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Rumori fuori scena

Rumori fuori scena, titolo originale Noise off è una commedia scritta dal drammaturgo britannico Michael Frayn nel 1977, che ha avuto, e continua ad avere, un successo clamoroso: tradotta in 29 lingue è la commedia più rappresentata del Novecento e nel 1992 è diventata un film diretto da Peter Bogdanovich.
Non è difficile immaginare il motivo di questo successo: si tratta di una commedia che porta lo spettatore nel dietro le quinte svelandogli i segreti di una stravagante compagnia che racchiude in sé tutti i “tipi” umani: il dongiovanni, la bella e frivola, l’insicuro, l’ottimista e l’ubriacone.

È l’intreccio di due linee narrative, che mette in luce la semplicità nell’uomo, influenzabile e anche disarmato quando si parla di sentimenti, battibecchi e pettegolezzi. Ci viene presentata infatti una compagnia, traboccante dei caratteri-cliché di cui dicevamo, con la loro farsa che, con forza di volontà e buone intenzioni, sta mettendo in scena: Niente Addosso di Robert Hausemonger (titolo e autore sono inventati dallo stesso Frayn). Il tutto però è mescolato e strettamente collegato con le dinamiche personali tra gli attori, che nascono, fioriscono e interagiscono continuamente con il loro lavoro. Sembra insomma di ritrovarsi davanti a una classica tele novelas con i colpi di scena, le storie d’amore, i tradimenti, l’imbranato e via discorrendo, con la differenza che si è a teatro. Proprio per questo suo tono è inevitabile che i personaggi siano parecchi; se escludiamo il regista, Lloyd Dallas (interpretato da Fabrizio Martorelli), il direttore di scena Tim Allgood ( Ettore Lalli ) e l’assistente di scena Poppy Norton Taylor ( Lia Tomatis ), gli altri attori si trovano ad avere un doppio ruolo:
Dotty Otley, nello spettacolo La signora Clackett ( Daniela de Pellegrin ), Garry Lejeune, nello spettacolo Roger Tramplemain, ( Claudio Insegno ), Brooke Ashton, nello spettacolo Vicky (Carlotta Iossetti ), Frederick Fellowes, nello spettacolo Philip Brent e Lo Sceicco (Andrea Beltramo), Belinda Blair, nello spettacolo Flavia Brent (Carlotta Viscovo), Selsdon Mowbray, nello spettacolo Lo Scassinatore (Guido Ruffa).
La commedia, divisa in tre atti, si apre con una musichetta leggera, con l’entrata di quella che pare una donna di casa intenta a prepararsi a guardare la tv, comodamente sul divano, con giornale e acciughe, approfittando dell’assenza dei padroni. Lo spettatore inizia così, come naturale, a concentrarsi, per capire chi sia, quale sia il suo rapporto con la casa, con il lavoro, insomma mette in moto i classici meccanismi per cercare di crearsi il nodo iniziale da cui far partire il filo della storia. Per questo rimane quasi scombussolato, dopo cinque o sei minuti, all’irrompente voce che grida dalla platea. Il castello di ragionamenti viene bellamente buttato giù e ci si rende conto di trovarsi in una situazione meta teatrale con il regista che interrompe la scena. La mente allora scatta e capiamo di assistere alle prove generali, disperate della compagnia che da quel momento in poi ci porteranno all’interno di un perfetto meccanismo di equivoci, tra la commedia Niente addosso e gli errori degli attori, tanto che la fine del primo atto coincide con la fine del primo atto della commedia.

Nel secondo atto, invece, la situazione si capovolge. Il pubblico non si trova più dalla parte degli spettatori, ma è invitato a spiare dietro le quinte, dove si troverà faccia a faccia con le dinamiche sentimentali, i litigi e le piccole vendette degli attori, che inevitabilmente andranno a condizionare l’andamento dello spettacolo. Sapendo già le dinamiche della farsa, però, che si sente echeggiare dietro le scenografie, ci si sente quasi complici del disastro. L’aprirsi delle porte, l’entrare, l’uscire, gli oggetti di scena che cadono, si impigliano, rianimano nella memoria di chi guarda il loro ruolo nello spettacolo, ruolo che, ovviamente, andrà perso per via degli attori impulsivi e ormai completamente persi nelle loro sfere personali di vita quotidiana.

Nel terzo atto, il nostro sguardo viene nuovamente ribaltato. Si rivede il palco con la scenografia della casa, il divano, il tavolino e la tv. Ci si rende anche conto della degenerazione che ha avuto il tour di questa compagnia grazie a quella messa in scena che, organizzata in modo casuale, disordinato e sporco, grida pietà. Per la terza ed ultima volta ci si riprepara così a godere di Niente addosso resa ancora più esilarante dall’aumentare dei litigi nel retroscena che dirompano nel quadro in piena vista al pubblico.
Nel finale, quando ormai sembra impossibile recuperare la situazione, tutto si sistema per il meglio, come in ogni commedia che si rispetti. I personaggi infatti, si ritrovano imbarazzati tutti sulla scena, persino il regista, che aveva affermato più volta di non volerne sapere più nulla, all’ultimo si veste come può ed entra in scena cercando di recuperare le fila di quella commedia naufragante.

Nella regia di Claudio Insigno, gli effetti comici sono portati sul palcoscenico con estrema maestria; lo spettacolo è una continua risata dall’inizio alla fine, grazie alla caratterizzazione comica dei personaggi e ai ritmi sostenuti.
La scena, curata da Francesco Fassone, e i costumi, di Barbara Tomada, ci riportano ad un teatro tradizionale, in cui la scenografia è realistica e costruita, e i costumi rappresentativi del ruolo, cosa al giorno d’oggi alquanto rara.
Uno spettacolo famigliare, che mira allo svago, all’alleggerire la mente e fa sentire lo spettatore un’ospite ben accolto, in un umile, semplice e sentimentale compagnia allo sbaraglio.

Lara Barzon e Gisella Grandis

 

L’ultima performance: la vita

All’interno della stagione del TPE Teatro Piemonte Europa, Eros Pagni va in scena con Minetti di Thomas Bernhard, testo classico del teatro contemporaneo. Un magistrale attore diretto da un amico, Marco Sciaccaluga; due artisti che sono riusciti a trovare una perfetta intesa e a creare una reciproca collaborazione. Lo spettacolo prodotto dal Teatro stabile di Genova è stato in scena a Torino dal 15 al 19 febbraio.

Minetti racconta la storia di un attore ormai anziano, Bernhard Minetti appunto, che viene chiamato per interpretare uno spettacolo che segnerebbe il suo ritorno sulla scena teatrale dopo trent’anni di assenza. Minetti arriva dunque all’albergo e attende il suo amico e direttore del teatro, che gli ha dato appuntamento nella hall la notte di San Silvestro. Quest’ultimo tarda però ad arrivare; durante la lunga attesa l’attore incontra vari ospiti che alloggiano all’hotel, e racconta loro in modo ossessivo la storia della sua vita. Il suo attaccamento quasi morboso al passato si manifesta fin da subito, non solo tramite le storie che racconta, spesso ridondanti e sempre uguali, ma anche nell’atteggiamento che ha nei confronti della sua valigia. Questa, dalla quale non si allontana mai, contiene infatti un oggetto estremamente prezioso: la maschera del Re Lear. Il vecchio attore racconta con passione di come la sua  interpretazione del dramma shakespeariano lo abbia portato al successo, interpretazione però dalla quale non è più riuscito a separarsi, e lo capiamo dai racconti della sua vita quotidiana. Egli stesso afferma che ogni giorno, facendosi la barba o preparando la cena, ripete la parte per almeno venti minuti, e ogni domenica l’intera opera. Minetti spaccia questo comportamento come un “tener viva la memoria”, in realtà guardandolo da un punto di vista esterno sembra più un disperato tentativo di sentirsi ancora un attore vivo e presente sulla scena.    Continua la lettura di L’ultima performance: la vita

Quinta puntata de “I Tre Moschettieri”

La quinta puntata de “I Tre Moschettieri”, esperimento di “teatro a puntate” prodotto dalla fondazione TPE (Teatro Piemonte Europa) in scena al teatro Astra e diretta da Andrea Baracco sul testo riscritto da Ghigo de Chiara, soddisfa le aspettative e la curiosità destate.

Ormai la vicenda di D’Artagnan e dei suoi fedeli compagni Athos, Porthos e Aramis è già avviata, ma Continua la lettura di Quinta puntata de “I Tre Moschettieri”

I tre moschettieri al teatro Astra: la rivoluzione in scena.

Il debutto de “I tre moschettieri” è stato un gran successo, la seconda puntata è stata accolta magnificamente sia dal pubblico sia dalla critica; non si poteva mancare all’appuntamento del 13 febbraio per il terzo capitolo di quest’avventura. Chi come me non ha potuto assistere agli spettacoli precedenti non deve preoccuparsi: all’inizio della puntata viene fatto un riassunto di quanto è successo in precedenza e durante lo spettacolo gli attori fanno liberamente riferimento “alla puntata precedente” suscitando le risate dei presenti. Le aspettative erano grandi certo, ma sono state superate ampiamente. Una folata di vento che ha spazzato via tutte le mie credenze e i luoghi comuni sul teatro.

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I tre moschettieri: seconda puntata

di Matteo Tamborrino

Il secondo appuntamento con il serial teatrale del TPE è andato in scena dal 27 febbraio al 4 marzo sul “palco stravolto” del Teatro Astra di Torino, per la regia del proteiforme istrione Gigi Proietti.


Foto di scena:
Foto di scena: Luca Terracciano e Maria Alberta Navello

«D’Artagnan e i suoi nuovi amici – così recita il programma di sala (e così reciterà all’inizio della terza puntata anche Lia Tomatis nei panni di una seicentesca Annunciatrice/Popolana) – banchettano e festeggiano con i soldi ricevuti dal Re per il loro coraggio. Un bel giorno Bonacieux, padrone di casa di D’Artagnan, va a trovare il giovane e gli chiede di ritrovare sua moglie Costanza, guardarobiera della Regina, misteriosamente sparita. D’Artagnan gli promette aiuto ma poco dopo lo abbandona nelle grinfie delle Guardie del Cardinale venute ad arrestarlo perché sospetto complice nella sparizione della moglie. D’Artagnan finge collaborazione con i questurini per poter continuare a cercare Costanza che infatti, di lì a poco, ritorna in segreto a casa Bonacieux, rischiando pure lei l’arresto. Ma D’Artagnan la salva mettendo questa volta in fuga le guardie del Cardinale. Perché Costanza è sparita? Il suo segreto ha a che fare con l’arrivo clandestino del Duca di Buckingham, ministro d’Inghilterra, innamorato della Regina? D’Artagnan a sua volta si innamora di Costanza e per lei si ritrova invischiato nei misteriosi intrighi di corte: la Regina, Buckingham, il Cardinale che li vuole svergognare, il Re sospettoso e incollerito, Milady e il misterioso sfregiato, sicuramente due agenti del cardinale».

Una puntata ricca di intrecci e fulcri, dunque, anche se a dominare la scena – per l’intera durata dello spettacolo – è il giovane e abile Luca Terracciano/D’Artagnan, dallo stile fresco e ironico: si muove fluidamente in scena (sempre che di scena tradizionale si possa parlare), coinvolgendo il pubblico, anche solo con sguardi, ammiccamenti e caratteristiche risate, così come i suoi colleghi moschettieri Alberto Onofrietti/Athos, Diego Casalis/Porthos e Matteo Romoli/Aramis. Ad acuire questo senso di inglobamento dello spettatore è sicuramente la disposizione scenografica, che produce interessanti effetti prossemici. Il pubblico si sistema ai lati di una scena centrale (una sorta di lungo corridoio che collega le facciate di due palazzi dirimpettai), su una cascata di gradoni. La scenografia è curata e metonimica: un tavolo per un’abitazione, una vasca d’oro per il Louvre. L’atmosfera sembra fondere rievocazione storica (soprattutto nei mirabili costumi) e comicità dai toni amabilmente kitsch.

Certo questo connubio così particolare è ricercato coscientemente dal regista stesso, che trasforma questa puntata del romanzo in un vaudeville fumettistico, ricco di brevi monologhi a mo’ di didascalia e misuratamente ridanciano, complici anche le battute napoletane di Fabrizio Martorelli/Bonacieux e quelle spagnole della simpatica Maria José Revert/Dama Estefania, nonché gli interventi del dipartito padre Sergio Troiano, spesso in vesti femminili di domestica. Nell’intervista di presentazione Proietti afferma: «Sicuramente ci sarà dell’ironia, ma senza esagerare». Non si cade mai infatti in uno stile meramente macchiettistico. Tuttavia, i punti deboli non mancano: la messinscena è infatti priva di quella pulizia, di quel labor limae, che si pretende da uno spettacolo presentato come grande kolossal e sostenuto da un’impeccabile campagna pubblicitaria sui social e sul web. Le scene di Riccardo Ripani/Buckingham non funzionano: l’attore – dall’ottima dizione, in perfetto stile Paolo Grassi – manca però dei giusti tempi comici nella scena della spada reintrodotta nel fodero e impreziosita dalla battuta “Un momento!” rivolta a D’Artagnan che chiede ripetutamente il suo perdono. Una sequenza su cui Proietti aveva tanto insistito in prova (forse troppo), ma che non riesce. E così anche il momento musicale “Perché sono Bah-king-ham”.

La ragione di queste fragilità è forse da ricercare nell’estenuante lavoro a cui gli interpreti sono sottoposti: prove mattutine e pomeridiane della puntata successiva e repliche serali della puntata in corso. Quella di Proietti – in prova – si presenta come una regia “verticale”, quasi imitativa: non dà soltanto degli input agli attori, ma delle vere e proprie soluzioni sceniche da riprodurre. Il tempo è troppo poco per lavorare diffusamente con gli interpreti. Questo comunque non toglie che ci siano anche importanti elementi positivi. Ad esempio, la coppia dei reali di Francia: lei – Marcella Favilla/Anna d’Austria – domina (anche grazie al poderoso abito) la scena del dialogo con Buckingham, presenti le dame. La sua parodia melodrammatica – e il movimento ritmato della mascella asburgica – è eccellente. Così anche l’effeminato consorte Luigi XIII, interpretato dal bravissimo Gianluigi Pizzetti, che nonostante il fugacissimo cammeo nel finale, propone una maschera facciale davvero peculiare. E infine, le sapide gags del profumo Tonatto, che si inseriscono armonicamente nel tessuto drammaturgico.

Insomma, un ciclo teatrale, quello dei Moschettieri, che merita di essere seguito, ma che necessita ancora di qualche accorgimento da parte degli interpreti.

I TRE MOSCHETTIERI – II puntata
da Alexandre Dumas
testo Aldo Trionfo
coordinamento drammaturgico Andrea Borini
regia Gigi Proietti
regista assistente Lia Tomatis
con Luca Terracciano, Alberto Onofrietti, Diego Casalis, Matteo Romoli, Sergio Troiano, Maria Alberta Navello, Alessandro Meringolo, Stefano Moretti, Marcella Favilla, Riccardo Ripani, Fabrizio Martorelli, Vincenzo Paterna, Domenico Macrì, Matteo Anselmi, Giacomo Mattia, Marco Intraia, Andrea Romero, Maria Jose’ Revert, Michela Di Martino, Valeria Tardivo, Alessandro Panatteri, Lia Tomatis, Daniela Marcelli
scene e costumi Luigi Perego
con l’assistenza di Luca Filaci
musiche Germano Mazzocchetti
al piano Alessandro Panatteri
coreografie Federica Pozzo
progetto luci Gigi Saccomandi
scenografo collaboratore Francesco Fassone
costumista collaboratrice Augusta Tibaldeschi
allestimento scenografico realizzato in collaborazione con TEATRO REGIO TORINO
collaborazione per la costruzione di elementi di attrezzeria a cura degli studenti del corso di Teatro di figura dell’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino: Micol Rosso, Branislav Dimov