“Vedo la mia stessa razza che uccide, in un modo o nell’altro uccide, tortura, sevizia, quindi se voglio appartenere alla gloriosa stirpe degli uomini che cosa devo fare? Schifo. Tutto qua.”
Sta di fatto “tutto qua” il significato de L’uomo più crudele del mondo di Davide Sacco, in questa specie di banalità del male (per sfruttare un’espressione molto fortunata) che inebria l’uomo comune appena egli percepisce anche solo il più vago sentore del Potere, facendolo sentire libero e soprattutto giustificato a dare il peggio di sé, poiché circondato da tanti altri che fanno esattamente la stessa cosa.
L’uomo più crudele del mondo è un’esplosiva danse macabre in cui i due personaggi e soprattutto le loro parole travolgono il pubblico fino quasi a soffocarlo, come in balìa di un mare in tempesta. La bravura di Lino Guanciale e Francesco Montanari è indubbia, ma a brillare è soprattutto quest’ultimo, grazie al suo ruolo di signor nessuno (a tal punto da non avere nemmeno un nome proprio) inizialmente composto e serio che si trova costretto ad intervistare il destabilizzante e scostante industriale delle armi Paolo Verès. La caduta quasi degna di Icaro di quest’uomo qualunque verso le più basse nefandezze concede ampio spazio all’attore per prendersi i suoi tempi, scaldare il pubblico e se stesso e partire in una corsa folle fino alla fine, fino allo stremo, fino a quell’ultimo assordante colpo di pistola. Lo spettatore viene travolto dalla consapevolezza di essere stato testimone non della degradazione di una persona innocente e normale, ma di un’indagine, di un disvelamento e di una denuncia dell’ipocrisia della società. Dopo lo shock generale di questo momento, gli rimangono solo il vuoto e il silenzio e può finalmente smettere di trattenere il fiato.
L’uomo più crudele del mondo è un’acuta e spietata indagine dell’umanità; il suo giovane autore, chiaramente spinto da un bisogno genuino di espressione e analisi, non si pone alcun limite e passa al microscopio anche i lati più oscuri della società, senza scadere nel banale e nello stucchevole. Si tratta di un atto unico che avrebbe potuto legittimamente prendersi uno spazio ancora maggiore, specialmente nel momento iniziale, per investire ancora più ferocemente, ma con delle basi più solide, lo spettatore, il quale rimane un po’ troppo con il respiro mozzato già dal primo minuto dello spettacolo. Allo stesso modo, il finale, per quanto inaspettato e brutale che sia, a mente fredda risulta uno degli anelli più deboli in una catena altrimenti solida.
Barbara Turinetto
Testo e regia: Davide Sacco
Interpreti: Lino Guanciale e Francesco Montanari
Scene: Luigi Sacco
Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, LVF, Teatro Manini di Narni