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KEERSMAEKER/LOPEZ/EKMAN

Tre coreografi con percorsi, linguaggi ed estetiche differenti in scena al Teatro Camões di Lisbona dal 3 marzo al 19 marzo 2023.

GROSSE FUGE

Anne Teresa de Keersmaeker, una delle grandi referenti della danza contemporanea e figura assidua del repertorio del CNB si presenta in scena con Grosse Fuge, pezzo creato nel 1992 per il quartetto di corde di Beethoven e che la compagnia integrò nel suo repertorio nel 2012. Una sequenza di corsa, salto, caduta e rotazioni dal ritmo veloce ma contrappuntato anche da movimenti lenti. Un corpo di ballo numeroso di circa 10 ballerini di cui solo due ballerine. Forse la più tecnica delle tre performance. Molta tecnica e poca interpretazione ed espressività, pur non mancando di coordinazione e coerenza tra le parti.

AVANT QU’IL N’Y AIT LE SILENCE

Fabio Lopez, giovane coreografo portoghese radicato in Francia, crea la sua prima opera per il CNB utilizzando la musica di Gavin Bryars. 

Tecnicamente è l’unico pezzo del programma danzato sulle punte. 

L’opera ha una relazione con il racconto della Genesi: “All’inizio un ragazzo è spinto per terra come se fosse Adamo e quando una ragazza lo va a cercare, per me è come se uscisse dalla sua costola” (dalle parole dell’autore nel libretto di sala). Di nuovo una composizione accademica come la precedente ma sicuramente più “raccontata” e vissuta, con un’estensione dei corpi portata al massimo verso rotazioni e movimenti circolari rapidi.

CACTI

Alexander Ekman è uno dei più grandi coreografi della scena internazionale. Entra nel repertorio di CNB con Cacti, opera realizzata nel 2010 che, nelle parole del coreografo stesso, è una critica al modo in cui osserviamo e giudichiamo l’arte contemporanea senza spesso capirne il significato: “Cacti fu creata in un periodo della mia vita in cui mi sentivo molto perturbato da quello che veniva scritto riguardo al mio lavoro”.

Cacti è il lavoro più interessante dei tre, perché coniuga e intreccia aspetti teatrali e coreografici con un voice-over di sottofondo nella parte finale della coreografia interpretata da due ballerini che rappresentano due amanti che battibeccano. Sembra che l’intento sia quello di tradurre il linguaggio danzato, che pur se silente esprime sempre un racconto.

Un intento ben riuscito grazie all’ironia e alla coordinazione totale tra parole e movimento, espressione del corpo e letterale.

 Il testo è recitato in lingua inglese (tradotto in portoghese nel libretto di sala) e inizia così:

“Ciao Aram

Ciao Riley

Come stai?

Bene

Oggi è il terzo?

Non sono sicura, penso di sì”

Un dialogo assurdo e ironico che ha conquistato le risate del pubblico. 

Notevole anche la quantità e la qualità dell’interazione con gli oggetti di scena. 

All’inizio della performance infatti si trovano diciassette piattaforme che si muovono, occupate e manipolate da diciassette ballerini, un corpo di ballo molto ampio ma compatto al tempo stesso. Ad un certo momento la scena viene invasa da piante di cactus che rappresentano le critiche spinose a cui il coreografo si riferisce nell’intervista menzionata in precedenza. Una pièce bella ma “spinosa” che si conclude con quel voice-over nel dialogo tra i due ballerini che si interrogano se questa sia la fine. Ma chissà la fine di cosa.

Nel complesso uno spettacolo piacevole e anche riflessivo per certi aspetti anche se non tanto portatore di novità rilevanti ma leggermente critico verso le realtà esistenti della critica stessa e di quel mondo complesso di cui la danza e l’arte in generale fanno parte. Sicuramente l’accompagnamento musicale del quartetto di violini e violoncelli rappresenta un plus che dà enfasi e sostanza all’intero spettacolo.

Irene Merendelli

INSTRUMENT JAM | COMPAGNIA Zappalà Danza

23 GIUGNO 2021 | PALCOSCENICO DANZA – TEATRO ASTRA TORINO

Se ti senti fermo, vai in un qualche luogo. Una volta arrivato, aspetta. Ascolta per qualche minuto, e poi riparti. Se ti manca qualcosa, vai in un qualche luogo. Una volta arrivato, ascolta. Aspetta per qualche minuto e poi riparti. Se ti senti fermo e ti manca qualcosa nello stesso momento vai ad uno spettacolo di danza. Colmerai mancanze, e raggiungerai luoghi.

È successo questo mercoledì 23 giugno con l’esibizione della compagnia Zappalà Danza in occasione del festival Palcoscenico Danza al Teatro Astra di Torino. 

La performance era stata inserita dal direttore artistico Paolo Mohovic nella stagione 2020, ma per cause note a tutti è stata annullata. Fortunatamente, dopo un anno, abbiamo avuto la fortuna di poter assistere a questo lavoro di sintesi, che riunisce un filone coreografico formato da Instrument 1Instrument 2, e Instrument 3, rispettivamente dedicati a tre strumenti musicali della tradizione siciliana e non: i marranzani (scacciapensieri), i tamburi, e lo hang. 

Instrument jam, includendo tradizione e modernità, ci mostra una Sicilia tanto genuina e forte quanto fragile e compromessa. La scenografia è essenziale e meravigliosa: tre pareti bianche realizzate con un tessuto che riprende i disegni da “ricamo della nonna”, e alcuni fari di taglio. La scenografia è essenziale e meravigliosa: tre pareti bianche realizzate con un tessuto che riprende i disegni da “ricamo della nonna”, e alcuni fari di taglio.

Non ci si accorge subito, se non dalla voce, che i danzatori sono tutti uomini. Indossano un abito e un velo in testa di colore nero, e tacchi. La scelta di utilizzare come effetto di scena il fumo rende l’atmosfera molto spirituale e ci ingloba in un rituale fatto di camminate ritmate e voci che ripetono una sorta di mantra “Piulu Paulu”, storpiatura dell’incipit di una filastrocca siciliana. Una volta tolti i tacchi e indossato un abito color carne, la scena si trasforma per diventare spazio di duetti e momenti di gruppo accompagnati dagli strumenti che vengono suonati dal vivo dietro il fondale bianco e da cui si intravedono i corpi dei musicisti. 

ph Serena Nicoletti

Lo sguardo dei danzatori è molto spesso rivolto verso qualcosa che non sembra appartenere al luogo in cui siamo seduti, forse guardano la Sicilia da lontano mentre noi grazie a loro la possiamo osservare da vicino. Una Sicilia viva, irrazionale, calda, vigorosa. 

Voce e danza si intrecciano perfettamente, anche in un momento di sola conversazione tenuto al microfono da un danzatore, che ci parla di spagnolo e ci racconta di essere un corpo, ma anche uno strumento. La danza di Roberto Zappalà è leggibile, pulita, muscolare ma non meno morbida, e sporcata in alcuni momenti da un linguaggio legato ad una ricerca forse più intima, meno tecnica. 

Il messaggio inviato al pubblico arriva soprattutto grazie alla gestualità del quotidiano, una gestualità “all’italiana” che non possiamo ignorare, fatta di azioni che connotato e caratterizzano luoghi e culture, vite e usanze. 

Silvia Urbani

Credits

COREOGRAFIE E REGIA ROBERTO ZAPPALÀ 

MUSICA ORIGINALE (DAL VIVO) PUCCIO CASTROGIOVANNI 

DANZATORI ADRIANO COLETTA, ALBERTO GNOLA, ADRIANO POPOLO RUBBIO ROBERTO PROVENZANO, FERNANDO ROLDAN FERRER, SALVATORE ROMANIA, ERIK ZARCONE 

AI MARRANZANI (SCACCIAPENSIERI) PUCCIO CASTROGIOVANNI 

TAMBURI ARNALDO VACCA 

HANG SALVO FARRUGGIO 

TESTI DI NELLO CALABRÒ 

LUCI, SCENE E COSTUMI ROBERTO ZAPPALÀ  

MANAGEMENT VITTORIO STASI 

ASSISTENTE DI PRODUZIONE FEDERICA CINCOTTI 

UFFICIO STAMPA VERONICA PITEA 

INGEGNERE DEL SUONO GAETANO LEONARDI 

DIREZIONE TECNICA SAMMY TORRISI 

DIREZIONE GENERALE MARIA INGUSCIO
PRODUZIONE SCENARIO PUBBLICO – COMPAGNIA ZAPPALÀ DANZA – CENTRO NAZIONALE DI PRODUZIONE DELLA DANZA

LA COMPAGNIA ZAPPALÀ DANZA È SOSTENUTA DA MIBACT E REGIONE SICILIANA – ASSESSORATO TURISMO, SPORT E SPETTACOLO

Beat di igor x moreno | loop di farforyo

22 giugno 2021 | Festival Interplay – Mosaico Danza presso Lavanderia a Vapore a Collegno

Non si è mai del tutto preparati ad uno spettacolo di danza contemporanea, a meno che tu non l’abbia già visto. E anche su questo si potrebbe discutere. Questa volta non si era preparati per niente, perché BEAT di Igor x Moreno scardina molta di quella tradizione che ci si aspetterebbe, ed è un gran bene che lo faccia. 

Gli spettatori della serata conclusiva del festival di danza contemporanea Interplay 2021, organizzato come ogni anno da Mosaico Danza con la direzione di Natalia Casorati, si raccolgono fin da subito nel foyer, dove l’energia che si respira è di quelle buone, che calmano e preparano. Andando poi a prendere posto l’allestimento scenico traghetta e riorganizza le vibrazioni positivegià presenti in entrata: da un lato una dj già all’opera con un live set di musica elettronica, dall’altro un light designer, mentre nel palco una pedana quadrata con dietro tre tende protagoniste di un disegno geometrico tridimensionale. 

ph Andrea Macchia
ph Andrea Macchia

Il sound design prende sempre più forza, e si irradia nello spazio quando arriva la danzatrice (Magherita Elliot), posizionata al centro della pedana. È lì che intende rimanere per tutta la durata della performance. Ciò che colpisce fin da subito della performer, vestita con abiti casual e sportivi, è che sembra non avere i denti. Questo dettaglio spiazza e disarma tutto il pubblico: circondata da una luce di un bianco ottico accecante, la figura risulta addirittura non umana.

Ma ciò che ancor più colpisce è il suo linguaggio corporeo, in costante dialogo con lo spettatore e con il proprio io. Le luci molto forti e la musica molto alta fanno da ornamento ad un’indagine che si serve in particolar modo dell’espressione del volto e della gestualità delle mani, di immediata riconoscibilità perché tratte dalla quotidianità. È una conversazione alla pari, nella quale il pubblico viene interpellato, istigato, reso partecipe. Il movimento nasce da una danza contemporanea di ricerca unita ad influenze tratte dal voguing e non solo, che rendono il codice coreografico ibrido e molto personale.

Da menzionare, i meravigliosi contrasti che vanno a crearsi tra musica/luci e corpo, che mantiene quasi sempre una costante di tranquillità grazie ad un’investigazione controllata e consapevole. È tutto un gioco che gioco non è. La provocazione non è velata e le azioni della performer portano il peso degli argomenti trattati. 

ph Andrea Macchia

L’apice si raggiunge con un’intermittenza psichedelica delle luci, preludio di un loop di movimenti che sembra non fermarsi mai: saltelli ripetuti, tutti perfettamente identici e danzati con la stessa intensità. Nel mentre il pubblico viene illuminato anch’esso, quasi a diventare coprotagonista. Il loop continua trasformandosi in incessanti oscillazioni del bacino a destra e a sinistra. Questa perseveranza del bacino premia Igor x Moreno per la scelta di rimanere in un luogo e in una condizione, che conducono il pubblico in una sorta di trance. Il momento di stasi-non stasi viene spezzato da movimenti circolari e luci in bianco e nero dall’effetto smorzante. 

E poi si ferma, la performer. E chiude gli occhi. Luci e musica iniziano la loro discesa in una calma finale e distensiva. Applausi fortissimi per la performance, e un applauso speciale per la giovanissima danzatrice che ha gestito 50 minuti di assolo con perfetto controllo, accompagnando tutti i presenti in un proprio substrato emotivo fatto di domande quotidiane, sempre le stesse, e di risposte anch’esse quotidiane, ma sempre diverse. 

ph Andrea Macchia

La serata avrebbe dovuto poi continuare all’aperto, ma la tempesta di grandine del pomeriggio ha costretto l’organizzazione ad allestire la seconda performance nel foyer. La compagnia Farforyo, guidata dal giovane coreografo russo Evgeniy Melentyev, porta in scena LOOP,  un duo dove equilibrio e velocità vincono su tutto. I due danzatori entrano dall’esterno e riempiono tutto lo spazio con un’energia controllata, fluidissima e in costante movimento. Il linguaggio è contact improvisation contaminato da elementi di breaking e movement design. Le braccia dei due danzatori compongono figure sempre diverse e sempre più veloci, rimanendo pulite e “oliate”.

ph Andrea Macchia

È una lotta giocosa e incessante, dove tempo e sincronia sono perfetti. Il pubblico è per metà seduto per terra ed è veramente vicino all’azione, che ti ingloba senza sosta, pur non schiacciando né comprimendo lo spazio. L’interazione sociale è al centro di questa indagine che crea connessioni rapide ma costanti, come quelle che in fondo viviamo anche noi tutti i giorni. 

ph Andrea Macchia

Silvia Urbani

Credits 

BEAT

coreografia Moreno Solinas, Igor Urzelai

con Margherita Elliot

dj Martha, Anna Bolena
lighting designer e responsabile tecnico Seth Rook Williams
scene e costumi KASPERSOPHIE
dramaturg Simon Ellis
consulenza esterna Alberto Ruiz Soler
production manager Fergus Waldron
prodotto da Sarah Maguire
movement advisor Olmo Hidalgo
co-produzione Theatre de la Ville
finanziato da National Lottery through Arts Council England
commissionato da The Place, The Lowry and Cambridge Junction
con il supporto di the Spanish Embassy Office of Cultural and Scientific Affairs, Siobhan Davies Dance, Dance4, TIR Danza, Workshop Foundation, Dantzagunea, l’Animal a l’esquena, BAD Festival, S’ALA and The Point

LOOP

coreografia Evgeniy Melentyev
con Evgeniy Melentyev e Alkesei Sidelnikov

To DA BONE/POSARE IL TEMPO

PARTE PRIMA: TO DA BONE DI (LA HORDE)

To Da bone è uno spettacolo che nasce dalla collaborazione tra (LA)HORDE e un gruppo di undici danzatori provenienti da tutto il mondo.

(LA)HORDE è un collettivo artistico fondato nel 2011. La direzione è composta da tre artisti: Marine Brutti, Jonathan Debrouwer e Arthur Harel che lavorano all’incrocio tra danza, arti visive e performance. 

Lo stile di ballo di To Da bone, il “jumpstyle”, nasce agli inizi degli anni Duemila tra Belgio e Olanda ed è basato sul solo movimento delle gambe attraverso calci, rotazioni e salti. I tre giovani artisti definiscono questo nuovo genere come danza “post-internet”, poiché esiste soprattutto online.

Infatti, come ci spiega il danzatore Thomas Topa Hongre, nell’intervista svolta da Elisa Vaccarino, la danza di To Da Bone è una danza “personale” che non si insegna nelle scuole di danza ma si apprende da soli, nella propria stanza, grazie ai video tutorial su Youtube. Inoltre, è proprio grazie a Internet che Thomas è venuto in contatto con la community francese di Jumpstyle e poi le altre community nel mondo.

Interessante quindi è assistere, nonostante tutti i limiti di una fruizione dello spettacolo in streaming, a questo genere di danza proprio nella stessa piattaforma in cui è nata. Il ritmo della musica elettronica scandisce lo spettacolo e insieme a degli intermezzi di parti recitate dai ballerini, contribuisce a tenere viva l’attenzione dello spettatore che difficilmente riuscirà a distogliere lo sguardo dallo schermo.

coreografia (LA)HORDE / Marine Brutti, Jonathan Debrouwer, Arthur Harel
regia e tecnica David Goualou
musiche Aamourocean (Antoine Boule, Ulysse Klotz)
disegno luci Patrick Riou
danzatori 11 non specificati
referente audio e coach del gruppo danzatori Céline Signoret
amministrazione e produzione Clemence Sormani

PARTE SECONDA: POSARE IL TEMPO DI CLAUDIA CATARZI

Al contrario di To Da Bone, ritengo che “ Posare il tempo” di Claudia Catarzi si adatti difficilmente ad una visione online che non permette di cogliere la profondità prospettica e le diverse angolature attorno alle quali ruota lo spettacolo, che sono (a mio parere) necessarie per poter essere apprezzato al meglio.

Nonostante questo, dal breve estratto che è stato trasmesso lo scorso 22 maggio, si intuisce un lavoro interessante, basato sulla presenza dei corpi attratti al suolo dalla forza di gravità e allo stesso tempo corpi che si attraggono tra di loro. Idee sulle quali molti ballerini contemporanei stanno basando i loro lavori (un esempio è Andrea Dore con lo spettacolo “ Underground Roof”) e che ben riflettono un momento, come quello attuale , di “decentramento” dell’uomo.

coreografia Claudia Catarzi
con Claudia Caldarano, Claudia Catarzi
percussioni live Gianni Maestrucci
drammaturgia Amina Amici
musiche originali e drammaturgia sonora Bruno De Franceschi
sound design Francesco Taddei
light design Massimiliano Calvetti, Leonardo Bucalossi
produzione La Manufacture – Centre de Développement Chorégraphique National Bordeaux Nouvelle – Aquitaine
in coproduzione con La Briqueterie – Centre de Développement Chorégraphique National du Val-de-Marne, POLE-SUD – Centre de Développement Chorégraphique National / Strasbourg, Art Danse – Centre de Développement Chorégraphique National Dijon Bourgogne, Centre Chorégraphique National Malandain Ballet Biarritz, Le réseau Tremplin: Danse à tous les étages – Bretagne, L’Etoile du Nord – Paris, Le Mac Orlan – Brest, Le Triangle – Rennes, Chorège – Falaise, Centre Chorégraphique National de Nantes, CANGO – Firenze, Company Blu

iLOVE

Le città, per loro natura, si modificano, evolvono e mutano il loro aspetto esattamente come fanno le società che le abitano. Da questa naturale tendenza è nata la volontà di ri-creare e far risplendere nuovi “spazi” culturali che ospitassero le creatività di oggi e del futuro. Tre zone periferiche di Torino si sono unite per riqualificare luoghi che risultavano insoliti e inconsueti per ospitare l’arte e il teatro. Fra questi troviamo bellARTE, un teatro sorto all’interno di una fabbrica tessile dismessa e gestito dal 2006 dall’associazione Tedacà. BellARTE, insieme a Cubo Teatro e San Pietro in Vincoli Zona Teatro, sono luoghi di incontro e dialogo, ma soprattutto si propongono come fonte di stimolo per affrontare e indagare i temi del quotidiano e del nostro sistema sociale: un “fertile terreno” da coltivare per far crescere nuove risorse culturali e artistiche. Nel programma dei tre teatri si presentano numerose opportunità per incontrare artisti di grande levatura nazionale, ma anche emergenti giovani promesse, in una dimensione di vicinanza che genera una cifra comunicativa immediata e diretta.
Il 31 marzo, in linea con la poetica e la ricerca sociale che si è andata a costituire, al Teatro bellARTE è stato presentato il duetto iLove di Fattoria Vittadini. Questa Compagnia estremamente eterogenea, è nata a Milano qualche anno dopo rispetto allo spazio bellARTE, nel 2009, dalla volontà di undici giovani (ex)allievi del corso di teatro danza della nota scuola milanese Paolo Grassi, cerca di sviluppare una ricerca personale e una poetica che spazzi all’interno della molteplice pluralità linguistica dell’arte scenica dei nostri tempi. Fattoria Vittadini è riuscita nel giro di pochi anni a conquistare l’attenzione della critica proprio per i suoi segni distintivi che hanno la capacità di avvicinare sempre nuovo pubblico a lavori artisticamente elevati e di forte impronta sociale.
Il tema presentato alla Città di Torino con il duetto iLove non risulta particolarmente innovativo: una coreografia autobiografica che parla di un amore e nella quale due personaggi si ritrovano a condividere lo stesso spazio, inizialmente lavorativo, successivamente esteso alla sfera intima e privata. “L’amore è come questo viaggio in treno. Ci si lascia e ci si ritrova …” e proprio così i due performer si incontrano, si indagano l’un l’altro, si presentano e iniziano un viaggio di condivisione. Cercano loro stessi e la propria identità, studiano la loro relazione e l’affetto reciproco che li sovrasta. I due performer non vanno mai ad annullarsi ma proprio l’unione delle loro personalità fa emergere caratteristiche individuali e strettamente personali: uno si presenta come un personaggio dai gesti chiari e decisi, che a partire dalla lingua dei segni (LIS) espande il proprio essere verso il compagno, l’altro, più introverso, proietta sé stesso in continui slanci solistici pur ricercando un legame corporeo verso l’altro.
A prima vista risulta inconsueto per il Teatro bellARTE ospitare all’interno della propria stagione di ricerca uno spettacolo come iLove. Ma in scena ci sono due uomini a presentare il loro legame amoroso al pubblico. Un amore fra due uomini? Un amore omosessuale è il tema di questo splendido duetto? Due persone dello stesso sesso, nella società odierna ormai definita evoluta, possono condividere lavoro, vita privata e sentimentale? Non per questo sono meno uomini e meno umani. Questa è l’indagine analizzata e presentata dai due giovani danzatori, Cesare Benedetti e Riccardo Olivier. La loro proposta scenica si presenta come una danza fortemente astratta che esalta la potenza del segno per portare agli occhi dello spettatore un’analisi sul significato dell’essere uomini “maschili”. Sono queste forse, come molte altre espressioni, etichette con cui i danzatori giocano in una scena spoglia.
Questo duetto è nato quando ancora Cesare e Riccardo erano una coppia; poi si sono separati continuando a condividere la sfera lavorativa. Il risultato di questa relazione è stato proprio questo elegante duetto che tocca la sensibilità del pubblico sul tema dell’individualità nella coppia e dell’amore maschile.
ILove si apre con la coppia sul palco in ombra. La loro vicenda si muove a ritroso: si sono già separati e al centro della scena, sotto un cono luminoso, campeggia un ortaggio: un finocchio. La prima e breve sezione è ricca di gesti che sottolineano l’attuale lontananza e separazione ma poi, come in un flashback cinematografico, tutto ricomincia dal principio e quello a cui assistiamo è il ricordo dei primi momenti assieme, gli attimi più felici condivisi in coppia. L’importanza degli sguardi con il pubblico e che i due si scambiano l’uno per l’altro costituiscono un elemento di forte persuasione e seduzione. Proprio da uno sguardo nasce il duetto, che pur giocoso nasconde le difficoltà tecniche come anche la difficoltà del vivere assieme. Vestiti con pantaloni e felpe i due performer si presentano come ragazzi qualunque che iniziano a giocare tra loro.
Segue un momento conviviale, intimo, un esilarante quanto serio attimo che raffigura un fugace pasto consumato assieme, dove il finocchio dell’incipit torna in scena per venire divorato dai danzatori. L’azione avviene vicino a un microfono sul proscenio, rendendo a tutti i presenti udibile il rumore dei morsi. Subito i due uomini si spogliano, sottolineando come l’abito è solo una parte di ciò che realmente siamo. Si diffonde una sensazione di smembramento e di incomunicabilità: assistiamo al progressivo allontanamento di Cesare dalla relazione creatasi, mentre Riccardo diviene “appiccicoso”, quasi morboso nel seguire il partner. La rottura finale è inevitabile e commovente: non aleggiano parole, non ci sono insulti e scontri, ma solo un senso profondo di tristezza, solitudine e vuoto.

Matteo Ravelli

Regia, Coreografia, Colonna sonora
Cesare Benedetti, Riccardo Olivier
Light design
Roberta Faiolo, Giulia Pastore
Direzione Tecnica
Giulia Pastore
Produzione
Fattoria Vittadini

Lo spettacolo è parte della rassegna di danza Il Corpo Racconta e della rassegna Amor Novo di Fertili Terreni Teatro, il progetto di Acti Teatri Indipendenti, Cubo Teatro, Tedacà, Il Mulino di Amleto dedicato alla drammaturgia contemporanea e al teatro di innovazione. Realizzazione in collaborazione con Associazione Quore, Arcigay, Queever e progetto "Omofobia. No Grazie"

SHOWCASE – vetrina giovani coreografi

Avere un milione di idee in mente, progetti artistici, sperimentazioni e non sapere da dove partire per mettere in atto la moltitudine di collegamenti tra studio e azione. Noi iscritti al Dams conosciamo bene questa situazione che ci angustia dal primo anno di università. Parole stampate e nient’altro, a meno che non sia tu a metterti in gioco. Il mondo del quale abbiamo scelto di far parte è così, e questo tipo di preparazione ci mette davanti la cruda realtà: il punto di partenza devi essere tu.
Rapahel Bianco conosce bene la situazione dei giovani artisti, spesso con troppe cose da dire e pochi mezzi. Decide così di creare “Showcase”: un’opportunità per giovani coreografi di esprimere la loro visione utilizzando i mezzi di una compagnia professionale.
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Le fumatrici di pecore

La Lavanderia a Vapore di Collegno, all’interno del progetto multidisciplinare Media Dance, il 19 marzo ha proposto, come mantinéeper le scuole, lo spettacolo Le fumatrici di pecoredella Compagnia Abbondanza/Bertoni.

Media Dance è una rassegna di teatro danza, che si propone di utilizzare lo strumento dell’esperienza artistica per poter affrontare tematiche legate alla realtà che ci circonda e avvicinare gli studenti al teatro e alla danza. 

Lo spettacolo della compagnia trentina, terzo appuntamento della rassegna organizzato in collaborazione con il Servizio biblioteche della città di Torino e Fondazione Paideia, affronta un tema molto delicato: quello della disabilità.

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