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SPETTATORE CONDANNATO A MORTE

La rappresentazione teatrale Spettatore condannato a morte avviene in un luogo suggestivo.  Ci troviamo a San Pietro in Vincoli, un ex cimitero, nello specifico in una chiesa sconsacrata. Ci accoglie un giardino esteso che guida i nostri passi verso la biglietteria: una donna, attenta e gentile, dopo averci dato i nostri biglietti, ci indica un tavolo dove farci servire delle bibite calde e dei dolcetti. L’atmosfera inizialmente fredda, comincia a riscaldarsi, ci sono dei portici, arredati con poltrone, tavolini ed altri arredi domestici; in fondo, il cimitero è una casa per tutti. Un’altra ragazza ci accoglie in un graditissimo tepore, un grembiulino blu le fascia la vita e i suoi capelli ricci, scendono delicatamente sulle spalle. Un biglietto della lotteria finisce nelle nostre mani “non perdetelo, vi servirà dopo per un’estrazione”. I nostri biglietti non hanno segnato il numero del posto, la coda per entrare nella chiesa è lunga e trepidante. Attendiamo. Scattano le 19 in punto. Un ragazzo, alto e dal viso valorizzato da un baffo, ci strappa i biglietti e ci fa entrare. I posti sembrano distribuiti casualmente, eppure, una signorina ci guida attentamente: siamo disposti in semicerchio, ricorda un anfiteatro, come fosse un rimando al teatro antico.

“Che entri il giudice”, siamo in una corte di giustizia e davanti a noi, con toghe nere, passo deciso e voce altisonante si dispongono un procuratore, un cancelliere ed un giudice appunto. Dalla regia di Beppe Rosso nasce il riadattamento del testo di Matei Visniec, un lavoro dagli intrecci notevoli e complessi, interpretato da attori professionisti e da alcuni  partecipanti ad un precedente laboratorio dedicato allo spettacolo, quelli che saranno i testimoni, la donna gentile della biglietteria, la ragazza dal grembiulino blu e dai capelli ricci e lo strappatore di biglietti dal baffo prominente. La performance attoriale è intrisa di improvvisazioni, equivoci e incomprensioni, la risata del pubblico si scatena incontrollata e talvolta quella degli stessi attori. Un dettaglio peró che rompe un po’ la magia della pièce teatrale, distogliendo l’attenzione dal testo e dall’importante messaggio che vuole trasmettere. La scenografia è mobile e dinamica come lo stesso spettacolo, il legno la fa da padrona. Il protagonista è il pubblico ed in particolare uno spettatore che entra nell’occhio del ciclone della performance teatrale. A tutti i costi questo spettatore deve essere condannato a morte, le figure giudiziarie chiedono aiuto al pubblico per poterlo condannare, un pubblico che si manifesterà curioso e silenzioso seppur divertito. Il testo di Visniec vuole raccontare di come la giustizia, spesso, si perda nella delirante ricerca di un colpevole senza restituire la reale importanza della verità.

Quanto è infatti necessario trovare un capro espiatorio nella società odierna? E’ altrettanto importante la scoperta della verità, del movente, di un perché? No, non lo è, l’esigenza umana di attribuire un volto alla rabbia e all’odio è naturale, la verità  è invece una ricerca razionale, tipica di una civiltà intelligente, senza pregiudizi. Noi però siamo chiamati a giudicare e in uno scambio tra testimoni, pulito, veloce e dinamico, osserviamo, senza agire, il compimento di quella che sembrerebbe un’ingiustizia. “Forza uccidetelo, dai, uno di voi, si alzi e prenda questo fucile, uccidetelo”, il pubblico è talvolta confuso, quasi nessuno risponde alle sollecitazioni degli attori: chissà, forse perché sappiamo di essere ad uno spettacolo. L’uomo imputato resta in scena, in un angolo, seduto su una sedia, protagonista consapevole seppur non preparato, complice di un equivoco che spinge il pubblico a chiedersi continuamente se sia attore o spettatore, ebbene, ecco la risposta.

Come si è sentito?

Beh, sicuramente è stato per me, spiazzante

Sentiva l’impulso di reagire? Se si, perché non lo ha fatto?

Si, sentivo l’impulso di reagire, se non mi avessero detto di non fare nulla, probabilmente mi sarei inventato qualcosa.

E cosa avrebbe fatto?

 Avrei avuto voglia di sparargli.

Il pubblico siede sul liminale tra finzione e realtà, un confine difficile da stabilire, nella vita come in teatro. Quello che mi ha sollecitata mentre le battute scorrevano una dietro l’altra è stata la volontà di scoprire il pensiero degli attori, in particolare quello del giudice, presente in tutte le scene. 

Ti sei divertito?

Si, molto, sarebbe stato un problema fosse stato il contrario.

Come è stato il rapporto con il regista nella costruzione di uno spettacolo dalla sceneggiatura così articolata?

Devo dire difficile, abbiamo però trovato un ottimo compromesso.

Quanto è importante il silenzio del pubblico ?

 In questo spettacolo, come in tanti altri, è fondamentale, scandisce il ritmo, come fosse un’armonia musicale.

Quanto è stata importante l’improvvisazione? 

Fondamentale, direi.

Quando chiedevate reazioni dal pubblico, sapevate già non sarebbero arrivate? Oppure non avete avuto le giuste risposte alle vostre sollecitazioni? 

Si, sapevamo già non sarebbero arrivate, fossero arrivate le avremmo sicuramente gestite con l’improvvisazione ma ritornando sempre alla sceneggiatura originale.

Porre queste domande e avere delle risposte ha chiarito tante mie perplessità nate durante lo svolgimento della pièce teatrale. Uno spettacolo che, a mio avviso, ha un potenziale incredibile, seppur per certi versi ancora latente. C’è però da specificare che questo è uno “spettacolo partecipato”, in cui solo 4 attori sono professionisti, le altre 25 persone intervenute in scena sono invece cittadini, reclutati per il laboratorio condotto da Beppe Rosso e Yuri D’agostino. Mi sento dunque di fare luce su questo “dettaglio” per evidenziare il grande lavoro fatto dalla regia e dall’aiuto regia . La tematica trattata, è infatti, estremamente attuale e ci chiede di osservare noi stessi dall’interno, una piccola società racchiusa in un ex spazio sacro, che ci porta ad una profonda analisi di coscienza, in fondo, come diceva Friedrich Nietzsche “dovremmo chiamare ogni verità falsa, se non la abbiamo accompagnata da almeno una risata”.

Rossella Cutaia


CREDITI

di Matei Visniec
traduzione Debora Milone e Beppe Rosso
Adattamento Beppe Rosso e Lorenzo De Iacovo
aiuto regia Yuri D’Agostino
regia Beppe Rosso
con Lorenzo Bartoli, Francesco Gargiulo, Andrea Triaca, Angelo Tronca e con venticinque cittadini nel ruolo dei testimoni
scene e luci Lucio Diana
riprese video Eleonora Diana
tecnico di compagnia Adriano Antonucci
sound Massimiliano Bressan
costruzione scene Marco Ferrero
produzione A.M.A. Factory

PRIMA NAZIONALE

Spettacolo programmato in collaborazione con Piemonte dal Vivo nell’ambito del progetto Corto Circuito