Parigi, Théatre du Rond Point, a due passi dagli Champs-Élysées e da Petit e Grand Palais.
Nel pieno centro di Parigi per un attimo ci si scorda della vita frenetica della città e ci si ferma ad osservare mondi lontani e realtà altre in una distesa infinita di possibilità.
La storia dell’immorale e libertino Burlador de Sevilla, oggi meglio conosciuto come Don Giovanni, è ormai ben nota e viene interpretata in questo spettacolo da Arturo Cirillo presso il teatro Gobetti di Torino.
Si narra, nelle mitologie del Medio Oriente e nelle mitologie arabe, di un enorme e possente pesce che sostiene sulla sua schiena la Terra e tutto ciò che si trova su di essa. Sotto di lui l’ignoto, nulla si conosce e tutto si colloca nel mistero. Questa creatura, la cui storia varia in base ai periodi storici e culturali, si chiama Bahamuth ed è divenuta il il simbolo del desiderio di conoscere l’ignoto. Ora è il titolo dello spettacolo di Rezza-Mastrella. La coppia artistica non è però interessata a riprendere il racconto; piuttosto si ispira ad esso, lo esplora, con l’interesse di comunicare qualche cosa che non sia mitologico ma reale e attuale. I personaggi portati in scena rappresentano uno stereotipo sociale e culturale. Lo spettacolo è satirico, comico, provoca risate che cadono nel profondo di ferite ancora aperte. È un lavoro adatto a tutte le fasce di età perché i personaggi, gli “stereotipati” dell’attualità li conoscono anche i più piccoli.
È andato in scena, alla Casa del Teatro ragazzi e giovani, Il mostro di Belinda di Chiara Guidi e Vito Matera nell’ambito del progetto Tra infanzia e voce, realizzato insieme all’Università di Torino. Lo spettatore prende inconsapevolmente posto in uno spazio che poi, con l’inizio dello spettacolo, si trasformerà nella casa della Bestia.
Lo studio sulla voce operato da Chiara Guidi ci è evidente sin dai primi istanti: voce e testo ci invitano a “sentire”. In questo, la vista e gli altri sensi, sono inizialmente esclusi.
Le orecchie umane sono spesso ricoperte da cuffie, causando così l’isolamento. Diventiamo soggetti privi di noi stessi creando una nostra storia mentale. Ma se evitassimo tutto ciò cosa accadrebbe? Ashes, della compagnia Muta Imago, ci mostra questa realtà ormai dimenticata, quei suoni che si sono dissolti, diventati cenere.
Per la 27esima edizione del Festival delle Colline Torinesi è la compagnia Motus ad essere scelta per la sezione monografica, dedicata ad artistǝ che hanno avuto particolare importanza nella storia sia del festival che del teatro italiano in generale. La compagnia porta in scena tre spettacoli, una rassegna di video e diversi film – in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema – oltre ad altri frammenti di spettacoli ed esperienze di vita, proiettati alla Fondazione Merz; a completare il panorama Motus, un’installazione fotografica di circa 10.000 scatti riguardanti i 31 anni di storia del gruppo, offerti come dono/souvenir al pubblico che varcherà le soglie del Padiglione di Torino Esposizioni.
Il drammaturgo e regista Daniel Veronese, maestro del teatro argentino, porta in scena le Brevi interviste con uomini schifosi con sguardo feroce e molto humor, uno zibaldone di perversioni e meschinità, che ritraggono il maschio contemporaneo come un essere debole, che ricorre al cinismo se non alla violenza come principale modalità relazionale con l’altro sesso. Attraverso una rosa di racconti traccia una propria linea drammaturgica che racconta di uomini incapaci di avere relazioni armoniche con le donne e ci invita a osservarli da vicino.
Daniel Veronese traspone queste voci, scritte da Wallace in forma di monologo al maschile, in dialoghi tra un uomo e una donna. In scena però chiama a interpretarli due uomini, Lino Musella e Paolo Mazzarelli che si alternano nei due ruoli maschile e femminile, in una dialettica che mette in luce tutte le fragilità, le gelosie, il desiderio di possesso, la violenza, il cinismo insiti nei rapporti affettivi.
Con umorismo feroce e impietoso, il maschio contemporaneo è ritratto come un essere incapace di costruire relazioni con le donne. Assisteremo all’uomo che insulta la moglie che lo sta lasciando; all’uomo che vanta la propria infallibilità nel riconoscere la donna che ci sta senza fare storie; a quello che usa una propria deformazione per portarsi a letto quante più donne gli riesce, insomma una galleria impietosa di mostri.
Brevi interviste con uomini schifosi non può non suscitare serie riflessioni sul rapporto uomo-donna. In effetti è lo stesso attore Lino Musella ad affermare in un’intervista:
Azionano domande che il pubblico deve completare, su un tema come il sessismo, ma non solo. Ci sono questioni di genere, dinamiche di relazione, rapporti cannibali.
Foto di Marco Ghidelli
Nonostante i due attori collaborino ormai da anni come coppia, in questo spettacolo non hanno forse trovato la loro piena sinergia apparendo talvolta “sbilanciati”. Scelta interessante quella di alternare i ruoli di genere e non renderli statici ma non completamente riuscita. Da un lato Lino Musella incarna e indaga perfettamente, attraverso i vari ruoli, la mostruosità umana conferendo anche sfumature diverse non solo in base agli episodi ma anche nell’alternanza maschile/femminile. Mazzarelli al contrario, nonostante l’indiscutibile capacità attoriale, sembra quasi trattenersi e non voler cedere a tale mostruosità rimanendo sulla difensiva (se così si può definire la non immedesimazione completa nel testo) e non lasciando spazio a troppe nuances tra maschile e femminile.
Lo spazio scenografico è essenziale, l’unico movimento geometrico è costituito da una diversa disposizione dei tavolini e dai due attori che a secondo del ruolo e della dialettica fra di loro, stanno uno seduto e l’altro in piedi, o entrambi seduti. Anche i costumi sono ridotti al minimo: t-shirt, jeans e a piedi scalzi.
Il risultato finale è comico e disturbante allo stesso tempo. Una rappresentazione cinica ma attuale dell’uomo moderno che suscita il riso nella sua drammatica veridicità.
Irene Merendelli
Di David Foster Wallace
Regia e drammaturgia Daniel Veronese Traduzione Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini Con Lino Musella e Paolo Mazzarelli Disegno luci Marciano Rizzo Direzione tecnica Marciano Rizzo e Gianluca Tomasella Fonica e video Marcello Abucci Realizzazione video Alessandro Papa Responsabile di produzione Gaia Silvestrini Assistente alla produzione tirocinante dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico Gianluca Bonagura Foto di scena Marco Ghidelli Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Marche Teatro, TPE – Teatro Piemonte Europa, FOG Triennale Milano Performing Arts, Carnezzeria srls in collaborazione con Timbre 4, Buenos Aires, e Teatro di Roma – Teatro Nazionale
È impossibile spiegare ciò che la danzatrice danese Mette Ingvartsene il batterista Will Guthrie hanno fatto accadere nella performance All Around. Una danza guidata da un unico assolo di batteria, che trasporta lo spettatore dentro a un mondo di ritualità e trance unico nel suo genere.
Everybody knows that the naked man and woman are shiny artefact oh the past
“(…) Brexit, Trump, Erdoğan, the abuse of our planet, the terror of an expansive economy, the loss of solidarity – those have to be dealt with politically. But the poetry of arts has to provide for the humanity.”
‘All the good è un’immagine estremamente complicata‘. Le parole conclusive dell’opera di Jan Lauwers restituiscono in una rapida pennellata la quantità di materia vivente presente in scena.
Che cos’è l’amore – e quali sono le storie d’amore – in un presente in cui tutto sembra sgretolarsi e passare oltre? Qual è il nostro rapporto con la morte oggi, non soltanto onnipresente, ma anche spettacolarizzata se non banalizzata? Lauwers invita gli spettatori a sedersi a casa con la sua ‘famiglia’, apre le porte del loro atelier, mostra le sue incapacità, si dichiara immediatamente fallace, rendendo il pubblico partecipe dei suoi dubbi, mostrandogli la sua verità. Parla in qualità di regista, ma anche di padre e marito, racconta alcuni aneddoti della vita delle persone in scena. Lo fa anche sorridere, con un umorismo decisamente europeo. Ma le questioni che pone non sono assolutamente leggere, e subito si avverte la sensazione di poter cogliere soltanto una piccola parte di questo enorme quadro vivente in movimento. Gli occhi si spostano avidamente da una parte all’altra, da una lingua all’altra, cercando di catturare un’espressione su un volto, i colori, gli oggetti, la musica; ma tutto si trasforma e sembra non esserci il tempo necessario per carpire ogni cosa: “(…) works of art are not lonely, they are what the viewer has missed. What all the living and dead missed when they looked too quickly. Did not dare look alone, because ‘all the good’ is so much.”
Al Teatro Gobetti, dal 15 al 27 giugno 2021 è andato in scena PANDORA, spettacolo coprodotto da Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Franco Parenti, Fondazione Campania dei Festival a cura del giovane collettivo del Teatro dei Gordi.