Archivi tag: #inevidenza

LE RELAZIONI PERICOLOSE – CARMELO RIFICI

Le luci si accendono nella sala del teatro Gobetti. Gli attori, ancora inguainati nelle tute settecentesche da drughi di A Clockwork Orange, si inchinano con gesti misurati; nessun affetto, nessuna passione, solo la razionalità algida di chi ha raggiunto il suo scopo, attraverso una strategia calcolata nei minimi dettagli e come se i saluti fossero soltanto l’ultima mossa da compiere, prima di ritenere la partita conclusa, la guerra vinta.

Non potrebbe esserci chiusa più esatta per Le Relazioni pericolose con la regia di Carmelo Rifici che, assieme a Livia Rossi, che è presente in scena, ne firma anche la drammaturgia.

Il lavoro è la trasposizione abbastanza fedele di uno dei maggiori capolavori dei libertini francesi: Les Liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos.La storia è semplice: la Marchesa de Marteuil è stata abbandonata dal conte di Gercourt, suo amante, decide di vendicarsi. Scrive a una sua vecchia fiamma, il libertino Valmont convincendolo a deflorare Cécile Volonges, giovane vergine futura sposa del conte di Gercourt. Valmont è a sua volta impegnato in un’impresa altrettanto perfida, la conquista di Madame de Tourvel sposa fedele al marito e poco incline al peccato. Anche se Cécile Volonges si strugge per il giovane poeta (nel romanzo, compositore) Danceny cede alle lusinghe di Valmont…

Rifici e Rossi attraversano questa storia mantenendone intatta la forma epistolare e indagando a fondo le potenzialità violente belligeranti e manipolatorie della parola. Il linguaggio, il potere della metafora, che ci smarca dalla condizione animale si rivela altrettanto ferino. Si potrebbe aggiungere che il linguaggio ha reso consapevole il gesto violento, ha dato alla violenza l’esattezza, l’ha resa più efficace.

E poi un gioco di rispondenze (Roberto Calasso in questo era un maestro: leggere L’impronta dell’editore per averne un saggio) mette in conversazione Choderlos de Laclos con Nietzsche, Hofmannsthal, Girard, Clausewitz, Artuad, ma anche Pasolini, Teresa d’Avila, Simone Weil, Dostoevskij, Zweig, e il Cantico dei cantici. Ogni personaggio si muove dunque sui binari di un modello filosofico diverso.

Rifici sceglie di ridurre al minimo la fisicità degli attori. È invece la parola a regnare: coi microfoni gli attori si sfidano in maniera spietata. Accentua al massimo l’elemento strategico, pensato calcolato – dicevamo all’inizio: i saluti algidi. 

Alle spalle delle proiezioni e giochi di colori fatti con delle vecchie luminose accarezzano lo spettatore creando uno spazio confortevole che attutisce la qualità ustoria della parola.

Premesso che il teatro in cui regia ha l’inziale maiuscola it’s not my cup of tea, bisogna dire che gli attori sono davvero notevoli.
Forse la sala così piccola del Gobetti non è il giusto campo di battaglia per questo spettacolo in cui la parola ha bisogno di spazi più ariosi per arrivare affilata. Magari, passeremo a vederlo a Bologna in cui sarà in scena l’1 e il 2 aprile, all’Arena del Sole.

ispirato da Antonin Artaud, Teresa d’Avila, Elias Canetti, Carl von Clausewitz, Fëdor Dostoevskij, René Girard, Christopher Hampton, Hugo Von Hofmannsthal, John Keats, Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, Friedrich Nietzsche, Pier Paolo Pasolini, Donatien-Alphonse-François de Sade, Simone Weil, Stefan Zweig e dal Cantico dei Cantici
drammaturgia Carmelo Rifici, Livia Rossi
con Flavio Capuzzo Dolcetta, Federica Furlani, Elena Ghiaurov, Monica Piseddu,
Edoardo Ribatto, Livia Rossi
regia Carmelo Rifici
disegno sonoro Federica Furlani
impianto scenico Carmelo Rifici, Pierfranco Sofia
disegno luci Giulia Pastore
progetto visivo Daniele Spanò
costumi Margherita Platé
drammaturgia del corpo Alessandro Sciarroni


LAC Lugano Arte e Cultura

Foto di Luca del Pia

ANTIGONE E I SUOI FRATELLI – POTENZIALI EVOCATI MULTIMEDIALI

In principio era la relazione. Relazione tra di loro, relazione col pubblico, relazione con la società, dai margini al centro, dal centro ai margini.
Se si vogliono trovare le ragioni da cui nasce Antigone e i suoi fratelli, in scena in questi giorni fino al 22 Gennaio alle Fonderie Limone di Moncalieri, bisogna cercarle fuori e oltre i confini dello spettacolo: nelle scuole, nelle carceri, nelle periferie, luoghi in cui quotidianamente i Potenziali Evocati Multimediali – PEM – operano portando le pratiche teatrali, per stimolare l’interazione, in un mondo in cui la comunicazione è sempre più mediata, attraverso schermi.  PEM è un’impresa sociale di giovani attori guidati da Gabriele Vacis, nata nel 2021. 

Continua la lettura di ANTIGONE E I SUOI FRATELLI – POTENZIALI EVOCATI MULTIMEDIALI

ROMEO CASTELLUCCI INCONTRA IL PUBBLICO DEL FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI

Romeo Castellucci incontra il pubblico del Festival delle colline Torinesi.  Il suo Bros, in scena alle Fonderie Limone il 29 e il 30 ottobre  è infatti uno dei titoli di punta di questa 27esima edizione. 
Ustorio, crudele, potente, Bros è un’indagine sulla possibile violenza perpetrata dalle forze dell’ordine in quello iato, ahimè necessario – ogni ideologico pregiudizio è estraneo all’opera – per l’ordine pubblico, tra la persona e la divisa, il cittadino e l’istituzione. 

Continua la lettura di ROMEO CASTELLUCCI INCONTRA IL PUBBLICO DEL FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI

OUT OF THE BLUE – STAGIONE 2022-2023 TEATRO STABILE TORINO

C’è un’attività estiva che trovo particolarmente piacevole: pregustare le gioie invernali, sfogliando le stagioni dei teatri che frequenterò.
A grandi linee dunque, vediamo cosa ci propone il Teatro Stabile di Torino per la stagione 2022/2023. 

Out of the blue. 

Una stagione dall’anima ibrida, che sa porsi nel solco della tradizione, ma con uno sguardo attento al presente. Valerio Binasco e la sua ciurma quest’anno decidono di puntare più a un teatro d’impegno, di indagine critica, che sul puro e semplice intrattenimento.

Continua la lettura di OUT OF THE BLUE – STAGIONE 2022-2023 TEATRO STABILE TORINO

BUCHI NERI – IL TPE PRESENTA LA STAGIONE 2022-2023

Nuovo direttore artistico per il Teatro Piemonte Europa, nuova stagione, nuova veste grafica.

Se entrate in questi giorni al Teatro Astra, ad accogliervi ci saranno delle locandine dai colori fluo, su cui capeggiano delle citazioni di grandi filosofi, ma la cornice dell’immagine non ci permette di leggere le frasi per intero, la comprensione dell’aforisma è in qualche modo negata. Questa la scelta grafica per rappresentare la stagione 2022/23 a cura di Andrea De Rosa, nuovo direttore artistico succeduto a Walter Malosti.
Il titolo è Buchi neri. Il fil rouge, la trasformazione del nostro rapporto con la verità scientifica dopo la pandemia. De Rosa infatti ha intenzione con le stagioni del prossimo triennio di indagare tre sfaccettature diverse del concetto di verità.
Per il momento, facciamo un breve focus su Buchi neri attraverso i titoli principali, invitandovi ad approfondire sul sito e nella biglietteria del TPE.

Continua la lettura di BUCHI NERI – IL TPE PRESENTA LA STAGIONE 2022-2023

IL MISANTROPO

È SOLO L’AMORE CHE CI SALVA DALLA FERITA DEL MONDO

È domenica, metà maggio. Le braccia e le gambe cominciano a scoprirsi, ed è faticoso continuare a indossare la mascherina.
Ciò nonostante, il pubblico sciama in cerca del proprio posto al Teatro Carignano. Stavolta non sono il solo della redazione del blog: arrivano anche altri amici.
Mentre ritiro l’accredito, avvisto anche qualche professore del DAMS. Quando uno di loro ci saluta, scherza, condensando in una battuta tutta la teoria del teatro da Aristotele a Claudio Morganti: al cinema si augura buona visione, a teatro buona fortuna.
Ma perché si mosso tutto il DAMS? Strappato dai divani, ché ventilatore acceso, Morandini alla mano ti vien fuori la domenica perfetta.
E invece siamo nel foyer del Carignano, e la ragione è più che valida: assisteremo all’ultimo allestimento di Leonardo Lidi che, mette in scena Il Misantropo, in occasione dei quattrocento anni dalla nascita di Jean-Baptiste Poquelin, alias Molière.

PH. Luigi De Palma

Suona la campanella e procediamo in fila indiana, all’ingresso una maschera mi dà il foglio di sala. In copertina c’è un cuore anatomico in una campana di vetro. Un cuore che ricorda lo stile di Jeff Koons. Ha una targhetta nera appesa, con le parole Je t’aime.
È il visionario Bovary a fare gli spazi in cui si consuma questa commedia di carattere. A terra c’è la sabbia, sembra di stare sulla Luna. Il campo di azione è ampio, ma dà ugualmente la sensazione di ambiente angusto, forse per via dell’enorme struttura in ferro che lo delimita. Gli attori accedono in scena da un’apertura in basso sul fondo di questa enorme parete, per entrare devono chinarsi. E qui, come in un laboratorio che Lidi analizza, seziona le passioni umani. I temi sono parecchi: amore non corrisposto, amore tossico, lotta all’ipocrisia, paura della vecchiaia, società malata.

Evitando di riassumere la trama e gli intrighi, diremo che Lidi decide di raccontarci le vicende di Alceste, Calimene, Orionte ed Eliante in una messa in scena rigorosa. Se l’ambientazione è contemporanea, il rispetto del testo è altissimo. Si sentono gli echi di Antonio Latella nel teatro lidiano, un teatro dal passo contemplativo, che fugge tempi esagitati e schizofrenici. Il ritmo lento (forse a tratti un po’ eccessivamente lento, ma mai noioso; si noti: è un teatro più detto che agito), sempre denso è tenuto il vita da Alfonso De Vreese, che, chitarra alla mano, conduce le fila della storia.
E poi fiore all’occhiello dello spettacolo: ci sono gli allievi della scuola per attore dello Stabile. Non li vediamo in volto: sono coperti da un passamontagna nero. Rappresentano la società, gli occhi degli altri, che da sempre imprimono una forma alle nostre vite. E poi di tanto in tanto, questi uomini neri – è un bambino a farmelo notare – diventano il correlativo oggettivo delle passioni vissute sulla scena.

Ne vien fuori una commedia nel pieno della tradizione, in cui però i personaggi tendono alla tridimensione, a slabbrare i bordi del carattere tratteggiato da Molière. Questo fa sì che riusciamo ad abitare lo spettacolo, ci specchiamo, obbligati a prendere atto che, solo attraverso l’apertura verso l’altro si può medicare la piaga mai sanata dello stare al mondo. Non è un caso che un grande misantropo come Guido Ceronetti scrivesse:

Amarsi
è scambiarsi
le ferite:
più sono,
più grande
è l’amore.

di Molière
con (in ordine alfabetico) Alfonso De Vreese, Christian La Rosa,
Marta Malvestiti, Francesca Mazza, Riccardo Micheletti,
Orietta Notari, Giuliana Vigogna
regia Leonardo Lidi
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Dario Felli
assistente regia Riccardo Micheletti
adattamento Leonardo Lidi
assistente drammaturgia Diego Pleuteri
il sonetto di Oronte è composto da Nicolò Tomassini
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

NB: la citazione del titolo è tratta dalla canzone Mantieni il bacio di Michele Bravi

Giuseppe Rabita