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FDCT23 – PLATONOV

Il 7 e l’8 giugno, alle Fonderie Limone di Moncalieri per la settima e ottava giornata del Festival delle Colline Torinesi si è tenuta, in prima assoluta, la reinterpretazione del regista Marco Lorenzi (al quale siamo riusciti a strappare una piccola intervista), affiancato dalla compagnia “Il Mulino Di Amleto“, del Platonov di Anton Cechov, uno dei primi drammi da lui scritti (1880-81).

Nel pre-spettacolo avremo una veloce e gaia presentazione del regista, gioiosa infatti sarà anche la prima parte del primo atto, dove vedremo i nostri attori imbandire un grande tavolo con bottiglie e contenitori di vetro contenenti vodka, importante simbolo della Russia e dello spettacolo in sè, e nel contempo, accompagnati dalla musica, gestita da uno dei personaggi seduto alla console. Dopo qualche minuto dall’arrivo di Platonov entreranno in scena pure la rabbia, il risentimento e la frustrazione fra i personaggi, sia per sciocchezze che per fatti di una certa importanza, ma l’allegria non lascerà mai il palco, creando una vera e propria altalena di sentimenti, la “Russità“.

Ma cos’è la “Russità“? Come ci spiega il regista, la russità è un neologismo utilizzato dai personaggi stessi, appunto per descrivere questa complessità emotiva altalenante continuamente presente durante il dramma e a volte anche durante la vita di tutti i giorni.

Cechov mandò il suo testo a diverse personalità di rilievo, fra cui una grande attrice del Maly Theatre di San PietroburgoMarija Ermolova, che, ahimè, gli consigliò di cambiare mestiere, al che lui si sbarazzò del dramma. In seguito, nel 1920, venne scoperta la prima stesura dell’opera e finalmente fu resa pubblica.

Il Platonov di Cechov è un opera divisa in 4 atti, ma in questa reinterpretazione godremo dei primi 3 e il quarto ci verrà narrato. Cechov, dopo quest’opera, abbandonò per lungo tempo il teatro dedicandosi ai racconti, ma nei suoi futuri testi teatrali prevarrà comunque la costante ricerca dell’uomo della felicità, sempre convinto che essa non si trovi lì con lui ma da un altra parte, tema che troviamo nel Platonov e spesso anche nella nostra esistenza. Altro tema di massima importanza è l’amore, amore al cui centro troveremo appunto Platonov, sposato, con amante e spasimante, ma tutto quest’amore è falso, l’amore non è un dono che bisogna ricevere per sentirsi completi, ma qualcosa di spontaneo e puro. Marco Lorenzi ci racconta come Oskaras Koršunovas (importante regista lituano) gli  abbia spiegato la sua intenzione di mettere in scena il Platonov dandogli di un ottimo consiglio:

Devi pensare che racconta della crudeltà dell’amore.

A mio parere, per questo dramma, Cechov fu influenzato da Arthur Schopenhauer per sua stesura. Qui citerei una delle frasi più famose del filosofo per far capire in che modo:

La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia.

Quest’opera, a sua volta, ha influenzato il famoso regista, sceneggiatore e scrittore francese, Jean Renoir nella stesura della sceneggiatura de La regola del gioco, dove possiamo trovare situazioni e significati simili a quelli del Platonov.

Realizzare questo dramma si deve essere rivelata un’impresa ardua, considerata la profondità e l’intensità dell’opera, ma il regista insieme alla compagnia ha svolto, a mio avviso un ottimo lavoro donandoci una godibile revisione. Gli attori come il pendolo oscilleranno fra amore e odio, tristezza e felicità con una facilità incredibile e riuscendo a rimanere credibili per tutta la durata dello spettacolo.

Per quanto riguarda la scenografia, ci troveremo inizialmente un tavolo vuoto, gli attori seduti su delle sedie e un pannello vetrato mobile praticabile in fondo al Décor. In seguito gli attori imbandiranno il tavolo, sposteranno le sedie e ci sarà un continuo mutamento della scena. Il pannello verrà utilizzato per il cambio del’ambiente, e in una scena di grande confusione verrà pure fatto ruotare velocemente in un mix di euforia e caos che rappresenterà a pieno i contrastanti sentimenti dei personaggi ormai alla deriva.

Recensione a cura di Roberto Lentinello

Da Anton Cechov
Regia Marco Lorenzi

Uno spettacolo di Il Mulino di Amleto

Con Michele Sinisi
e con Stefano Braschi, Roberta Calia, Yuri D’agostino, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Rebecca Rossetti, Angelo Maria Tronca
Adattamento Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi
Regista Assistente Anne Hirth
Style e visual concept Eleonora Diana
Disegno luci Giorgio Tedesco
Costumi Monica Di Pasqua

Co-produzione Elsinor Centro Di Produzione Teatrale, Festival delle Colline Torinesi, Tpe Teatro Piemonte Europa
Con il sostegno di La Corte Ospitale – Progetto Residenziale 2018
in collaborazione con Viartisti per La Residenza Al Parco Culturale Le Serre

VANJA 10 YEARS AFTER

Come non invecchiare? Ricordare, rivivere, reinterpretare? Occuparsi di qualche cosa? Un pianoforte, due poltrone, una lampada, un divano consunto, una chitarra acustica con il suo amplificatore, un charleston, qualche pianta: un luogo indefinito nel quale Zio Vanja, Sonja e Astrov si trovano a vivere dieci anni dopo la partenza di Elena e Serebrijakov. Si ritrovano o, meglio, sembrano perdersi nel ricordo della vicenda čechoviana. Tentano di leggere il passato, di proiettarsi nell’avvenire, lasciando il loro messaggio. Continua la lettura di VANJA 10 YEARS AFTER

Un gabbiano quasi… sognato

È stato in scena dal 13 al 16 aprile presso le Fonderie Limone di Moncalieri, penultimo spettacolo del ciclo Progetto Internazionale del Teatro Stabile di Torino : Il Gabbiano di Anton Cechov diretto da Thomas Ostermeier.

Lo spettacolo arriva a Torino, con la sua unica tappa Italiana in una tournée europea. Uno spettacolo nuovo, visionario e attuale, marchio del regista tedesco Ostermeier.
Un lavoro che inizia spiazzando gli spettatori che non appena entrano in sala vedono una scena spoglia, con gli attori seduti ai lati di un palco chiuso che dà verso la platea. L’attore francese, con un italiano non perfetto si rivolge al pubblico, facendoci capire che è inutile che noi siamo lì, dovremmo preoccuparci di quello che sta succedendo nel mondo, che sta accadendo in Siria. Il pubblico, attonito, non capisce se sia o no da copione. Ma lo spettacolo inizia, e le pareti grigie iniziano a prendere forma anche grazie a un disegno che un artista crea sullo sfondo tra una scena e l’altra.

Quello che vediamo è un Gabbiano moderno dove bastano pochi oggetti per creare un palco, un pontile, una stanza… Qui sono importanti le parole, parole spesso interrotte da semi-improvvisazioni che ci riportano alla realtà, al 2016. Straniamenti degli attori che ci attirano molto di più delle stesse parole di Cechov.
Per tutto il corso dello spettacolo subiamo un processo di straniamento, che permette di riflettere sul presente, su come stia cambiando il modo di fare e di scrivere il teatro oggi.  E questo nuovo modo, lo mostra molto bene Konstantin con la rappresentazione del suo spettacolo. Il tema della piccola rappresentazione  è un mondo che non sappiamo se esisterà ancora in futuro, un mondo che non si capisce oggi e che piano piano stiamo distruggendo. A rendere moderno questa forma di metateatro, è soprattutto la costruzione di una figura quasi onirica del personaggio/voce interpretato da Nina, nella piccola, ma molto intensa rappresentazione. Continua la lettura di Un gabbiano quasi… sognato