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Rita Maria Fabris racconta Altissima povertà

Venerdì 14 ottobre è la giornata che conclude l’intensa settimana di incontri, conferenze, workshop e laboratori di In Atelier. Processi creativi e dinamiche di relazione nelle “compagnie d’arte”. Rita Maria Fabris testimonia il ritorno al corpo nell’esperienza di Virgilio Sieni e della sua creazione Altissima Povertà per la città di Torino, in un racconto mitologico di nascita, passione e resurrezione attraverso cui una dimensione macrostorica si incarna nel tempo. Continua la lettura di Rita Maria Fabris racconta Altissima povertà

Chiara Guidi, LA-VOCE-CHE-NON-C’E’. Performance conferenza nello spazio del”tra”

Per il seminario In Atelier, Processi creativi e dinamiche di relazione nelle “compagnie d’arte”, la sala piccola della Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino ospita la performance che corona la lectio mattutina Tra voce e infanzia tenuta da Chiara Guidi presso l’Aula Magna della Cavallerizza Reale. Il contesto raccolto e intimo Continua la lettura di Chiara Guidi, LA-VOCE-CHE-NON-C’E’. Performance conferenza nello spazio del”tra”

Gli Omini

E’ martedì 10 ottobre, sono le 9.50 del mattino e in aula 7 a Palazzo Nuovo siamo in tanti.  Aspettiamo gli Omini: questo il nome della compagnia teatrale, nata in Toscana nel 2006.
Francesco, Luca, Francesca e Giulia sono invece i nomi dei suoi componenti, di cui oggi qui a Torino sono presenti in tre. Sono giovani, persone intelligenti e di una straordinaria sensibilità, capaci di catturare, fin da subito, tutta la nostra attenzione, raccontandoci con sincerità e simpatia -durante il corso della mattinata- la loro storia, i loro progetti, il loro lavoro.

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Raccolgono “materiale umano”-ci dicono-, poi, lo rielaborano e lo portano in scena: questo è, in estrema sintesi, quello che fanno.  L’umanità, nella sua forma più diretta e travolgente è ciò che costituisce la linfa vitale dei loro spettacoli, l’elemento verso cui indirizzano tutte le loro energie. Un’umanità che riconoscono nella gente trovata per strada, nei bar, nei piccoli paesi, nelle bocciofile, in stazione, etc.
Il nome della compagnia non è quindi casuale. L’omino è, in dialetto toscano, un uomo qualsiasi, l’altra persona, noi stessi. Gli omini sono loro, ma siamo anche noi e gli altri. Quello che realizzano è, lo ricordiamo ancora una volta, un lavoro di indagine e di ricerca dell’umano, che si trova ovunque, anche laddove mai avremmo pensato ad un primo sguardo.

Ma come si svolge effettivamente il loro lavoro? Qual è il percorso che si nasconde dietro agli spettacoli che portano in scena?
A volte si parte da un canovaccio, da uno scheletro-guida -racconta Francesca-. Altre, lo si elabora strada facendo. Tre di loro si recano in un paese, o in un luogo specifico. Qui iniziano a guardarsi attorno, ad osservare. A questo punto si avvicinano, per una chiacchierata informale, agli individui che -ai loro occhi- sembra abbiano qualcosa di interessante, non tanto da raccontare, quanto piuttosto da comunicare. Poi li ascoltano, con semplicità. Muniti di telecamere, registratori, carta e penna, ne raccolgono i gesti e le parole.
“C’è un sacco di gente in giro che ha tantissima voglia di parlare, e che ha bisogno di essere ascoltata. Così, quando arriviamo noi, badabam, c’è chi ci vomita addosso una vita intera”-dice Francesco-.
Tutto questo si ripete per giorni, a volte addirittura settimane o mesi, alla fine dei quali si torna “a casa”. La prima fase, che viene definita “di indagine”, è conclusa. Il materiale raccolto viene consegnato a Giulia, la quale, all’interno della compagnia, ha il ruolo di dramaturg: scrive per la scena, pensando alla scena.
Tutti insieme s’impegnano infine in un difficile lavoro di interpretazione ed elevazione del materiale raccolto, sbobinato e riorganizzato. Così la realtà delle conversazioni e dei momenti vissuti viene trasformata in arte, in teatro. Passaggio necessario. Perché non sempre una conversazione è buona di per sé. Sta a loro, attraverso il teatro, cercare di trasmettere la spinta che hanno presentito dietro a quelle parole, il “non-detto”. La vivezza, per loro, qui è fondamentale. Il teatro dev’essere vivo e riuscire a toccare fin nella pancia lo spettatore seduto in poltrona, esattamente come hanno fatto con loro le persone incontrate per strada.
Per cui, nonostante questa apparente distinzione di ruoli, è facile capire come si tratti in realtà di un collettivo. Tra di loro c’è uno scambio e un confronto continuo di idee, di pensieri, di osservazioni: una fortissima passione per l’essere umano li lega in maniera profonda, portandoli a condividere quasi la totalità del loro tempo.

Quindi sul palcoscenico che cosa succede?
Gli Omini non lavorano per farci la morale, il loro teatro non vuole insegnare niente a nessuno. Loro, in maniera molto umile, cercano di rappresentare quello che hanno sentito, visto, vissuto. In realtà, il loro principale obiettivo- ci rivela Francesco- è quello di far scaturire la risata. “Perché la risata è vita ed è subito una risposta a quello che facciamo; al nostro lavoro.” -dice-. Una risata, tuttavia, insolita: sincera, ma allo stesso tempo mescolata ad una tristezza e ad un mal di stomaco infinito, con il quale lo spettatore si alza alla fine dei loro spettacoli.  Che forse non sono altro che la rappresentazione del dualismo  intrinseco all’esistenza: da un lato dolorosa ,contraddittoria, dall’altro meravigliosa. Così maledettamente e straordinariamente tragicomica.
Si potrebbe quindi parlare di una sorta di teatro terapeutico dalla direzione biunivoca. Se da un lato si ha, sul fronte degli attori, una sensibilizzazione all’ascolto in continua crescita, che diventa vero e proprio atteggiamento di vita; dall’altro abbiamo la “redenzione” di tutti quegli omini incontrati, il cui spirito viaggia ora più
leggero e meno appesantito, grazie ad una semplice chiacchierata.

Abbiamo passato insieme a loro due giorni intensi, durante i quali abbiamo avuto la possibilità di toccare con mano tutto ciò. Siamo stati mandati in strada -a gruppi di 5 persone- ad osservare, ascoltare, assorbire, lasciarci stupire, interpretare.
Abbiamo raccolto “materiale umano”; poi lo abbiamo messi in scena.  Ne siamo usciti un pochino più ricchi, un pochino più umili e un pochino più umani.
Sono stati soltanto due giorni, è vero, ma sono bastati a farci crescere.
E per questo li ringraziamo di cuore.

Loro sono gli Omini.
Vengono dalla Toscana.
E sono delle belle persone.
Verranno a trovarci il 10 Novembre al Cubo Teatro, con “Ci scusiamo per il disagio”(h21, via Pallavicino 35).
E in questa occasione non possono che farci del bene, altro bene. Perché in fondo, come dicono loro: “Siamo tutti soli, siamo tutti diversi, siamo tutti Omini”.
Siateci.

Beatrice Decaroli