Graces / match 2

Opening Festival Interplay digital 20/20

PARTE PRIMA: GRACES DI SILVIA GRIBAUDI

Serata di danza. 

Serata di danza, a casa. 

Serata di danza, a casa, osservando dal computer una non live performance unita a spezzoni di creative process e riflessioni del coreografo insieme al drammaturgo e ai danzatori. 

Ma se ripenso a quanto visto ieri sera, mi potrei tranquillamente fermare al primo enunciato, perché senza dubbio la danza è stata protagonista… e a volte non avremmo davvero bisogno di altro. 

Il canale di fruizione è certamente risultato anomalo e straniante ai più, ma diciamolo, in questo momento della storia cosa non lo è? 

Eppure rimane sempre lo stesso desiderio di condivisione, non importa con quali mezzi si voglia propagare. 

Progetto di condivisione che il Festival di danza Interplay ha voluto fermamente portare avanti, ribattezzandosi Interplay Digital 20/20 e promuovendo la danza contemporanea in forma digitale.

E non poteva essere inaugurata in altro modo se non con la meravigliosa ultima creazione della coreografa Silvia Gribaudi, GRACES. 

Graces si ispira alle tre grazie di Antonio Canova, dove però al loro posto troviamo niente meno che tre “graziosi” ragazzi, i quali interpretano rispettivamente la prosperità, la gioia e lo splendore (Andrea Rampazzo, Matteo Marchesi, Siro Guglielmi) e che, insieme a Silvia, rielaborano il concetto di bellezza. 

Il viaggio di Graces, sempre vivo di replica in replica (e vi dirò poi il perché), si alimenta di tutte le esperienze che Silvia con i suoi danzatori vive in residenza e in scena. Per lei è strettamente necessario sperimentare in sala come anche concedersi momenti, ad esempio una giornata al mare, dai quali estrapolare il vissuto del performer che si riversa nelle prove in tutta la sua spontaneità e leggerezza. 

Silvia, nell’intervista con Sergio Trombetta avvenuta prima dello spettacolo, ci racconta di come sia importante per lei il valore della libertà, sia creativa che espressiva.  È una libertà che ha scoperto con la maturità e la consapevolezza, ci spiega, partendo da una predisposizione al lavoro di danzatrice che la portava fin da giovanissima a prendersi molto sul serio e a risultare al contrario, a detta dei suoi mentori, molto ironica.

Uso questo termine anche se Silvia non ha ancora trovato un vocabolo che si addice a definire l’essenza dei suoi lavori, che ci descrive come estremamente improntati su un flusso ritmico ironico che détta il tempo delle piéces, e che deriva dal grande valore che attribuisce all’attitudine comica con cui si accosta ad ogni processo creativo. 

E Graces ci mostra queste componenti, questi frammenti di Silvia, molto chiari anche nelle intenzioni dei danzatori. Tutti hanno saputo mettersi a servizio di un metodo di lavoro e di un’idea creativa che grazie a questa inedita performance digitale è stata rivista anche con un occhio critico esterno dalla stessa Silvia. La performance assume una nuova configurazione arricchendosi delle riprese di repliche passate, unite a momenti di backstage, dove lo spettatore ha potuto cogliere le “partiture naturali” e la nascita di alcune “trovate” poi elaborate in scena. 

Le intuizioni di Silvia nascono da alcuni temi molto importanti, quali l’umorismo, il rapporto con le convenzioni e il desiderio di metterle in discussione, le riflessioni sulla mascolinità, così come anche le categorie di genere. 

Ciò che è estremamente genuino nelle sue creazioni è che tutti questi discorsi non viaggiano da un punto A (la scena) ad un punto B (il pubblico), ma anzi cercano di farlo senza esaurirsi una volta arrivati a destinazione, così elastici da essere in grado di penetrare per poi rimbalzare nuovamente sulla scena impregnati di altri discorsi, i quali diventano il nutrimento di ogni nuovo quadro e, in generale, di ogni spettacolo. 

Ecco perché ogni replica non è mai la stessa ed è capace di adattarsi e di relazionarsi con un pubblico sempre diverso, il quale viene chiamato a partecipare, a vivere l’attimo della performance in quella chiave ironica che, compresa o no, fa scattare volente o nolente tutta l’azione dinamica. Intenso è dunque lo scambio con gli altri, che non si verifica però soltanto a teatro.

Silvia infatti organizza molti workshop con piccole comunità territoriali sparse in tutta Italia, convinta che ogni corpo abbia un impatto nella società e per questo sia capace, con la sua naturalezza, di svelarsi e svelare, tramite la danza, tutto il genuino che a volte il danzatore dimentica e a cui vuole riconnettersi proprio grazie a questo scambio. Inoltre propone la danza anche ai ragazzi dei licei, con i quali affronta riflessioni sulla nudità e sull’imbarazzo generato da essa, fermamente convinta che l’arte possa in modi sempre diversi far superare queste limitazioni e farsi mezzo di coesione e condivisione. 

Graces utilizza anche oggetti e simbologie comuni, come fiori e ramoscelli, che rimandano sicuramente alla natura, come anche alla naturalezza di momenti di vita fatti di semplicità e ironia. In più, fin dall’inizio, vediamo sul palco delle bottiglie di plastica piene d’acqua, che catturano lo sguardo curioso e pronto a coglierne l’utilizzo. 

Il momento più d’impatto avviene proprio quando tutta l’acqua viene riversata sulla scena, creando un tappeto scivoloso capace di generare tra i danzatori una serie di giochi di movimento molto comici e allo stesso tempo d’effetto. 

Guardi il quadro e pensi: vorrei essere là con loro! 

Ciò che lascia la pièce è una sensazione che è stata definita dallo stesso pubblico come rivitalizzante e piena di gioia, e non possiamo, nonostante la modalità inedita di fruizione di questo spettacolo, pensarla diversamente. 

montaggio video Matteo Maffesanti

coreografia Silvia Gribaudi

drammaturgia Silvia Gribaudi, Matteo Maffesanti

con Silvia Gribaudi, Siro Guglielmi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo

disegno luci Antonio Rinaldi

assistente tecnico luci Theo Longuemare

direzione tecnica Leonardo Benetollo

costumi Elena Rossi

produzione Zebra

con il sostegno di MIBACT

progetto realizzato con il contributo di ResiDance XL – luoghi e progetti di residenza per creazioni coreografiche, azione della Rete Anticorpi XL – Network Giovane Danza D’autore, coordinata da L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino e IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia – progetto di Circuito CLAPS e Industria Scenica, Milano Musica, Teatro delle Moire, Zona K

residenze artistiche ARTEFICI – Artisti Associati di Gorizia, Klap – Maison Pour la danse Marsiglia, Centro per la Scena Contemporanea/Operaestate Festival del Comune di Bassano del Grappa, Centro di Residenza Armunia/CapoTrave Kilowatt, L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale: Centro di Residenza Emilia-Romagna, Dansstationen, Danscentrum Syd, Skånesdansteater Malmö Svezia

in collaborazione con festival, rassegne e stagioni a cura di anticorpi xl Ater, Interplay, Piemonte Dal Vivo, Amat, Arteven, Teatro Comunale di Vicenza, Artedanzae20, Teatro Pubblico Pugliese, C.L.A.P.Spettacolodalvivo, Armunia, FTS Onlus

PARTE SECONDA: MATCH 2 DI WE COMPAGNIE/VILMA PITRINAITE

Un momento di Match 2 di Vilma Pitrinaite

La seconda parte della serata di danza continua con la produzione di Vilma Pitrinaite in collaborazione con Sabina Scarlat. 

Per questo spettacolo parto dalla fine, quando le due protagoniste, utilizzando voce e gestualità, fanno letteralmente a gara a chi ha il merito di avere una parte del corpo più “rotta” dell’altra. Il finale però non sorprende: tutto lo spettacolo infatti viene retto da questa rivalità, a volte ironica a volte davvero competitiva, su chi tra le due danzatrici faccia o dica nel modo migliore un’azione.

I temi affrontati si articolano lungo tutta la durata della performance e si possono ricondurre a quell’eterna lotta tra pari in cui l’elemento più istintivo della competizione regge tutte le dinamiche sociali e comportamentali.

Tutto è fin da subito molto chiaro, e non resta altro che seguire il flusso continuo delle azioni per vedere a quale gara si assisterà dopo. 

Le tutine colorate e con stampe psichedeliche sicuramente vivificano lo sguardo del pubblico, coinvolto fin da subito in una diatriba dalle logiche chiare e puntuali.  Le danzatrici sono ben inserite nella loro parte, e il messaggio arriva senza ombre. Forse il fatto che la ripresa video sia stata fatta in una sala danza, senza un gioco di luci e di atmosfere che potessero a mio avviso dare valore sia al costume che alle azioni, ha penalizzato la performance, ricca di potenziale.

Ci proponiamo, semmai le opportunità della vita ci faranno incontrare nuovamente questo spettacolo “dal vivo”, di valutarlo in un’ottica di insieme più ampia e completa, certi che in questo caso può essere davvero l’insieme a fare la differenza.

di e con Vilma Pitrinaite, Sabina Scarlat

concept Emily Gastineau, Vilma Pitrinaite

disegno luci Caroline Mathieu

video Zoltan Molnar

costumi Sabina Scarlat

drammaturgia Pascale Gigon

produzione WE Compagnie/Vilma Pitrinaite

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