TUTTO BRUCIA – MOTUS

Dopo Alexis. Una tragedia greca (2010), rilettura dell’Antigone alla luce della crisi greca, Motus, Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, torna a confrontarsi con una grande opera del teatro antico: Tutto Brucia “pone la questione fortemente politica di quali siano i corpi degni di lutto”, a partire da Le troiane di Euripide.

Qui tutto è polvere, e acqua; l’erosione del tempo, la violenza delle onde, metalli e fuochi della guerra hanno polverizzato una città dell’Asia. La scena è cosparsa di cenere, sullo sfondo una membrana nera come un mare verticale vomita forme di vita, sciacalli e bestie marine s’aggirano fra le rovine degli abissi a dilaniare gli annegati; forse sulla terraferma, a smembrare i corpi carbonizzati. Sulla spiaggia di cenere le donne superstiti attendono il verdetto dei vincitori. Cosa faranno di loro gli stranieri? Le imbarcheranno sulle navi e poi verso l’Europa, saranno il bottino di guerra. Allora gridano e imprecano contro il destino che le ha fatte prima regine, poi schiave in terra straniera – “a fare le puttane[…] a pulire il culo ai vecchi”.

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SONORA DESERT – MUTA IMAGO

Martedì 9 e mercoledì 10 novembre, per il Festival delle Colline Torinesi, è andato in scena alle ‘Lavanderie a vapore’ di Collegno, lo spettacolo Sonora Desert della compagnia Muta Imago, composta da Claudia Sorace (regista) e Riccardo Fazi (drammaturgo/sound designer).

«È la prima volta che realizziamo un lavoro dove non c’è il teatro, non c’è la performance, non c’è un evento dal vivo di fronte allo spettatore, ma c’è un’esperienza proposta direttamente su di te che la fai» dice Riccardo Fazi, che si è gentilmente fatto intervistare.

Il nuovo spettacolo dei Muta Imago è un’installazione allestita in tre diverse stanze. Cinque, se si prendono in considerazione anche la stanza di ingresso, in corrispondenza della biglietteria, e l’uscita, dove si depositano e si recuperano gli effetti personali riposti in appositi contenitori trasparenti. 

«È una scommessa che richiede una disponibilità da parte di chi partecipa.»

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SUNNY SUNDAY (LAST BUT NOT LAST) – LINA MAJDALANIE E RABIH MROUÉ

Il pubblico del Festival delle Colline è invitato alla Fondazione Merz ad un matrimonio molto strano che mescola vivi e morti, finzione e realtà, fiaba e politica. Lina Majdalanie e Rabih Mroué ci trasportano in una domenica di sole, nel 2016, in una piccola chiesa, in una piccola città della Polonia. Si tratta di un fatto realmente accaduto: la commemorazione del militare polacco e eroe nazionale Witold Pilecki. Ricordato in particolare per essersi infiltrato, durante la Seconda Guerra Mondiale, nel lager di Auschwitz, tre anni dopo la fine della guerra fu condannato a morte e trucidato per ordine del regime sovietico.

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ALL AROUND – METTE INGVARTSEN / WILL GUTHRIE

È impossibile spiegare ciò che la danzatrice danese Mette Ingvartsen e il batterista Will Guthrie hanno fatto accadere nella performance All Around. Una danza guidata da un unico assolo di batteria, che trasporta lo spettatore dentro a un mondo di ritualità e trance unico nel suo genere.

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BORBORYGMUS – RABIH MROUÉ / lina majdalanie

Un borborygmus è un segnale molto forte proveniente dal nostro interno, ciò può comunicare tutto e niente e presenta un bisogno di comunicare, dallo stomaco, una sensazione vitale. Su questa linea si muove l’interpretazione di Rabih Mroué, Lina Majdalanie e Mazen Kerbaj. Un discorso basato sul ritmo, sulla ripetizione, sull’inconscio, su ciò che comunichiamo e non comunichiamo in relazione alle nostre vite che porta ad esporci, mettendo in luce ed in scena paure, angosce e modi di essere nascosti, il più delle volte, nella relazione con il mondo esterno. Questo spettacolo coincide con una serie di scene che passa per segmenti visivi e musicali che hanno come base il suono, il disturbo e la ripetizione per palesare la condizione recondita dell’uomo.

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– GEOGRAFIA UMANA –

 

 Due spettacoli a confronto – LA DIMORA DEL VOLTO ed EXIBITION

“Bisogna intendere la geografia non come un contenitore chiuso dove gli uomini si lasciano osservare ma come un mezzo con cui essi realizzano la loro esistenza, essendo la Terra una possibilità essenziale del destino umano.” – (Eric Dardel)

La Geografia Umana si occupa dei luoghi sia in termini oggettivi che in termini soggettivi come spazi emotivamente vissuti. Il luogo è un posto preciso che ha specifiche caratteristiche fisiche, culturali e sociali che lo rendono unico. Riveste inoltre una funzione molto importante perché consente alle identità umane di avere un punto di riferimento. Questo attaccamento emozionale, sviluppa un senso del luogo che genera un senso di appartenenza condiviso con altri individui che abitano quello stesso determinato luogo.

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ALL THE GOOD – JAN LAUWERS | NEEDCOMPANY

Everybody knows that the naked man and woman are shiny artefact oh the past

“(…) Brexit, Trump, Erdoğan, the abuse of our planet, the terror of an expansive economy, the loss of solidarity – those have to be dealt with politically. But the poetry of arts has to provide for the humanity.”

All the good è un’immagine estremamente complicata‘.
Le parole conclusive dell’opera di Jan Lauwers restituiscono in una rapida pennellata la quantità di materia vivente presente in scena.

Che cos’è l’amore – e quali sono le storie d’amore – in un presente in cui tutto sembra sgretolarsi e passare oltre? Qual è il nostro rapporto con la morte oggi, non soltanto onnipresente, ma anche spettacolarizzata se non banalizzata? Lauwers invita gli spettatori a sedersi a casa con la sua ‘famiglia’, apre le porte del loro atelier, mostra le sue incapacità, si dichiara immediatamente fallace, rendendo il pubblico partecipe dei suoi dubbi, mostrandogli la sua verità. Parla in qualità di regista, ma anche di padre e marito, racconta alcuni aneddoti della vita delle persone in scena. Lo fa anche sorridere, con un umorismo decisamente europeo. Ma le questioni che pone non sono assolutamente leggere, e subito si avverte la sensazione di poter cogliere soltanto una piccola parte di questo enorme quadro vivente in movimento. Gli occhi si spostano avidamente da una parte all’altra, da una lingua all’altra, cercando di catturare un’espressione su un volto, i colori, gli oggetti, la musica; ma tutto si trasforma e sembra non esserci il tempo necessario per carpire ogni cosa: “(…) works of art are not lonely, they are what the viewer has missed. What all the living and dead missed when they looked too quickly. Did not dare look alone, because ‘all the good’ is so much.”

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SCHWANENGESANG D 744 – ROMEO CASTELLUCCI

Un’intervista

Kerstin Avemo canta dei lieder schubertiani accompagnata dal pianista Alain Franco. “È solo un concerto? È solo un concerto…”, si domandano e rispondono gli spettatori. Ma ecco comparire un lago fiocamente increspato nella notte buia – il cigno cammina sul lieve ondeggiare, invoca la luna; poi, un lampo di vergogna! – e sprofonda nell’abisso.

Romeo Castellucci, Leone d’oro alla Biennale Teatro 2013 presenta, nelle serate del 30 e 31 ottobre presso il Festival delle Colline Torinesi 2021, Schwanengesang D 744. Colgo l’occasione per strappargli un’intervista, ma presto verifico che la mole di materiali online inibisce ogni mia domanda. Decido quindi di battere una strada alternativa.

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