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La Vita Davanti a Sé

Momò, dieci anni e molta vita davanti, vive a pensione da Madame Rosa, ex prostituta ebrea «con più chiappe e seni di chiunque altro» che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani. Intorno a lui la variopinta, vitalissima e a volte disperata sarabanda del quartiere di Belleville, tra spazzini mangiafuoco e transessuali campioni di boxe, ruffiani cardiopatici e traslocatori di anziani moribondi, esorcismi tribali, vite che vanno alla rovescia e un’improbabile storia d’amore toccata dalla grazia.

L’ambientazione dello spettacolo è una Parigi romantica, che viene restituita da una scenografia ben architettata, a cui si accompagna la colonna sonora creata da Simone Campa ricca e suggestiva che richiama perfettamente sensazioni, sentimenti e situazioni che Momò, il giovane protagonista, vive e racconta. Insieme al suo Belleville Quartet, un ensemble multietnico con musicisti da Senegal, Marocco, Francia e Italia, lo spettatore viene di volta in volta accompagnato in scene musicali di terre lontane e riti voodoo, con percussioni e voci africane; passeggiate sotto la Tour Eiffel, con valzer e chansonnes francesi; echi di medioriente con musiche e ritmi arabi. Irrefrenabili ed entusiasmanti i momenti di malinconica gioiosità della musica yiddish e klezmer, tipica degli ebrei dell’Europa orientale. Molto suggestivi inoltre i commenti sonori e le didascalie rumoristiche, tra cui musiche di circo e di carillon sospesi nel tempo, effetti sonori per la sala di doppiaggio di un vecchio cinematografo.

Il tono dello spettacolo è tragicomico e se da un lato nelle parti drammatiche Silvio Orlando appassiona e coinvolge il pubblico, al contrario quando si tratta del momento comico e della battuta l’attore sembra faticare ad inserirlo nei tempi giusti. L’ironia quindi spesso non viene colta e accolta da chi ascolta, finendo così “ soffocata”, impedisce allo spettatore di concedersi quella risata liberatoria come virgola necessaria in un testo che non vuole essere per sua natura solo tragico.

Nel complesso si tratta di un testo piacevole da ascoltare e facile da seguire. Forse un po’ meno convincente il finale, una sorta di mini concerto dai toni festosi che vede coinvolto anche lo stesso Orlando come suonatore di flauto traverso, insieme all’ensemble musicale. Sarebbe stato forse più coerente chiudere il sipario prima, lasciando un po’ di amaro nella bocca dello spettatore, più in linea con la chiusura drammatica del racconto.

Irene Merendelli

Tratto dal testo La vie devant soi di Romain Gary (Èmile Ajar) ridotto e diretto da Silvio Orlando. Lo spettacolo è interpretato dallo stesso Silvio Orlando, con i musicisti diretti da Simone Campa: Cheikh Fall (kora, djembe), Roby Avena (fisarmonica)Gianni Denitto (clarinetto, sax)Simone Campa (chitarra battente). Le scene sono di Roberto Crea, il disegno luci di Valerio Peroni, costumi Anita Medici, assistente alla regia Maria Laura Rondanini.

Lo spettacolo, prodotto da Cardellino srl, sarà replicato al Carignano, per la Stagione del Teatro Stabile di Torino, fino a domenica 13 giugno.

LACCI

Il sipario si apre, ci accoglie una scenografia semplice e spoglia, con un velato e malinconico color viola-blu. Due figure sedute su due sedie vicine, un uomo e una donna. Aldo legge dei fogli con un’aria incupita. Solo qualche battuta più avanti si capirà trattarsi di una delle tante lettere di sua moglie, Vanda, la donna accanto a lui. Le parole su quella carta risuonano dalle labbra di lei, parole che rappresentano lo sfogo di anni di sofferenza e frustrazione. “Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie.”. Più la sua voce si fa sofferente e il dolore più forte, più le sedie si allontanano.

La scena cambia ed emerge un senso di apatia e smarrimento. La scenografia prende un aspetto diverso, si tinge di chiaro e diventa più fredda, sterile. Un grande salone disordinatissimo con delle altissime mura tutte bianche, quasi fossero fatte di gesso. Tra i tanti oggetti e tra le pagine dei libri buttati per terra, riaffiorano anche vecchi dolori e verità mai confessate. La casa diventa la  metafora della famiglia con tutti i suoi disastri e le sue rovine. È da qui che tutto parte.

Il tema di Lacci è la storia di una relazione matrimoniale fallita con le rispettive dinamiche famigliari che ne conseguono e le varie ipocrisie su cui molto spesso essa si basa. È senz’altro un argomento che prende al cuore ogni spettatore in sala. Ognuno, almeno una volta nella vita, ha rivestito la parte del compagno ferito e tradito o, al contrario, di colui che vuole tener segreto un amore proibito. Ci si trova partecipi ma allo stesso tempo giudici, senza mai riuscire a prendere le parti di un personaggio preciso. Amanti, fratelli, figli e compagni di vita, tutti ci ritroviamo immersi da quella che si può definire una “tragedia contemporanea”. Proprio nei tumultuosi anni sessanta, ani di forte cambiamento, Vanda, interpretata da Vanessa Scalera, e Aldo, interpretato da Silvio Orlando, si sposano e dopo pochi anni diventano genitori. Più gli anni passano più lui si sente oppresso dall’idea di invecchiare e con il suo animo da ragazzino decide di trasferirsi a Roma per poter vivere la freschezza di un amore nuovo. A differenza della moglie che da subito ci trasmette il suo attaccamento, a volte quasi morboso, alle piccole gioie della vita quotidiana. Donna forte, legata al senso della famiglia e ormai consumata dai sacrifici per di mantenere da sola i suoi due figli. Ripetute sono le sue lettere indirizzate al il marito che dopo anni riescono ad avere risposta con il suo ritorno, dovuto in realtà solamente al senso di colpa. Per lui il matrimonio si dimostra essere un labirinto dal quale si sente intrappolato e. Infatti i “lacci” legati simbolicamente indicano sia quell’azione quotidiana che Aldo inconsapevolmente insegna a suo figlio, sia quel legame, quel vincolo così consueto da essere inavvertito, che può arrivare ad essere soffocante. Sicuramente le ossessioni di una donna ormai non più spensierata e le difficoltà dei figli non aiutano questa sua condizione. Eppure è proprio lui ad ammettere che in fondo anche loro due sono stati felici ma poi forse si sono abituati alla felicità fino a non sentirla più.

Si avverte benissimo lo scontro generazionale tra i genitori e i figli. I genitori cresciuti in un’epoca di grandi cambiamenti, dallo spirito libero e increduli di dover accettare a volta l’impossibilità di essere felici. I figli (Maria Laura Rondanini e Sergio Romano) abituati al non-amore, cresciuti con paure e ossessioni, si armano della solita scusante: “Non è colpa mia! L’ho preso da mia madre..”. Saranno poi loro che si prenderanno la tanto desiderata rivincita.

Il testo teatrale è adattato da Domenico Starnone dal suo omonimo romanzo e mette bene in evidenza quei meccanismi di distruzione reciproca che si vanno a creare talvolta nel matrimonio senza che nessuno dei due coniugi se ne renda conto. È un testo classificabile certamente nella categoria del dramma familiare. Starnone nell’adattamento del testo letterario alla drammaturgia scenica opera una trasposizione forse un po’ troppo fedele che appesantisce  l’andamento della storia e, più in generale, l’azione dei personaggi, nonostante lo spettacolo sia stato arricchito da qualche intermezzo comico e battuta divertente. In realtà infatti, in scena succede poco, si tratta più che altro di ricordi del passato. Tutti gli attori comunicano allo spettatore il senso del dramma e la loro aderenza al personaggio anche se, ai miei occhi, un approccio più sentito avrebbero reso il lavoro più forte e avrebbero permesso allo spettacolo di lasciare maggiormente il segno.

Mercoledì 22 novembre, serata in cui ho assistito allo spettacolo, gli spettatori hanno comunque dato prova di essersi divertiti e di aver apprezzato. Durante gli applausi finali molti spettatori sui loggioni si sono alzati in piedi e la commozione di Silvio Orlando era evidente. È sicuramente una bellissima emozione poterlo vedere come interprete di Aldo. Un personaggio dal comportamento in fondo molto comune ma arricchito dallo stile “buffo” di questo grande attore.

 

In scena al Teatro Carignano di Torino dal 14 al 26 novembre 2017

tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone

con Silvio Orlando

 

e con Pier Giorgio Bellocchio, Roberto Nobile,

Maria Laura Rondanini, Vanessa Scalera

e Matteo Lucchini

regia Armando Pugliese

scene Roberto Crea

costumi Silvia Polidori

musiche Stefano Mainetti

luci Gaetano La Mela

Cardellino Srl