito, Livermore prende la storia degli Atridi e l’attualizza, così l’eco della guerra di Troia diviene, grazie agli splendidi costumi di Gianluca Falaschi e alle accurate acconciature, l’eco della Seconda guerra mondiale, in un’ambientazione che si attesta tra gli anni ’30 e ’40. Il cotesto evocato si rifà però più a un certo immaginario cinematografico, sarà perché non riproduce “l’orrida realtà” ma una realtà edulcorata, “imbellettata come fa il 99% dei film hollywoodiani” per citare Tarantino. E il cinema aleggia su entrambi gli spettacoli, frequenti sono le citazioni, pensiamo fra tutte al fantasma della piccola Ifigenia che apre l’Agamennone e che nel finale si sdoppia, restituendoci l’iconica immagine delle gemelle di Shining.

Ph. Michele Pantano

Se “Il cinema è la scrittura moderna il cui inchiostro è la luce” per dirla con Cocteau allora, come abbiamo anticipato, nella messa in scena di Livermore l’elemento che visivamente connota entrambi gli spettacoli è uno schermo di forma circolare, fatto di luce, un ledwall di 50 mq, sul quale appare una sfera che ruota sul proprio asse (come un globo terrestre) e dentro alla quale prendono forma i video progettati da D-Wok; l’elemento illusionistico è tutto tecnologico e lo riscontriamo soprattutto nella forte tridimensionalità delle immagini.

Il risultato è di impatto “grandioso”, uno strumento dall’enorme potenziale vanificato però da un utilizzo eccessivamente didascalico o che veicola una spicciola morale che disattende l’intento registico che troviamo nel pamphlet di sala:

Ogni volta che realizziamo l’atto umano di ritrovarci a teatro, un atto intimamente più complesso della condivisione, ci troviamo a formulare una riflessione profonda nei confronti della società, una riflessione che, in questo caso diviene concreta in quanto, nell’abbraccio della parete di specchi che delimita il mondo dell’Agamennone, il destino dei personaggi sulla scena si unisce indissolubilmente a quello degli spettatori che, nel riflesso, divengono agenti

Ph. Tommaso Le Pera
Ph. Federico Pitto
Ph. Federico Pitto

Così siamo investiti da occhi giganti, maremoti, incendi, esplosioni, immagini di tragedie umane degli ultimi anni, tra cui persino la Costa Concordia… d’accordo con Andrea Pocosgnich si tratta di un “un campionario di effetti visivi tutt’altro che imprescindibili se non come compendio simbolico e didascalico di certe situazioni: il fuoco e il sangue nominato si riverberano nella sfera amplificando l’immagine già impressa nella parola”.

Quel desiderio di Herzog con cui abbiamo cominciato, mostrare un albero come se lo si vedesse per la prima volta, mi sembra che appartenga in qualche modo anche a Livermore ma la natura delle parole di Eschilo contengono un potere evocativo possente, per stessa ammissione del traduttore Walter Lapini, Eschilo è l’unico dei tre tragediografi greci “a parlare davvero una lingua ancestrale e oscura”. Il suo stile grandioso, solenne, magniloquente, seppur sbiadito nella traduzione, rimane comunque poderoso. Una lingua che come dice Pasolini “si fa strada verso la meta pressando e sfondando” e che proprio per questo non ha bisogno di rafforzi visivi che distraggono e in qualche modo de-potenziano. Soprattutto se si ha a che fare con degli interpreti di indubbio valore come la brava Linda Gennari, Giuseppe Sartori nei credibili panni di un Oreste partigiano o Laura Marinoni con la sua imponente presenza scenica, orchestrati da Livermore all’interno di una precisa partitura ritmica di gesti declamatori e ostentatori che richiamano alcune plasticità tipiche dell’opera lirica. Griglia che risultava a tratti, per alcuni interpreti, persino un po’ stretta, ma che rivela una certa fedeltà alla tragedia antica.

Ph. Federico Pitto

Il teatro di Livermore è un teatro di regia nel senso molto classico del termine. Abbiamo un assoluto rispetto del testo, si esige una fusione degli interpreti che vuol dire star lontano da un teatro che poggia sull’ “esibizionismo” degli attori, sul lusso delle attrici, sulla distinzione dei ruoli, nel senso che anche il più piccolo ruolo ha il suo momento di centralità e declamazione, in maniera molto “democratica”.  Le sfarzose scene che hanno il compito di trasformare poeticamente il dramma di Eschilo, non sempre riescono nell’impresa. Scene e i costumi dovrebbero infatti essere considerati come parti integranti dell’opera poetica, cui è imposto l’obbligo non di fotografare la realtà ma di trasformarla poeticamente secondo lo stile e il carattere del dramma rappresentato a prescindere dalla scelta dell’adattamento. Ma per quanto riguarda la scenografia risulta decisamente poco organica, si ha l’impressione che gli apparati e i materiali scenici predomino e ingombrino. L’attore si trova così costretto nel movimento, a causa di uno spazio sacrificato, lo scenario spesso attrae tutta l’attenzione dello spettatore.

Va detto però che lo spettacolo, come abbiamo già accennato, e come si può vedere dall’immagine di copertina, nasce per essere rappresentato al teatro greco di Siracusa, che è uno spazio fuori misura, rivelando un progetto che forse manca di lungimiranza rispetto alla possibilità di un riadattamento in uno spazio diverso e al chiuso.

Ph. Tommaso Le Pera

Il pubblico è chiamato in causa come parte integrante del dramma ma se in Agamennone non è così chiaro nonostante il monologo di Cassandra che si rivolge direttamente alla platea, del resto quasi tutta l’azione scenica si svolge in proscenio con una prossimità al pubblico che tenta di inglobarlo, ma rimane il dubbio se ci riesca, nel secondo spettacolo, che racchiude Coefore/Eumenidi, il coinvolgimento del pubblico è esplicitato nominandolo come popolo di Atene durante il processo. Il pubblico è infatti invitato a votare sulla colpevolezza o innocenza di Oreste, pura formalità visto che alla fine sarà Atene con il suo voto che vale doppio ad assolvere il matricida.

Gli spettacoli nel loro complesso sono estremamente godibili, ma non assomigliano a “un albero visto per la prima volta”. Quello stupore, quella meraviglia, quello shining che entrambi gli spettacoli hanno, abbaglia, confonde, disorienta, ammicca eccessivamente.

Così alla fine il verso greco non tradotto risveglia ricordi ancestrali e anela rimpiante passeggiate nei boschi, di alberi magari non visti per la prima volta ma che non hanno la pretesa di essere altro da sé.

Less is more

Nina Margeri

CAST E CREDITI COMPLETI

AGAMENNONE

Produzione Teatro Nazionale di Genova, INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico

Traduzione Walter Lapini

Regia Davide Livermore

Personaggi e interpreti

Musici | Diego Mingolla, Stefania Visalli
Sentinella | Maria Grazia Solano
Corifea | Gaia Aprea
Coro | Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca, Valentina Virando
Clitennestra | Laura Marinoni
Messaggero | Olivia Manescalchi
Agamennone | Sax Nicosia
Cassandra | Linda Gennari
Egisto | Stefano Santospago
Spettro di Ifigenia | Aurora Trovatello, Ludovica Iannetti
Vecchi argivi | Davide Pennavaria, Marco Travagli, Alessandro Trequattrini
Oreste bambino |Riccardo Bertoni
Elettra bambina| Anita Torazza

Scene Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi

Costumi Gianluca Falaschi

Musiche originali Mario Conte

Luci Marco De Nardi

Video Design D-Wok

Regista assistente Giancarlo Judica Cordiglia

Assistente alla regia Aurora Trovatello

Costumista assistente Anna Missaglia

Cast tecnico

direttore di scena Alberto Giolitti
direttore di palco Michele Borghini
capo macchinista Marco Fieni
macchinista Nathan Copello
macchinista / attrezzista Giulia Chittaro
capo elettricista Toni Martignetti
fonici Edoardo Ambrosio, Umberto Ferro, Stefano Gualtieri
video Luca Nasciuti
trucco e parrucco Barbara Petrolati, Giuseppe Tafuri, Giovanna Molinaro
sartoria Cristina Bandini, Viviana Bartolini

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COEFORE/EUMENIDI

ProduzioneTeatro Nazionale di Genova, INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico

Traduzione Walter Lapini

Regia Davide Livermore

Personaggi e interpreti “Coefore”

Musici | Diego Mingolla, Stefania Visalli
Oreste | Giuseppe Sartori
Pilade | Gabriele Crisafulli
Elettra | Anna Della Rosa
Le Coefore | Gaia Aprea, Alice Giroldini, Valentina Virando, Cecilia Bernini (cantante), Graziana Palazzo (cantante), Silvia Piccollo (cantante)
Voce e immagine di Agamennone | Sax Nicosia
Clitennestra | Laura Marinoni
Cilissa | Maria Grazia Solano
Egisto | Stefano Santospago
Una donna | Nicoletta Cifariello
Le Erinni | Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina, Turi Moricca
Guardie | Lorenzo Crovo, Lorenzo Scarpino, Davide Niccolini

Personaggi e interpreti “Eumenidi”

La Pizia (Profetessa) | Maria Grazia Solano
Apollo | Giancarlo Judica Cordiglia
Le Eumenidi | Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina, Turi Moricca
Fantasma di Clitennestra | Laura Marinoni
Statua di Atena | Bianca Mei
Atena
 | Olivia Manescalchi

Scene Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi

Costumi Gianluca Falaschi

Musiche originali Andrea Chenna

Luci Marco De Nardi

Video Design D-Wok

Regista assistente Sax Nicosia

Assistente alla regia Aurora Trovatello

Cast tecnico

direttore di scena Alberto Giolitti
direttore di palco Michele Borghini
capo macchinista Marco Fieni
macchinista Nathan Copello
macchinista / attrezzista Giulia Chittaro
capo elettricista Toni Martignetti
fonici Edoardo Ambrosio, Umberto Ferro, Stefano Gualtieri
video Luca Nasciuti
trucco e parrucco Barbara Petrolati, Giuseppe Tafuri, Giovanna Molinaro
sartoria Cristina Bandini, Viviana Bartolini

COLLETTIVO MINE – ESERCIZI PER UN MANIFESTO POETICO

“L'occhio aperto e l'orecchio vigile trasformano le più piccole scosse in grandi esperienze. Da tutte le parti affluiscono voci e il mondo risuona.”
V. Kandiskij

Il Collettivo MINE viene ospitato al Festival Interplay ’22 con lo spettacolo che segna la nascita del gruppo, nato dall’incontro artistico tra cinque coreografə il cui intento è quello di sperimentare un lavoro di creazione orizzontale e una scrittura a dieci mani, attraverso un percorso di ricerca nutrito da costante condivisione e contaminazione di pratiche e linguaggi. Ed è il palco della Lavanderia a Vapore di Collegno, che ricordiamo essere l’unico centro di residenza per la danza in Piemonte, nella cornice, appunto, del festival di danza contemporanea e performing arts Interplay/22, ad accogliere nella serata di mercoledì 8 giugno MINE con Esercizi per un manifesto poetico, in prima regionale.

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RIGHT DI CARLO MASSARI

Chi ha il potere di scegliere la vergine sacrificale? E’ solo una la vittima che si deve immolare per il bene della comunità? Chi detiene il diritto di questa scelta? Per convenzione si risponderebbe: i vecchi, i saggi, gli eletti… ma siamo sicuri che l’anzianità serbi in sé il potere della saggezza assoluta e l’autorità del decidere cosa sia giusto o meno anche per gli altri?

Carlo Massari con la sua produzione Right propone allo spettatore interrogativi di questa portata.

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RE-PLAY / ROUND TRIP – GISELDA RANIERI / ROBERTO TEDESCO

Nella serata di sabato 28 maggio, una settimana dopo l’opening dell’ultima edizione di Interplay 22Festival internazionale di danza contemporanea e performing art – sono andati in scena al Teatro Astra di Torino i lavori di Giselda Ranieri, Roberto Tedesco e Thomas Noone. Gli ultimi due firmano le coreografie per la MM Contemporary Dance Company di Michele Merola. Il Festival, che, come nelle precedenti edizioni, vuole essere un luogo di incontro tra giovani artisti nazionali e internazionali, pubblico e operatori, quest’anno tocca tematiche che vanno dalle diseguaglianze sociali alle discriminazioni di genere, senza spostare troppo lo sguardo, in ogni caso, dal tema di fondo, ovvero la bellezza che, mediante l’arte, può anche divenire importante strumento di lotta alla violenza. In questa edizione di Interplay/22, inoltre, anche lo spazio performativo acquista particolare importanza e, attraverso una programmazione che esplora luoghi periferici, o inconsueti, della città per performance outdoor, tenta di smarcarsi dagli spazi generalmente adibiti all’intrattenimento e allo spettacolo dal vivo. Desiderio che si è senz’altro intensificato nel ritorno del festival in presenza, dopo i due scorsi anni, colorandosi di un entusiasmo che sembra voler rilanciare una tematica molto citata già da fine anni Sessanta, quella del “decentramento”, ma che di fatto, il più delle volte e negli anni a venire, si è risolta in progetti astratti o estemporanei. Per quanto riguarda, invece, il panorama internazionale, per quest’edizione il focus è sulla Spagna, con cinque compagnie selezionate all’interno della rete spagnola A Cielo Abierto, sempre nell’ottica di portare in scena il più possibile artistə fuori dai circuiti mainstream, e mostrare i percorsi più inediti e più interessanti della scena extra-nazionale.

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IL CALCO POMPEIANO DI ADRIANO BOLGNINO

Non si può dire che i due personaggi fossero amanti. Ma considerata la loro posizione, si può ipotizzare. (Massimo Osanna, archeologo)

Per anni un calco pompeiano è rimasto nascosto ai visitatori. Si tratta di due figure distese per terra intrecciate in un tenero abbraccio, rinvenute nel 1922 a Pompei. Anche questi corpi sono stati sorpresi dall’eruzione del Vesuvio che ha, per sempre, immobilizzato il loro legame di cui rimane una sola immagine dopo oltre 2000 anni.

È stato il giovane coreografo Adriano Bolognino a dare possibilità di movimento a queste due figure intrecciate, con la coreografia Gli Amanti, lo stesso nome con cui è conosciuto il calco. La performance è stata presentata, con la prima regionale, nella serata di Interplay Festival ’22 il 25 maggio 2022 presso la Casa della Danza in Piemonte, La Lavanderia a Vapore.

https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/17_aprile_06/scavi-pompei-abbraccio-gay-un-calco-domus-criptoportico-f89d5ae2-1ad3-11e7-adb5-4896456c7777.shtml
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Beat di igor x moreno | loop di farforyo

22 giugno 2021 | Festival Interplay – Mosaico Danza presso Lavanderia a Vapore a Collegno

Non si è mai del tutto preparati ad uno spettacolo di danza contemporanea, a meno che tu non l’abbia già visto. E anche su questo si potrebbe discutere. Questa volta non si era preparati per niente, perché BEAT di Igor x Moreno scardina molta di quella tradizione che ci si aspetterebbe, ed è un gran bene che lo faccia. 

Gli spettatori della serata conclusiva del festival di danza contemporanea Interplay 2021, organizzato come ogni anno da Mosaico Danza con la direzione di Natalia Casorati, si raccolgono fin da subito nel foyer, dove l’energia che si respira è di quelle buone, che calmano e preparano. Andando poi a prendere posto l’allestimento scenico traghetta e riorganizza le vibrazioni positivegià presenti in entrata: da un lato una dj già all’opera con un live set di musica elettronica, dall’altro un light designer, mentre nel palco una pedana quadrata con dietro tre tende protagoniste di un disegno geometrico tridimensionale. 

ph Andrea Macchia
ph Andrea Macchia

Il sound design prende sempre più forza, e si irradia nello spazio quando arriva la danzatrice (Magherita Elliot), posizionata al centro della pedana. È lì che intende rimanere per tutta la durata della performance. Ciò che colpisce fin da subito della performer, vestita con abiti casual e sportivi, è che sembra non avere i denti. Questo dettaglio spiazza e disarma tutto il pubblico: circondata da una luce di un bianco ottico accecante, la figura risulta addirittura non umana.

Ma ciò che ancor più colpisce è il suo linguaggio corporeo, in costante dialogo con lo spettatore e con il proprio io. Le luci molto forti e la musica molto alta fanno da ornamento ad un’indagine che si serve in particolar modo dell’espressione del volto e della gestualità delle mani, di immediata riconoscibilità perché tratte dalla quotidianità. È una conversazione alla pari, nella quale il pubblico viene interpellato, istigato, reso partecipe. Il movimento nasce da una danza contemporanea di ricerca unita ad influenze tratte dal voguing e non solo, che rendono il codice coreografico ibrido e molto personale.

Da menzionare, i meravigliosi contrasti che vanno a crearsi tra musica/luci e corpo, che mantiene quasi sempre una costante di tranquillità grazie ad un’investigazione controllata e consapevole. È tutto un gioco che gioco non è. La provocazione non è velata e le azioni della performer portano il peso degli argomenti trattati. 

ph Andrea Macchia

L’apice si raggiunge con un’intermittenza psichedelica delle luci, preludio di un loop di movimenti che sembra non fermarsi mai: saltelli ripetuti, tutti perfettamente identici e danzati con la stessa intensità. Nel mentre il pubblico viene illuminato anch’esso, quasi a diventare coprotagonista. Il loop continua trasformandosi in incessanti oscillazioni del bacino a destra e a sinistra. Questa perseveranza del bacino premia Igor x Moreno per la scelta di rimanere in un luogo e in una condizione, che conducono il pubblico in una sorta di trance. Il momento di stasi-non stasi viene spezzato da movimenti circolari e luci in bianco e nero dall’effetto smorzante. 

E poi si ferma, la performer. E chiude gli occhi. Luci e musica iniziano la loro discesa in una calma finale e distensiva. Applausi fortissimi per la performance, e un applauso speciale per la giovanissima danzatrice che ha gestito 50 minuti di assolo con perfetto controllo, accompagnando tutti i presenti in un proprio substrato emotivo fatto di domande quotidiane, sempre le stesse, e di risposte anch’esse quotidiane, ma sempre diverse. 

ph Andrea Macchia

La serata avrebbe dovuto poi continuare all’aperto, ma la tempesta di grandine del pomeriggio ha costretto l’organizzazione ad allestire la seconda performance nel foyer. La compagnia Farforyo, guidata dal giovane coreografo russo Evgeniy Melentyev, porta in scena LOOP,  un duo dove equilibrio e velocità vincono su tutto. I due danzatori entrano dall’esterno e riempiono tutto lo spazio con un’energia controllata, fluidissima e in costante movimento. Il linguaggio è contact improvisation contaminato da elementi di breaking e movement design. Le braccia dei due danzatori compongono figure sempre diverse e sempre più veloci, rimanendo pulite e “oliate”.

ph Andrea Macchia

È una lotta giocosa e incessante, dove tempo e sincronia sono perfetti. Il pubblico è per metà seduto per terra ed è veramente vicino all’azione, che ti ingloba senza sosta, pur non schiacciando né comprimendo lo spazio. L’interazione sociale è al centro di questa indagine che crea connessioni rapide ma costanti, come quelle che in fondo viviamo anche noi tutti i giorni. 

ph Andrea Macchia

Silvia Urbani

Credits 

BEAT

coreografia Moreno Solinas, Igor Urzelai

con Margherita Elliot

dj Martha, Anna Bolena
lighting designer e responsabile tecnico Seth Rook Williams
scene e costumi KASPERSOPHIE
dramaturg Simon Ellis
consulenza esterna Alberto Ruiz Soler
production manager Fergus Waldron
prodotto da Sarah Maguire
movement advisor Olmo Hidalgo
co-produzione Theatre de la Ville
finanziato da National Lottery through Arts Council England
commissionato da The Place, The Lowry and Cambridge Junction
con il supporto di the Spanish Embassy Office of Cultural and Scientific Affairs, Siobhan Davies Dance, Dance4, TIR Danza, Workshop Foundation, Dantzagunea, l’Animal a l’esquena, BAD Festival, S’ALA and The Point

LOOP

coreografia Evgeniy Melentyev
con Evgeniy Melentyev e Alkesei Sidelnikov