Martedì 9 e mercoledì 10 novembre, per il Festival delle Colline Torinesi, è andato in scena alle ‘Lavanderie a vapore’ di Collegno, lo spettacolo Sonora Desert della compagnia Muta Imago, composta da Claudia Sorace (regista) e Riccardo Fazi (drammaturgo/sound designer).
«È la prima volta che realizziamo un lavoro dove non c’è il teatro, non c’è la performance, non c’è un evento dal vivo di fronte allo spettatore, ma c’è un’esperienza proposta direttamente su di te che la fai» dice Riccardo Fazi, che si è gentilmente fatto intervistare.
Il nuovo spettacolo dei Muta Imago è un’installazione allestita in tre diverse stanze. Cinque, se si prendono in considerazione anche la stanza di ingresso, in corrispondenza della biglietteria, e l’uscita, dove si depositano e si recuperano gli effetti personali riposti in appositi contenitori trasparenti.
«È una scommessa che richiede una disponibilità da parte di chi partecipa.»
“No, non conobbi mai l’invidia, mai! Di me chi avrebbe mai potuto dire che ero uno spregevole invidioso, un verme che si schiaccia sotto i piedi, un’impotente serpe che si ciba di polvere e di sabbia? Nessuno! Ed ora – lo confesso – invidio”. In queste parole, tratte dal breve dramma Mozart e Salieri di Puškin ed enunciate da uno dei personaggi, si racchiude probabilmente l’essenza di Livore, portato in scena alla Lavanderia a Vapore di Collegno dalla compagnia VicoQuartoMazzini. Lo spettacolo prende infatti spunto dall’ormai celebre rivalità fittizia tra i due compositori e, trasponendola ai giorni nostri, la utilizza come punto di partenza per esplorare il tema dell’invidia nel mondo contemporaneo. Non più quindi Mozart e Salieri, ma Amedeo e Antonio, due attori, uno di teatro sperimentale dai forti princìpi, l’altro già ampiamente inserito nella macchina della fiction e con una carriera in ascesa, anche grazie all’aiuto del suo agente e fidanzato Rosario. I due, entrambi coinvolti nella realizzazione di una serie tv su Mozart, si confrontano a casa di Antonio, nelle ore che precedono un’importante cena organizzata per lanciare definitivamente la carriera di quest’ultimo.
Una ricerca all’interno del mondo dei DSA
(disturbi specifici dell’apprendimento) è questo il tema dello
spettacolo “#44dono sospeso altrove” di Monica Secco portato in
scena alla
Lavanderia
a Vapore di Collegno dal 31 gennaio
al 2 febbraio 2020 dall’associazione ArteMovimento nel contesto del
progetto europeo Erasmus + “PerformAction”.
Cosa definisce l’identità di una persona? Basta venire al
mondo per essere visti? E se nessuno ci vede esistiamo lo stesso?
Fai vedere che ti dai importanza, e ti sarà data importanza, assioma
cento volte più utile nella nostra società di quello dei greci “conosci te
stesso”, rimpiazzato ai giorni nostri dall’arte meno difficile e più
vantaggiosa di conoscere gli altri.
(Alexandre Dumas – Padre)
1844 le parole di Dumas sembrano scolpite immortali senza
tempo, ed arrivare con la potenza dell’attualità sino a noi. Il bisogno di
farsi vedere per affermare la propria esistenza, restare sotto i riflettori per
non piombare nel terrificante buio della profondità del sé. Trovare nello
sguardo dell’altro l’autorevolezza di porci in esistenza.
Sara Pischedda con ironia e coraggio riesce a mettere il suo corpo a servizio della narrazione, raccontandoci di una “società dello spettacolo”, come la definirebbe Guy Debord, impegnata a mostrare corpi osceni caratterizzati da un’ostentazione sguaiata, irriverente, scandalosa.
Seduti nel buio della sala odiamo il riconoscibile rumore del proiettore cinematografico e su un red carpet fatto di luce bianca comincia a sfilare il contorno giunonico di una donna. Vestito attillato giallo fluo, scarpe a spillo, il corpo si muove a scatti sincopati assecondando i click e i flash non di fotografi, come ci aspetteremmo da un red carpet, ma quelli della fotocamera di un telefonino che scatta selfie in maniera crescente sempre più compulsiva.
Buio, i rumori dei click cessano. Questo silenzio dà allo
spazio una dimensione liquida. La luce cambia e in questo stato di ritrovata
placenta Pischedda comincia a spogliarsi, non in maniera erotica o sensuale, ma
come trasfigurando il proprio corpo che da umano a un certo punto ci appare
come materia plasmabile, feto che si dimena con fatica ma senza frenesia, assecondando i tempi
dilatati dell’attesa. Il respiro è all’unisono con il battito del cuore è alla
fine il corpo scivola via da quello stretto tubo giallo fluo. Non c’è dolore in
questo travaglio non è una vera è propria rinascita ma più un “ritorno al corpo
dove sono nato” un ritorno alle origini.
Il corpo che si manifesta in un nudo integrale come pura
bellezza non ha nulla a che vedere con l’osceno precedente. Un corpo morbido,
burroso, accogliente, non propriamente in linea con i canoni estetici che siamo
abituati a subire. Poi accade qualcosa di semplice ma al tempo stesso
straordinario, questo corpo a noi estraneo dichiara il suo nome. Un atto tanto
astratto ha in realtà un potere estremamente concreto, fisico, nel tracciare
confini identitari. Le parole di presentazione e i movimenti che le
accompagnano vengono ripetuti in maniera quasi ossessiva, come se passassimo più
volte un pennarello sulla stessa linea per accentuarne i contorni. I movimenti
si fanno sempre più larghi e il corpo tende a riempire l’intero palco.
Questo corpo importante che nella nostra società
contemporanea sarebbe invisibile probabilmente per mancanza di like, compie un
atto squisitamente politico e si riappropria del suo spazio nel reale, il suo
spazio trimensionale, occupandolo.
Ironica, intelligente, coraggiosa non per aver messo a nudo il suo corpo ma per aver portato alla luce, in maniera schietta e tremendamente sincera, paure e frustrazioni nel tentativo, una volta mostrate, di legittimarle all’esistenza. Così quei 120g che gravano come ipoteca sul presente, diventano la traccia di un destino quello che porta Pischedda ad indagare e ricercare attraverso la danza una conoscenza profonda del suo corpo nel lungo ed accidentato cammino dell’accettazione di sé, rendendo per questo il suo messaggio universale.
Senza sovrastrutture, fuori dagli standard, il corpo ritrova l’istinto alla libertà
P.S. non ci sono foto della nudità di questo corpo online a conferma di un bisogno di riappropriazione di una spazio reale che può essere visto e condiviso solo nell’intimità di un un incontro.
Mercoledì 29 gennaio 2020 la Lavanderia a Vapore di Collegno ha ospitato lo spettacolo Gonzago’s Rosedella compagnia Tardito/Rendina; uno spettacolo prodotto per la prima volta nel 1999 da Federica Tardito e Aldo Rendina che affronta il tema “dell’amore-non amore”, portato in scena quest’anno per i ragazzi delle superiori.
Se mi
venisse richiesto di definire questo spettacolo con poche parole,
immediatamente penserei a : flusso – energia – libertà.
Sono
effettivamente queste le sensazioni che ho percepito nella sera di
sabato 18 gennaio 2020 nella sala della Lavanderia a Vapore di
Collegno.
Ho
assistito a Temporal,
uno
spettacolo di danza, che vede come protagonista il Balletto Teatro di
Torino, accompagnato dal vivo dalle note di Julia Kent,
violoncellista canadese di fama internazionale.
Sentiamo l’esigenza di capire, dare un senso a tutto quello che osserviamo: fuori, dentro accanto al nostro corpo. Non sempre il significato emerge ad una prima visione, e senz’altro “Future man” necessita di più sedute per poterne cogliere particolari necessari alla comprensione della narrazione, che a volte si fa elusiva per lasciare spazio ad un movimento stimolante per l’occhio dell’osservatore.
Martedì 12 novembre è stato ospitato alla Lavanderia a Vapore Collective Trip, spettacolo che inaugura la 36esima Stagione di Danza del Balletto Teatro di Torino. Gli artisti della compagnia salernitana Borderline Danza, partendo dal loro interesse di esplorare le specificità e i confini della creazione artistica e compositiva, si sono confrontati con temi quali l’amore nelle sue differenti sfaccettature, le trasformazioni, la propria identità, il gender.
La ventiquattresima edizione del Festival delle Colline Torinesi si è aperta domenica 2 giugno 2019 alla Lavanderia a Vapore di Collegno. Ad inaugurarla una delle compagnie della sezione “grandi ritorni”, la Socìetas, che, solcando la storia del teatro italiano fin dall’anno della sua fondazione nel 1981, ha anche segnato quella del Festival, contribuendo, come scrive Sergio Ariotti, «in modo determinante a definirne l’immagine in Italia e in Europa». Un grande omaggio ed un grande onore dunque avere sulla scena Chiara Guidi e Claudia Castellucci a stendere il tappeto rosso a quest’edizione, il cui tema dominante è “Fluctus. Declinazioni del viaggio”. E proprio di un viaggio tratta lo spettacolo Il regno profondo. Perché sei qui?. Non di un viaggio nel senso letterale del termine, concreto, ma di un viaggio paralizzato, immobile, che paradossalmente attraversa in maniera trasversale la storia dell’intera umanità e la storia di ogni singolo individuo, posto davanti ad un primo, semplice interrogativo “perché sei qui?” e all’impossibilità di darvi una risposta.
La Lavanderia a Vapore di Collegno, all’interno del progetto multidisciplinare Media Dance, il 19 marzo ha proposto, come mantinéeper le scuole, lo spettacolo Le fumatrici di pecoredella Compagnia Abbondanza/Bertoni.
Media Dance è una rassegna di teatro danza, che si propone di utilizzare lo strumento dell’esperienza artistica per poter affrontare tematiche legate alla realtà che ci circonda e avvicinare gli studenti al teatro e alla danza.
Lo spettacolo della compagnia trentina, terzo appuntamento della rassegna organizzato in collaborazione con il Servizio biblioteche della città di Torino e Fondazione Paideia, affronta un tema molto delicato: quello della disabilità.