Il Festival delle Colline Torinesi, uno degli appuntamenti più attesi dalla città di Torino, tornerà dal 14 ottobre al 15 novembre, mantenendo la veste autunnale che ha assunto negli ultimi anni. Il festival, nato nel lontano 1996, ogni anno si ripropone come un momento in grado di far riflettere sul contemporaneo. Ciò avviene, da quasi 30 anni, sotto l’instancabile e appassionata direzione di Isabella Lagattolla e Sergio Ariotti.
Dopo El Ensayo, dal 18 al 23 Aprile, Principia chiude il ciclo delle performance di danza inserite nella stagione 2022/2023 del TPE. Il regista e coreografo Alessio Maria Romano, attraverso i corpi di Mattéo Trutat e Francesca Linnea Ugolini, porta sul palco del Teatro Astra una delle più importanti opere del pensiero scientifico, in cui sono enunciate le leggi della dinamica e la legge di gravitazione universale.
Dopo la sua ultima tappa presso il teatro Eduardo De Filippo di Cecina, torna in Sicilia “Satiri” l’ultima creazione di Virgilio Sieni. Questa volta ad ospitarla è il Festival Conformazioni diretto dal Coreografo Giuseppe Muscarello. Il lavoro è andato in scena mercoledì 26 aprile nella confortevole cornice della sala Strehler presso il teatro Biondo a Palermo. La performance vede in scena Maurizio Giunti e Jari Boldrini, danzatori che fanno parte della Compagnia Virgilio Sieni dal 2014.
NOBODY NOBODY NOBODY. It’s ok not to be ok. Collective experience, è un complesso progetto dove il coreografo e danzatore Daniele Ninarello coniuga sperimentazione laboratoriale e performance. La ricerca artistica di questo lavoro nasce durante i primi mesi di restrizione dovuta alla situazione pandemica da Covid-19. L’autore indaga il movimento, inteso come azione di protesta contro i dispositivi di potere, la mascolinità tossica e il bullismo. NOBODY NOBODY NOBODY rappresenta un modo per potersi esporre alla propria vulnerabilità, agendo di conseguenza la propria rivoluzione nella maniera più libera possibile. Un attento processo, costituito da diverse residenze artistiche, che il coreografo ha già condiviso e che continuerà a condividere con gli studenti di diverse scuole, affiancato dalla sociologa Mariella Popolla.
“Io voglio mostrare a cosa può assomigliare un albero quando lo si vede per la prima volta nella vita”. – (Werner Herzog)
“Se siete finiti in un vicolo cieco tornate al punto di origine…” e quale origine può essere migliore del mito?
Gli eroi e i personaggi della mitologia greca, proprio perché eccezionali, sono i più indicati per mostrare sentimenti e valori in forme accentuate e, quindi, più evidenti. Per questo il mito è quasi sempre, sia nell’antichità che nella modernità, materiale per la tragedia.
Ma il mito, nella tragedia, è sempre reinterpretato alla luce dell’attualità, cioè dei problemi culturali, sociali ed esistenziali che chi scrive vuole mettere in luce. Lo spettatore si trova così di fronte a uno specchio deformante di quello che lui stesso potrebbe essere e che a tratti è già.
La tragedia infatti diviene il luogo – letterario e teatrale – in cui si dibattono idee e questioni di carattere universale, affronta le contraddizioni della vita e della civiltà, e spesso è costruita in base a conflitti insanabili, che sono propri di ogni era. Come nel caso dell’Orestea che vede contrapporsi giustizia e vendetta, polis e sfaldamento della società, legge del taglione e giustizia amministrata da un primo tribunale.
Ph. Federico Pitto
L’Orestea di Eschilo, l’unica trilogia integrale arrivata sino a noi da un lontano passato che ci risalda alle nostre origini, è andata in scena al teatro Carignano per la regia di Davide Livermore, in due serate ravvicinate (Agamennone e Coefore/Eumenidi) o proposta anche in un’unica maratona, dando la possibilità agli spettatori più temerari di testare il loro grado di resistenza fisica e mentale.
La tragedia, come abbiamo visto, è per sua stessa natura il genere delle grandi passioni, dei grandi amori e delle grandi atrocità.
Sarà a causa di tutta questa grandiosità che Livermore ci propone una trilogia, organizzata in due “atti”, dalla sfarzosa realizzazione: 40 attori, 2 pianoforti, 50mq di ledwall e una lancia Aprilia 1500 presente per la messa in scena al teatro greco di Siracusa, ma che al chiuso del teatro Carignano ci viene risparmiata.
Ph. Tommaso La Pera
Come da tradizione del mito, Livermore prende la storia degli Atridi e l’attualizza, così l’eco della guerra di Troia diviene, grazie agli splendidi costumi di Gianluca Falaschi e alle accurate acconciature, l’eco della Seconda guerra mondiale, in un’ambientazione che si attesta tra gli anni ’30 e ’40. Il cotesto evocato si rifà però più a un certo immaginario cinematografico, sarà perché non riproduce “l’orrida realtà” ma una realtà edulcorata, “imbellettata come fa il 99% dei film hollywoodiani” per citare Tarantino. E il cinema aleggia su entrambi gli spettacoli, frequenti sono le citazioni, pensiamo fra tutte al fantasma della piccola Ifigenia che apre l’Agamennone e che nel finale si sdoppia, restituendoci l’iconica immagine delle gemelle di Shining.
Ph. Michele Pantano
Se “Il cinema è la scrittura moderna il cui inchiostro è la luce” per dirla con Cocteau allora, come abbiamo anticipato, nella messa in scena di Livermore l’elemento che visivamente connota entrambi gli spettacoli è uno schermo di forma circolare, fatto di luce, un ledwall di 50 mq, sul quale appare una sfera che ruota sul proprio asse (come un globo terrestre) e dentro alla quale prendono forma i video progettati da D-Wok; l’elemento illusionistico è tutto tecnologico e lo riscontriamo soprattutto nella forte tridimensionalità delle immagini.
Il risultato è di impatto “grandioso”, uno strumento dall’enorme potenziale vanificato però da un utilizzo eccessivamente didascalico o che veicola una spicciola morale che disattende l’intento registico che troviamo nel pamphlet di sala:
“Ogni volta che realizziamo l’atto umano di ritrovarci a teatro, un atto intimamente più complesso della condivisione, ci troviamo a formulare una riflessione profonda nei confronti della società, una riflessione che, in questo caso diviene concreta in quanto, nell’abbraccio della parete di specchi che delimita il mondo dell’Agamennone, il destino dei personaggi sulla scena si unisce indissolubilmente a quello degli spettatori che, nel riflesso, divengono agenti”
Ph. Tommaso Le Pera
Ph. Federico Pitto
Ph. Federico Pitto
Così siamo investiti da occhi giganti, maremoti, incendi, esplosioni, immagini di tragedie umane degli ultimi anni, tra cui persino la Costa Concordia… d’accordo con Andrea Pocosgnich si tratta di un “un campionario di effetti visivi tutt’altro che imprescindibili se non come compendio simbolico e didascalico di certe situazioni: il fuoco e il sangue nominato si riverberano nella sfera amplificando l’immagine già impressa nella parola”.
Quel desiderio di Herzog con cui abbiamo cominciato, mostrare un albero come se lo si vedesse per la prima volta, mi sembra che appartenga in qualche modo anche a Livermore ma la natura delle parole di Eschilo contengono un potere evocativo possente, per stessa ammissione del traduttore Walter Lapini, Eschilo è l’unico dei tre tragediografi greci “a parlare davvero una lingua ancestrale e oscura”. Il suo stile grandioso, solenne, magniloquente, seppur sbiadito nella traduzione, rimane comunque poderoso. Una lingua che come dice Pasolini “si fa strada verso la meta pressando e sfondando” e che proprio per questo non ha bisogno di rafforzi visivi che distraggono e in qualche modo de-potenziano. Soprattutto se si ha a che fare con degli interpreti di indubbio valore come la brava Linda Gennari, Giuseppe Sartori nei credibili panni di un Oreste partigiano o Laura Marinoni con la sua imponente presenza scenica, orchestrati da Livermore all’interno di una precisa partitura ritmica di gesti declamatori e ostentatori che richiamano alcune plasticità tipiche dell’opera lirica. Griglia che risultava a tratti, per alcuni interpreti, persino un po’ stretta, ma che rivela una certa fedeltà alla tragedia antica.
Ph. Federico Pitto
Il teatro di Livermore è un teatro di regia nel senso molto classico del termine. Abbiamo un assoluto rispetto del testo, si esige una fusione degli interpreti che vuol dire star lontano da un teatro che poggia sull’ “esibizionismo” degli attori, sul lusso delle attrici, sulla distinzione dei ruoli, nel senso che anche il più piccolo ruolo ha il suo momento di centralità e declamazione, in maniera molto “democratica”. Le sfarzose scene che hanno il compito di trasformare poeticamente il dramma di Eschilo, non sempre riescono nell’impresa. Scene e i costumi dovrebbero infatti essere considerati come parti integranti dell’opera poetica, cui è imposto l’obbligo non di fotografare la realtà ma di trasformarla poeticamente secondo lo stile e il carattere del dramma rappresentato a prescindere dalla scelta dell’adattamento. Ma per quanto riguarda la scenografia risulta decisamente poco organica, si ha l’impressione che gli apparati e i materiali scenici predomino e ingombrino. L’attore si trova così costretto nel movimento, a causa di uno spazio sacrificato, lo scenario spesso attrae tutta l’attenzione dello spettatore.
Va detto però che lo spettacolo, come abbiamo già accennato, e come si può vedere dall’immagine di copertina, nasce per essere rappresentato al teatro greco di Siracusa, che è uno spazio fuori misura, rivelando un progetto che forse manca di lungimiranza rispetto alla possibilità di un riadattamento in uno spazio diverso e al chiuso.
Ph. Tommaso Le Pera
Il pubblico è chiamato in causa come parte integrante del dramma ma se in Agamennone non è così chiaro nonostante il monologo di Cassandra che si rivolge direttamente alla platea, del resto quasi tutta l’azione scenica si svolge in proscenio con una prossimità al pubblico che tenta di inglobarlo, ma rimane il dubbio se ci riesca, nel secondo spettacolo, che racchiude Coefore/Eumenidi, il coinvolgimento del pubblico è esplicitato nominandolo come popolo di Atene durante il processo. Il pubblico è infatti invitato a votare sulla colpevolezza o innocenza di Oreste, pura formalità visto che alla fine sarà Atene con il suo voto che vale doppio ad assolvere il matricida.
Gli spettacoli nel loro complesso sono estremamente godibili, ma non assomigliano a “un albero visto per la prima volta”. Quello stupore, quella meraviglia, quello shining che entrambi gli spettacoli hanno, abbaglia, confonde, disorienta, ammicca eccessivamente.
Così alla fine il verso greco non tradotto risveglia ricordi ancestrali e anela rimpiante passeggiate nei boschi, di alberi magari non visti per la prima volta ma che non hanno la pretesa di essere altro da sé.
Less is more
Nina Margeri
CAST E CREDITI COMPLETI
AGAMENNONE
Produzione Teatro Nazionale di Genova, INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico
Traduzione Walter Lapini
Regia Davide Livermore
Personaggi e interpreti
Musici | Diego Mingolla, Stefania Visalli Sentinella | Maria Grazia Solano Corifea | Gaia Aprea Coro | Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca, Valentina Virando Clitennestra | Laura Marinoni Messaggero | Olivia Manescalchi Agamennone | Sax Nicosia Cassandra | Linda Gennari Egisto | Stefano Santospago Spettro di Ifigenia | Aurora Trovatello, Ludovica Iannetti Vecchi argivi | Davide Pennavaria, Marco Travagli, Alessandro Trequattrini Oreste bambino |Riccardo Bertoni Elettra bambina| Anita Torazza
Scene Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi
Costumi Gianluca Falaschi
Musiche originali Mario Conte
Luci Marco De Nardi
Video Design D-Wok
Regista assistente Giancarlo Judica Cordiglia
Assistente alla regia Aurora Trovatello
Costumista assistente Anna Missaglia
Cast tecnico
direttore di scena Alberto Giolitti direttore di palco Michele Borghini capo macchinista Marco Fieni macchinista Nathan Copello macchinista / attrezzista Giulia Chittaro capo elettricista Toni Martignetti fonici Edoardo Ambrosio, Umberto Ferro, Stefano Gualtieri video Luca Nasciuti trucco e parrucco Barbara Petrolati, Giuseppe Tafuri, Giovanna Molinaro sartoria Cristina Bandini, Viviana Bartolini
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COEFORE/EUMENIDI
ProduzioneTeatro Nazionale di Genova, INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico
Traduzione Walter Lapini
Regia Davide Livermore
Personaggi e interpreti “Coefore”
Musici | Diego Mingolla, Stefania Visalli Oreste | Giuseppe Sartori Pilade | Gabriele Crisafulli Elettra | Anna Della Rosa Le Coefore | Gaia Aprea, Alice Giroldini, Valentina Virando, Cecilia Bernini (cantante), Graziana Palazzo (cantante), Silvia Piccollo (cantante) Voce e immagine di Agamennone | Sax Nicosia Clitennestra | Laura Marinoni Cilissa | Maria Grazia Solano Egisto | Stefano Santospago Una donna | Nicoletta Cifariello Le Erinni | Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina, Turi Moricca Guardie | Lorenzo Crovo, Lorenzo Scarpino, Davide Niccolini
Personaggi e interpreti “Eumenidi”
La Pizia (Profetessa) | Maria Grazia Solano Apollo | Giancarlo Judica Cordiglia Le Eumenidi | Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina, Turi Moricca Fantasma di Clitennestra | Laura Marinoni Statua di Atena | Bianca Mei Atena | Olivia Manescalchi
Scene Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi
Costumi Gianluca Falaschi
Musiche originali Andrea Chenna
Luci Marco De Nardi
Video Design D-Wok
Regista assistente Sax Nicosia
Assistente alla regia Aurora Trovatello
Cast tecnico
direttore di scena Alberto Giolitti direttore di palco Michele Borghini capo macchinista Marco Fieni macchinista Nathan Copello macchinista / attrezzista Giulia Chittaro capo elettricista Toni Martignetti fonici Edoardo Ambrosio, Umberto Ferro, Stefano Gualtieri video Luca Nasciuti trucco e parrucco Barbara Petrolati, Giuseppe Tafuri, Giovanna Molinaro sartoria Cristina Bandini, Viviana Bartolini
“ConFormazioni” ovvero la primavera performativa palermitana
Martedì 28 marzo 2023 si è svolta a Palermo, nella cornice dello Spazio Franco presso i Cantieri Culturali alla Zisa, la conferenza stampa del Festival ConFormazioni, arrivato alla sua settima edizione.
Il Festival di danza e linguaggi contemporanei tornerà a Palermo dal 21 al 30 aprile 2023. Una versione allargata dell’ormai conosciuta azione che vede alla direzione artistica Giuseppe Muscarello e a quella organizzativa Danila Blasi: a precedere il festival ci sarà un’anticipazione in collaborazione con Scena Nostra, rassegna dello Spazio Franco dedicata alle creazioni contemporanee.
Tre coreografi con percorsi, linguaggi ed estetiche differenti in scena al Teatro Camões di Lisbona dal 3 marzo al 19 marzo 2023.
GROSSE FUGE
Anne Teresa de Keersmaeker, una delle grandi referenti della danza contemporanea e figura assidua del repertorio del CNB si presenta in scena con Grosse Fuge, pezzo creato nel 1992 per il quartetto di corde di Beethoven e che la compagnia integrò nel suo repertorio nel 2012. Una sequenza di corsa, salto, caduta e rotazioni dal ritmo veloce ma contrappuntato anche da movimenti lenti. Un corpo di ballo numeroso di circa 10 ballerini di cui solo due ballerine. Forse la più tecnica delle tre performance. Molta tecnica e poca interpretazione ed espressività, pur non mancando di coordinazione e coerenza tra le parti.
AVANT QU’IL N’Y AIT LE SILENCE
Fabio Lopez, giovane coreografo portoghese radicato in Francia, crea la sua prima opera per il CNB utilizzando la musica di Gavin Bryars.
Tecnicamente è l’unico pezzo del programma danzato sulle punte.
L’opera ha una relazione con il racconto della Genesi: “All’inizio un ragazzo è spinto per terra come se fosse Adamo e quando una ragazza lo va a cercare, per me è come se uscisse dalla sua costola” (dalle parole dell’autore nel libretto di sala). Di nuovo una composizione accademica come la precedente ma sicuramente più “raccontata” e vissuta, con un’estensione dei corpi portata al massimo verso rotazioni e movimenti circolari rapidi.
CACTI
Alexander Ekman è uno dei più grandi coreografi della scena internazionale. Entra nel repertorio di CNB con Cacti, opera realizzata nel 2010 che, nelle parole del coreografo stesso, è una critica al modo in cui osserviamo e giudichiamo l’arte contemporanea senza spesso capirne il significato: “Cacti fu creata in un periodo della mia vita in cui mi sentivo molto perturbato da quello che veniva scritto riguardo al mio lavoro”.
Cacti è il lavoro più interessante dei tre, perché coniuga e intreccia aspetti teatrali e coreografici con un voice-over di sottofondo nella parte finale della coreografia interpretata da due ballerini che rappresentano due amanti che battibeccano. Sembra che l’intento sia quello di tradurre il linguaggio danzato, che pur se silente esprime sempre un racconto.
Un intento ben riuscito grazie all’ironia e alla coordinazione totale tra parole e movimento, espressione del corpo e letterale.
Il testo è recitato in lingua inglese (tradotto in portoghese nel libretto di sala) e inizia così:
“Ciao Aram
Ciao Riley
Come stai?
Bene
Oggi è il terzo?
Non sono sicura, penso di sì”
Un dialogo assurdo e ironico che ha conquistato le risate del pubblico.
Notevole anche la quantità e la qualità dell’interazione con gli oggetti di scena.
All’inizio della performance infatti si trovano diciassette piattaforme che si muovono, occupate e manipolate da diciassette ballerini, un corpo di ballo molto ampio ma compatto al tempo stesso. Ad un certo momento la scena viene invasa da piante di cactus che rappresentano le critiche spinose a cui il coreografo si riferisce nell’intervista menzionata in precedenza. Una pièce bella ma “spinosa” che si conclude con quel voice-over nel dialogo tra i due ballerini che si interrogano se questa sia la fine. Ma chissà la fine di cosa.
Nel complesso uno spettacolo piacevole e anche riflessivo per certi aspetti anche se non tanto portatore di novità rilevanti ma leggermente critico verso le realtà esistenti della critica stessa e di quel mondo complesso di cui la danza e l’arte in generale fanno parte. Sicuramente l’accompagnamento musicale del quartetto di violini e violoncelli rappresenta un plus che dà enfasi e sostanza all’intero spettacolo.
Che cosa accadrebbe se gli uomini vivessero come degli insetti? Una risposta a questa domanda è stata data al Teatro Astra, dove la compagnia spagnola Elías Aguirre Imbernon ci offre una performance di danza contemporanea e street dance che prende le mosse dal mondo dell’entomologia.
Tante sedioline, una accanto all’altra, delimitano uno spazio nel quale il pubblico viene subito inghiottito. Prendiamo posto. A disegnare l’ultimo segmento di questo cerchio sono Virgilio Sieni e il danzatore non vedente Giuseppe Comuniello: seduti con la schiena appoggiata al muro, ci osservano. Al centro scorgiamo un tappeto bianco fatto di cartone e, su di esso, due blocchi di argilla. I due danzatori si avvicinano e iniziano ad occupare lo spazio: attraverso i loro corpi modellano l’area circostante disegnando linee curve, segmenti spezzati e forme circolari. Si sfiorano, si sostengono, si guidano, si completano, insieme danzano.