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LA DANZA FRA MICHELA LUCENTI E IL DIAVOLO

“La verità fa sempre male, anche se è una falsa verità”. È questa la lezione che ci è stata impartita e che deve essere assimilata per poter affrontare le avversità della vita, qualunque esse siano, anche quando sono in gioco magie oscure e diaboliche. In fondo abbiamo assistito “alla storia di un mago, che per definizione altro non è che un attore il quale finge e interpreta tale ruolo; ma anche alla storia del Diavolo, che altro non è che un mago […]”.

La citazione, tratta dal capolavoro letterario di Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, introduce queste note sullo spettacolo dalla struttura complessa cui abbiamo assistito, una scrittura scenica nata dall’incontro del regista Emanuele Conte con la coreografa Michela Lucenti. Il lavoro, prodotto dal Teatro della Tosse in collaborazione con Balletto Civile per le scene genovesi dello scorso anno, è stato ospitato presso l’Astra di Torino all’interno del cartellone di Palcoscenico Danza 2019.

Grazie alla presentazione del personaggio del Diavolo che, rievocando le parole del Faust di Goethe, si presenta come “[…] parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene”, viene proposta sin dal principio una chiave di lettura e una sintesi di ciò che si andrà ad assistere: sarà proprio questo personaggio demoniaco il motore di tutto il racconto. Probabilmente, questo preambolo introduttivo ha aiutato anche gli estimatori più acuti del testo di Bulgakov a comprendere uno spettacolo connotato da un forte surrealismo.

“Questo è uno spettacolo che contiene un altro spettacolo che parla di raggiri, di frodi e di bugie”: queste le parole che hanno annunciato l’inizio di una pièce dai toni grotteschi, giocata su diversi livelli registici per narrare vicende ambientate in differenti tempi narrativi e dislocate su tre piani distinti, ovvero, lo spazio del palcoscenico nascosto dietro un sipario vermiglio, il proscenio, circoscritto da una fila di finti lumi, e la platea.

Singolare e apprezzata è stata la scelta di accogliere il pubblico in sala con la musica di un abile pianista, che si scoprirà essere un fedele seguace demoniaco. Attraverso le animazioni video, realizzate sapientemente da Paolo Bonfiglio, abbiamo preso parte a un cortometraggio nel quale sono stati usati dipinti a olio animati per rappresentare la storia di Ponzio Pilato, vicenda cuore del libro scritto dal personaggio de Il Maestro. Questo ingresso sembra evocare il cinema tedesco espressionista, coi suoi toni bicromatici e volutamente sperimentali.

Anche l’arte della Lucenti mostra un chiaro richiamo alle avanguardie storiche; per l’occasione la coreografa ha prodotto una danza essenziale, basata su pochi gesti codificati e su presenze di corpi volumetrici, studiatamente densi, ma al contempo leggeri ed eterei. Sottratte dal contesto spettacolare in questione, alcune coreografie sarebbero parse pure rievocazioni degli Anni Ruggenti e di un periodo spensierato e indimenticabile, altre si sarebbero potute definire composizioni astratte, dove la presenza attoriale è sublimata da disegni geometrici scomposti e ricercati.

In linea con la chiave stilistica, il regista ha voluto moltiplicare gli spazi, eliminando non solo la quarta parete, portando al di fuori del boccascena danze e azioni e avvolgendo il pubblico, ma ricercando anche l’abbattimento della quinta, quella parete metafisica che ci separa da un mondo di idee e di spirito. Unite dalla musica, le scelte registiche e i disegni coreografici hanno cercato dunque di condurre il teatro verso una nuova linea di ricerca, un nuovo sentiero, forse non ancora abbastanza esplorato e discusso, volto non soltanto ad avvicinare l’uomo alla rappresentazione teatrale, inglobandolo nell’azione, ma conducendolo verso un mondo immateriale, fatto di pensieri e riflessioni.

Certo è che la danza, senza la parola, non sarebbe stata compresa appieno. Ciò non deriva da una carenza espressiva delle coreografie o dei suoi interpreti, i quali, al contrario, si sono dimostrati abili seduttori visivi e tecnicamente preparati, bensì da un pubblico non più avvezzo a un’arte sperimentale e avanguardistica, sicuramente non facilitato dall’assuefazione a tutte le immagini stereotipate con cui quotidianamente convive. Nonostante questo, la Lucenti riesce a conquistare il pubblico, sfruttando una coscienza profonda della danza, del teatro e dei suoi meccanismi di interazione con lo spettatore.

Recensione a cura di Matteo Ravelli

Testo: Emanuele Conte ed Elisa D’Andrea,
liberamente ispirato al romanzo di Michail Bulgakov
Regia: Emanuele Conte e Michela Lucenti
Coreografie: Michela Lucenti
Assistenti alla regia: Alessio Aronne e Ambra Chiarello
Con: Andreapietro Anselmi, Fabio Bergaglio,
Maurizio Camilli, Pietro Fabbri, Michela Lucenti, Marianna Moccia, Alessandro Pallecchi,
Stefano Pettenella, Gianluca Pezzino,
Paolo Rosini, Emanuela Serra, Giulia Spattini
Impianto scenico: Emanuele Conte 
Animazioni video: Paolo Bonfiglio
Costumi: Chiara Defant
Luci: Andrea Torazza
Musiche: Tiziano Scali
Pianoforte e musiche originali: Gianluca Pezzino
Produzione: Fondazione Luzzati /
Teatro della Tosse e Balletto Civile