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IL CROGIUOLO – FILIPPO DINI

Degenerazione dell’essere umano davanti alla tragedia

Out of the blue – e così di punto in bianco, quasi d’improvviso, entriamo a gamba tesa all’interno della nuova stagione teatrale 2022-2023 del Teatro Stabile di Torino con il suo primo spettacolo in cartellone al teatro Carignano fino al 23 ottobre: Il Crogiuolo di Arthur Miller. Il testo, intrinseco di potenza e importanti significati politici, soprattutto in Italia è stato poco rappresentato. Gli unici predecessori di Filippo Dini sono stati Luchino Visconti e Sandro Bolchi; fatto che può essere fonte di riflessione e che può dire molto sul paese in cui viviamo e sulle sue radici politiche e sociali. Infatti, il Crogiuolo, sia quello di Miller, con la caccia alle streghe e il maccartismo, che quello di Dini, con l’estremizzazione del sogno americano e l’adorazione di un potere superiore eccessivo, si caratterizza per la denuncia del fanatismo.

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GHIACCIO – FILIPPO DINI

“Fondamentalmente io sono un pezzo di ghiaccio”, apre così lo spettacolo il personaggio di Ralph, interpretato da Filippo Dini. Il ghiaccio in questa pièce è ovunque: si viene avvolti da un’atmosfera gelida, immobile, già dall’ingresso in platea del pubblico, quando le luci di sala sono spente e si vede solo grazie a un’illuminazione di ghiaccio che arriva dalle luci di scena.

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Cosí è (se vi pare) – Filippo Dini

E’ tra l’ombra della verità ed il mistero che prende vita lo spettacolo teatrale Così è (se vi pare) di Filippo Dini. La commedia presenta sfumature intense, realistiche e al contempo surrealisticamente ossessive. Protagonisti della vicenda sono i Signori Ponza e la Signora Frola, madre della moglie, trasferiti da poco in un piccolo centro. Si delinea in loro una forte sofferenza interiore causata dal terremoto della Marsica del 1915 durante il quale persero diversi familiari. È proprio questa sofferenza, dovuta dalla presa di coscienza della catastrofe, il punto di partenza del regista. Tutta la vicenda si svolge nella casa del consiglier Agazzi dove si riuniscono un gruppo di borghesi per scoprire cosa si cela dietro le stranezze dei tre. La signora Ponza vive reclusa in una casa in periferia col marito che più volte al giorno va a trovare la suocera che abita invece in un condominio dell’alta borghesia, proprio accanto alla famiglia Agazzi. Dini è fortemente affascinato dalla figura dei borghesi per il loro accanimento distruttivo, l’ossessiva ricerca della verità univoca e più vicina possibile alla realtà.

Inevitabilmente la scena si tinge di incognite che si susseguono e si alimentano nell’animo dei borghesi.
La duplice verità portata dal Signor Ponza e dalla signora Frola in merito all’identità della moglie accresce la curiosità dei maggiorenti del paese, i quali cercano di portare e far valere ognuno la propria teoria. Il timore, a volte cupo altre volte aggressivo, si manifesta anche nei borghesi, in particolare in Amalia, la moglie del consigliere. La fragilità si palesa in modo evidente, è la figura che percepisce con più coinvolgimento emotivo il segreto inconfessabile dei tre. Personaggio assai curioso e affascinante è il fratello di Amalia, Lamberto Laudisi, interpretato dal regista stesso.

Laudisi, cercando di dissuaderli dalla tragedia, involontariamente alimenta ancor più i dubbi nella mente dei personaggi. Elemento interessante è la menomazione di Lamberto dalla quale scaturisce il suo monologo allo specchio: un tripudio di suoni e riflessi di se stesso e di come gli altri lo percepiscono. Questo è il punto focale dell’impostazione di Pirandello che il regista ci ha saputo riportare: l’impossibilità di comprendere gli altri ed il fantasma di ognuno di noi, fantasma con il quale interagisce timoroso e arrabbiato allo stesso tempo. Pare la stessa sensazione percepita quando, nella scena finale, si alza dalla sedia a rotelle liberandosi da una sorta di costrizione mentale e regge tra le braccia la Signora Ponza, sostenendo quasi una verità camaleontica, capace di adattarsi a gli occhi di chi guarda, così come di noi stessi.
Emerge in questo lavoro un forte richiamo al cinema surrealista, in particolare a Bunel; la dimensione è onirica, l’unica verità è quella mutevole del sogno come contatto privilegiato col proprio inconscio. Ed ecco che Pirandello diventa terribilmente attuale, portatore di un messaggio che ha a che fare con il mondo contemporaneo. Filippo Dini ci ha saputo regalare una visione alternativa della pazzia rispetto al “Così é” pirandelliano: pazzi sono i borghesi, pettegoli che giudicano e scrutano dal di fuori, come pubblico di uno spettacolo vivo, com’è la vita.

Regia: Filippo Dini
Scene: Laura Benzi
Costumi: Andrea Viotti
Luci:Pasquale Mari
Musiche: Arturo Annecchino
Assistente regia: Carlo Orlando
Assistente costumi: Eleonora Bruno
Interpreti e personaggi:
Maria Paiato (la Signora Frola)
Giuseppe Battiston (il Signor Ponza)
Benedetta Parisi (la Signora Ponza/infermiera/spettro)
Filippo Dini (Lamberto Laudisi)
Nicola Pannelli ( il Consigliere Agazzi)
Mariangela Granelli ( la Signora Amalia)
Francesca Agostini (Dina)
Ilaria Falini (la Signora Sirelli)
Dario Iubatti (il Signor Sirelli)
Orietta Notari (la Signora Cini)
Giampiero Rappa (il Signor Prefetto)
Mauro Bernardi ( il Commissario Centuri/cameriere di casa Agazzi)
Andrea Di Casa (cameriere di casa Agazzi)

Marianna Sica

Ivanov: la crisi dell’uomo moderno

Il 6 dicembre ha debuttato al Carignano Ivanov con la regia e l’interpretazione di Filippo Dini, spettacolo già insignito del Premio le Maschere del Teatro 2016.

Primo dramma cechoviano, Ivanov tratta in quattro atti di un uomo di mezza età assediato da un forte mal di vivere, una forma di depressione che lo porta a lamentarsi costantemente; un uomo divenuto sterile dal punto di vista sentimentale e segnato dall’incapacità di rapportarsi con i personaggi che lo circondano.

La rappresentazione inizia già nel momento in cui lo spettatore fa ingresso in sala; infatti in scena, quasi in un fermo immagine, è già presente un Dini assolto nella lettura.
Nikolaj Alekseevič Ivanov viene successivamente sorpreso alle spalle dal lontano parente e amministratore delle sue terre Mihail Borki, il quale gli punta una pistola alle spalle nell’intento di farlo trasalire. La pistola sarà l’emblema e il simbolo di questo dramma, presente sin dall’inizio come monito e avverso presagio, tornerà poi anche alla fine segnando una perfetta chiusura ad anello.
Un dramma che non poteva che chiudersi con la sconfitta del suo eroe, il quale, fin da subito, appare segnato dall’impossibilità di salvezza.
Il finale profondamente drammatico viene reso con grande forza espressiva dalla regia di Dini, grazie alla capacità di coinvolgere gli spettatori su più livelli percettivi e sensoriali.
Il gesto estremo del suicido di Nikolaj Alekseevič, tanto cruento quanto elaborato, viene preceduto da un rumore assordante e viene seguito da una scena al rallenti, unico momento di stasi in tutta l’opera, che si chiude mentre l’odore della polvere da sparo si diffonde nella sala.

Filippo Dini porta in scena un personaggio nevrotico, a tratti spietato, a tratti comico. Un personaggio in grado di trascinare coloro che lo circondano nella sua follia, nella sua miseria, in grado di portare tutti sull’orlo della nevrosi. Eppure Ivanov non compie mai il male in modo volontario, consapevole sì, ma volontario mai.
E se è vero che le sue azioni sono mosse da una logica profondamente complessa e contorta, in grado di sfuggire pure a Ivanov stesso, Dini riesce a dare corpo a un personaggio fortemente contraddittorio, sempre in bilico tra lo scoppio d’ira e la volontà di reprimere tale sentimento.
In breve, un personaggio estremamente moderno, estremamente umano, in grado, anche dopo più di un secolo, di parlare ancora direttamente al pubblico.

La regia di Filippo Dini assume un andamento concitato e dinamico, in un susseguirsi di scontri frontali tra Ivanov e gli altri personaggi nel tentativo utopico e costante di trovare un punto di incontro. Un sogno questo però destinato ad infrangersi, come quelli delle due donne colte dall’amore per il protagonista: Anna, che per sposarlo ha abbandonato la sua famiglia e la religione ebraica, ammalandosi di tubercolosi; e Saša, giovane fanciulla che spera di poter guarire Ivanov dai suoi mali.

Un “Ivanov” dunque indubbiamente innovativo, che si allontana profondamente dal tipico andamento malinconico e statico dei tradizionali allestimenti cechoviani in favore di un ritmo frenetico, di una continua tensione emotiva che non lascia tregua allo spettatore.

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Ivanov di Anton Čechov
traduzione Danilo Macrì
con Filippo Dini, Sara Bertelà, Nicola Pannelli, Antonio Zavatteri, Orietta Notari, Valeria Angelozzi, Ivan Zerbinati, Ilaria Falini, Fulvio Pepe
regia Filippo Dini
scene e costumi Laura Benzi
luci Pasquale Mari
musiche Arturo Annecchino