Lo scorso 24 ottobre Torino Danza Festival, in convenzione con il Festival delle Colline Torinesi, ha ospitato alle Fonderie Limone di Moncalieri la prima nazionale della nuova produzione della compagnia belga di teatro danza Peeping Tom diretta da Gabriela Carrizo e Franck Chartier.
La compagnia è famosa in tutto il mondo per i suoi spettacoli altamente provocatori e complessi e “S 62° 58’, W 60° 39’” non è da meno, per questo abbiamo deciso di provare a restituire un doppio punto di vista riportando due recensioni scritte rispettivamente da Graziana Distefano e Mirella Oliveri.
_________________________
Siamo alla serata conclusiva di Torino Danza Festival, che chiude in bellezza con la compagnia Belga Peeping Tom e lo spettacolo “ S 62° 58’, W 60° 39’ “, ideato e con la regia di Franck Chartier. Il titolo indica le coordinate geografiche di un punto nel deserto artico, il dramma si srotola all’interno del relitto di una barca a vela, in mezzo al ghiaccio. In questa ambientazione iperrealista, i superstiti intrecciano le loro personali storie, i sentimenti del regista su ciò che porta in scena e le problematiche del pianeta, facendo emergere una condizione di fragilità e instabilità.
Nel corpo un leggero brivido d’emozione, quasi rischio di non entrare in sala per un malinteso riguardante il mio accredito e questo rende tutto più vibrante quando mi siedo al centro della platea delle Fonderie Limone con un’ottima visuale. È l’ultima serata di Torinodanza, e lo spettacolo “ S 62° 58’, W 60° 39’ ” dei Peeping Tom si colloca all’interno del Festival delle colline Torinesi, giunto alla 28esima edizione e organizzato da TPE Teatro Astra.
Lo smottamento è continuo, l’innalzamento della tensione arriva fino alla rottura, dopo mi sento sballottata come se fossi stata davvero su quella barca che si posiziona al centro del palcoscenico. Con un trasporto magnetico rimango incollata tutto il tempo a quel che vedo e sento, la danza si inserisce in una drammaturgia fitta e senza fiato. I corpi sono esplosivi e preparati, sul palco abbiamo degli artisti non solo dei danzatori, le loro voci allenate si gettano sugli spettatori, provocandoli e ponendo questioni della massima importanza. Le mie sensazioni vanno dalla curiosità alla sorpresa di essere colta così bene nella varietà di storie degli esseri umani in scena. Cogliere e restituire lo statuto dell’artista nella sua fragile e altalenante vita, drammatica fino a diventare a tratti ridicola. L’autenticità e la realtà rimbombano fino a far cambiare e risvegliare lo spettatore. La crisi che vive l’artista è reale e totale, nella scena tutto questo è presente, il trauma personale, l’esaurimento, la crisi energetica, l’artista fa dono di sé e si mette a nudo, implorante, partorisce la creazione come un bisogno, quasi narcisistico e dicotomico. La rigidità del testo che spinge alla disciplina è sicuramente un fattore decisivo per la qualità dell’opera. Si sollevano problemi esistenziali e sul teatro fino a far perdere le coordinate a chi osserva. Ad un certo punto sento rabbia per l’inutilità e l’impotenza che avverto, nel ruolo di testimone che abito, una foto del presente che la compagnia Peeping Tom ci regala in modo diretto. Si sprigiona la potenza del corpo e della guerra, che non viene rivelata del tutto ma repressa in una tensione che la esprime al meglio. Tutto è amplificato quando le luci, le voci e i corpi si armonizzano insieme. Tutto il microcosmo di un singolo si riversa nel macrocosmo, questa immagine emerge molto bene quando avviene la sovrapposizione delle scene: i performer si liberano sempre di più approfondendo l’azione fino all’esasperazione e sullo sfondo altri performer svelano la propria volontà nel dispiegarsi dell’approfondimento che accade dinanzi a loro. E ancora, non possiamo eliminare la guerra se prima non eliminiamo da noi stessi l’atteggiamento di distruggere l’altro e non spezziamo le catena pesanti che ci imprigionano dal lontano passato degli antenati. Fumo, plastica, scenografia spettacolare, il solo fatto di vivere è inquinante? Perché quindi creare? La stratificazione pullula, le questioni sono tante. Di certo non si può andare via senza che gli artisti passino un po’ della loro tensione fisica ed energetica anche a te. Quello che collettivamente ci ha investiti nella serata di venerdì 24 ottobre è un’esperienza che cerca di ricordare all’essere umano ciò che con facilità viene dimenticato. Passa l’urgenza dell’artista come l’urgenza di un mondo che ora più che mai ha bisogno di noi.
Graziana Distefano
_______________________________
Spoiler Alert | L’isola della delusione
“S 62° 58′, W 60° 39’” non è solo il titolo dello spettacolo portato in scena dalla compagnia belga Peeping Tom, ma anche le coordinate della posizione precisa in cui ci troviamo appena si apre il sipario: Deception Island (l’isola della delusione).
L’effetto cinema è immediato, la scenografia è maestosa, perfettamente adattata allo spazio performativo e dal carattere iper-realistico, tratto distintivo delle produzioni della compagnia.
Al centro della scena emerge una barca incagliata nei ghiacci del Nord, è notte e la luce bianca della luna illumina l’imbarcazione circondata da nebbia, vento e strani ronzii. Sullo sfondo si scorgono montagne di ghiaccio e tutt’attorno lastroni azzurri appuntiti sembrano inglobare lentamente la barca. Le Fonderie Limone, che ospitano questa prima nazionale, non esisteranno per le prossime due ore.
Seduto sulla sinistra della prua, con le gambe a penzoloni, un bambino biondo che avrà più o meno 6 o 7 anni. Fuori dall’imbarcazione, su una lastra di ghiaccio, un uomo sta disperatamente tirando una corda legata all’estremità della barca, anche se questa non si sposta neanche di un centimetro. Nel tirare la corda le torsioni delle sue ginocchia verso destra e sinistra creano forme geometriche innaturali, il suo movimento è ossessivo, forsennato: scivola nel ghiaccio, si rimette in posizione e scivola ancora, sta lottando per sopravvivere. Si ha di fronte un danzatore dall’estrema consapevolezza fisica, elasticità e forza.
Ed ecco la magia dei Peeping Tom dispiegarsi di fronte ai nostri occhi: non c’è limite o confine tra recitazione e danza, proprio come il movimento oscillatorio della barca, ritroviamo un moto continuo tra l’una e l’altra forma.
Fallito il tentativo, l’uomo prova a far funzionare la radio, chiama il May Day disperatamente, fallisce e ci riprova ancora. Ora si ha una certezza, ne è consapevole lui e lo è anche il pubblico: da qui non c’è alcuna via d’uscita, non c’è ritorno.
Un sub emerge dall’acqua, una donna esce dalla cabina della barca ed un uomo con lei; affrontano una furiosa tempesta con grande maestria in un gioco di scivolamenti, scavalcamenti e sorpassi dei corpi, si reggono l’uno all’altro cercando di evitare il peggio ma tutto sembra andare nella direzione del tragico.
Ma il colpo di scena arriva ancor prima di capire che ci fa quella barca lì in mezzo, gli attori si rivolgono al regista fuori scena, inizia così una nuova storia. Da quel momento la relazione tra il regista/coreografo Franck Chartier ed i performer diventa un intelligente espediente narrativo per approfondire i caratteri uno alla volta e far emergere un altro nucleo tematico attorno a cui ruota lo spettacolo. Ci viene presentato il coreografo con la sua vita. I suoi mostri e le sue fragilità emergono dal profondo degli abissi, passioni e pulsioni iper-umane affiorano attraverso il dialogo continuo con i suoi attori e la gestione di queste prove pazze.
Siamo di fronte al teatro nel teatro, nel teatro, siamo a teatro, si sta facendo teatro e si sta parlando di teatro. Da qui in poi, lo spettacolo gioca sull’ironia e sulla comicità, con l’evidente intento di creare un binomio tragi-comico, che diventa anche profondo-superficiale, intenso-leggero, violento-delicato, passionale-apatico passando continuamente dalla scena della barca e alle prove della compagnia, trascinando lo spettatore dentro ad un bambino sofferente, ad una madre in lutto, ad un genitore pentito, ad un amante che ha perso il suo amore e un altro amante che però non sa amare.
Dai dialoghi in Inglese, tradotti sul fondale della scena, emergono temi come la dedizione cieca al lavoro che ci trascina a perdere il contatto con i nostri affetti, lo sfruttamento delle idee e dei corpi dei performer presente nell’industria dello spettacolo, si discute sull’autorialità dell’opera e sulla spettacolarizzazione delle tragedie personali. L’autocritica, a dir poco contraddittoria, che la compagnia rivolge alla propria scenografia, null’altro che kg di plastica e plastica sotto ai loro piedi, apre a numerose riflessioni più attuali che mai.
Gli attori sono psicologicamente intensi e portati al limite dal regista/coreografo che individua in suo padre sulla barca e suo attore irrequieto sulla scena, il fautore del gran finale. Il nudo integrale maschile è annunciato nella sinossi, ed evidenziato da un lento accendersi delle luci in sala durante il progredire della scena. Ma il demone che esce dal corpo del danzatore che con maestria passa rapidamente da umano a iper-umano, no! Non lo avevamo preventivato, e non ci poteva nemmeno aspettare un’uscita di scena cosi, pazza e furiosa.
Una produzione a dir poco gigante, co-prodotta, tra gli altri, da Torino Danza Festival che chiude così un mese e mezzo di spettacoli alle Fonderie Limone, in grande stile.
Mirella Oliveri
Uno spettacolo di Peeping Tom
ideazione e regia Franck Chartier
creazione e performance Eurudike De Beul, Marie Gyselbrecht, Chey Jurado, Lauren Langlois, Yi-Chun Liu, Sam Louwyck, Romeu Runa, Dirk Boelens
assistenza artistica Yi-Chun Liu, Louis-Clément da Costa
composizione sonora e arrangiamenti Raphaëlle Latini
composizione musicale e archi Atsushi Sakaï
scenografia Justine Bougerol, Peeping Tom
light design Tom Visser
coreografia Yi-Chun Liu, Peeping Tom
costumi Jessica Harkay, Yi-Chun Liu, Peeping Tom
assistente tecnico Thomas Michaux
costruzione set KVS-atelier, Peeping Tom
creazione tecnica e oggetti di scena Filip Timmerman
coordinamento tecnico Giuliana Rienzi
produzione Festival Aperto Fondazione i Teatri Reggio Emilia, Torinodanza Festival/ Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale
COPRODUZIONE KVS – KONINKLIJKE VLAAMSE SCHOUWBURG (BRUSSELS), BIENNALE DE LA DANSE (LYON), TEATROS DEL CANAL (MADRID), THÉÂTRE DE LA VILLE (PARIS), THE BARBICAN (LONDON), TANZ KÖLN (COLOGNE), FESTIVAL APERTO/FONDAZIONE I TEATRI (REGGIO EMILIA), TORINODANZA FESTIVAL/TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE (TORINO), TEATRE NACIONAL DE CATALUNYA (BARCELONA) & ESPOO THEATRE, LES THÉÂTRES DE LA VILLE DE LUXEMBOURG, CC DE FACTORIJ ZAVENTEM
DISTRIBUZIONE FRANS BROOD PRODUCTIONS, PEEPING TOM DESIDERA RINGRAZIARE LIO NASSER, LEIETHEATER (DEINZE)
S 62° 58’, W 60° 39’ È REALIZZATO CON IL SUPPORTO DEL TAX SHELTER DEL GOVERNO FEDERALE BELGA