
Amleto di Leonardo Lidi, portato in scena al Teatro Stabile di Torino in occasione dei settant’anni della Fondazione, si presenta come un’operazione di rilettura, alleggerendo il testo più profondo di Shakespeare.
È un progetto ambizioso, che intende portare il capolavoro shakespeariano ad una dimensione più pop e meno tradizionale.
Lidi sceglie la via della leggerezza, attraverso un linguaggio che parla direttamente allo spettatore.
Il risultato è un Amleto che, nel tentativo di essere immediato, rischia di alterare le intenzione di Shakespeare, trasformando il dramma in qualcosa di forse troppo leggero.
Amleto, nel testo originario, è l’eroe cui viene affidata una missione (il fantasma del padre gli chiede di vendicarlo) che, però, a differenza dalla maggior parte dei testi in cui si racconta una storia di vendetta, si affranca dal suo ruolo, è il protagonista che mette metateatralmente ed esistenzialmente in dubbio il proprio obiettivo, riceve un compito, ma dubita del suo senso; così facendo, mette in discussione lo scopo stesso del suo esistere, Amleto è alienato da sé stesso, dal suo ruolo.
Per questo Shakespeare gioca con il teatro nel teatro, costruisce e decostruisce, è universale perché mette in discussione esistenzialmente il ruolo che ciascuno di noi recita nel palcoscenico della vita. Mario Pirrello (l’attore che interpreta Amleto) trasforma questa caratteristica fondamentale nell’opera in momenti che suscitano il riso del pubblico, come quando rompe la quarta parete e chiama sul palco due persone fra il pubblico che dovranno interpretare il re e la regina nello spettacolo messo in scena da Amleto per incastrare re Claudio, chiedendo esplicitamente se ci siano “attori nella vita”.
La scenografia di questo spettacolo è il punto di maggior forza. E’ tutta bianca, il colore fondamentale per gran parte dello spettacolo: dal sipario al trucco degli attori agli abiti, alla scena con la neve. Verso la fine, più lo spettacolo diventa tragico più vengono sottratti gli elementi scenografici: il sipario cala, gli attori si tolgono parrucche e abiti, il palco si colora di rosso.
Lidi non vuole che il pubblico resti distante, il suo è uno spettacolo che cerca la vicinanza, la complicità, porta una comicità più aperta che sottile e velata che provoca la risata improvvisa nello spettatore, la partecipazione immediata, eppure, proprio questa continua ricerca di contatto produce un effetto ambiguo, invece di farci entrare più a fondo nel tormento di Amleto, sembra quasi alleggerirlo, come se la tragedia dovesse mutarsi in un sorriso per non risultare troppo impegnativa.
In fondo, Lidi sembra voler proporre un Amleto che non spaventi, che non allontani, che accolga anche chi non frequenta abitualmente Shakespeare, e nel suo intento lo spettacolo è assolutamente riuscito: il ritmo, la chiarezza, la fisicità del gioco teatrale lo rendono accessibile, generoso, aperto.
di Luigi Papale
Regia: Leonardo Lidi
Attori: Mario Pirrello, Giuliana Vigogna, Nicola Pannelli, Ilaria Falini, Rosario Lisma, Christian La Rosa e Alfonso De Vreese
Scene e luci: Nicolas Bovey

Costumi: Aurora Tortorici
Cura movimenti scenici: Riccardo Micheletti



gia che distrugge, che fa male. Poi diventano mattoni per costruire la città e catapultarci nella Gerusalemme odierna dove non c’è più la spensieratezza di un tempo, dove si sente un pregare continuo e una puzza quasi nauseabonda di frittelle e dove si sbatte in continuazione addosso a negozietti che vendono gadget religiosi.