LA MERDA – CRISTIAN CERESOLI E SILVIA GALLERANO

Al Teatro Colosseo di Torino, venerdì 25 marzo è andato in scena La merda, di Cristian Ceresoli con Silvia Gallerano, in occasione del suo 10° anniversario. Ad attendere il pubblico in sala troviamo già l’attrice a centro palco, seduta su un alto sgabello nero, lei è piccola e nuda: impugna un microfono, e ciondolandosi canticchia una canzoncina, di quelle che allontanano la paura quando c’inoltriamo nel buio, di quelle che scacciano cattive presenze. Questa volta però non è una filastrocca per bambini, bensì l’inno d’Italia. Nel buio della scena si staglia solo il suo corpo di donna, e, all’apice di questa massa bianca, il cerchio rosso delle labbra: una grande bocca, un buco nero che minaccia di tritare e ingurgitare la platea e tutt’intorno.

Inizia una confidenza scomposta come in un bar a tarda notte, dove non ci sono età, ma solo bambini invecchiati male – così è chi parla, una bambina piuttosto adulta, una vita sulla soglia delle età e della coscienza. Così è la sua storia, un flusso magmatico in cui i dolori del passato e la fame del futuro s’impastano al presente; unico riferimento, il padre, fervente patriota, inaspettatamente suicida; poi è un succedersi di controfigure deformi, comuni, ma deformi, che infestano la vita della donna bambina. L’orgoglio paterno, l’impresa garibaldina e l’inno d’Italia sono gli unici strumenti che ha a disposizione per segnare un goal: passare il provino della televisione e diventare una vedette, o qualcosa del genere.

Com’è noto, il monologo è un disperato grido di amore e odio per il mondo dello spettacolo, da intendersi in senso tecnico: quella società, la nostra, che si presenta “come un’immensa accumulazione di spettacoli”, dove “tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione” (Guy Debord, La società dello spettacolo). E la vedette è colui o colei che sa esserne il modello, che può rappresentare stili di vita differenti o differenti personalità, ma sempre deve mostrare al mondo intero il suo libero accesso al consumo, quel consumo che gli darà la felicità e di questa felicità possibile si farà testimone. Spoiler: questa felicità è solo apparente – infatti, la vedette, i nomi di punta dello spettacolo, come l’operaio di fabbrica, è la prima vittima del sistema produttivo. Perciò, della nostra protagonista sappiamo solo che è piccola, di bassa statura, e ha i cosciotti, per il resto, è come un prisma disegnato dalla violenza altrui; non ha nome, perché potrebbe essere tutti.

Se Guy Debord parlava della società dello spettacolo in termini globali già nel 1967, è difficile comprendere perché lo sproloquio de La merda si fregi della bandiera italiana, al punto che, da principio, lo spettacolo era dedicato al centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Per capire, dobbiamo tornare a dieci anni fa: era il 2012, ci si arrivava dopo una crisi economica devastante (2008), poi lo scoppio del caso “Olgettine”, Bunga bunga”, Rubygate (2010) – ognuno può chiamarlo secondo il proprio pregiudizio, se più sessista o più razzista -, nel mentre andava in onda la sceneggiata del Popolo Viola, e, infine, arrivava a redimere i peccati italici l’agognato governo tecnico con Mario Monti (2011-13). In quegli anni lo spettacolo integrato si concentra sulle avventure di Silvio Berlusconi e noi spettatori veniamo quotidianamente edotti sull’articolatissimo giro di prostituzione, clientelismo e corruzione che coinvolge il mondo dell’informazione, dell’industria, della televisione – in una parola, dello spettacolo. Dunque La merda nasce in seno e contro a un altro show – questo che dai tribunali, passando per tv e giornali, si diffondeva sui social – e solo da lì traeva alimento. Per farci un’idea, possiamo guardare Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, un documentario che ci cala nella realtà culturale degli anni ’10 e mostra una valida prospettiva critica di allora.

Ricordo la prima volta che ho visto in scena Silvia Gallerano con questo testo, era il 2015. Per me fu un avvenimento importante, uno spettacolo stupefacente. Solo ora, e per due ragioni, posso capire quanto i miei sentimenti fossero in colpevole ritardo, e quanto, altrettanto, lo spettacolo:

  1. Nel 2015 nasceva in Argentina il movimento transfemminista NiUnaMenos, che in breve periodo si diffonde in tutto il globo. Proponendo una lettura condivisa e articolata della violenza di genere, un’ampia critica al patriarcato, NonUnaDiMeno ha ribaltato il dibatto femminista anche nel nostro paese, e continua a fornire una strada di attivismo concreta a tutti coloro che fino allora, come me, ne erano stati sprovvisti. Stupisce quindi leggerne l’omissione nel Corriere della Sera del 24 marzo: «La Merda vide la luce a ridosso dello scandalo delle Olgettine, “poi venne il #MeToo e altri avvenimenti che, uno dopo l’altro, schiacciavano il testo sempre più sul contemporaneo”». Se fosse citata, l’esistenza di NonUnaDiMeno metterebbe in discussione radicalmente la contemporaneità di un testo come La merda di Cristian Ceresoli, dove permane lo sfogo irrazionale, il rifiuto di comprendere e trasmettere la complessità, il compiacimento nel disgusto collettivo; al contrario, il movimento reale del transfemminismo promuove pratiche condivise di opposizione, individua responsabili, colpevoli e sorelle.
  2. Sotto un altro aspetto, ben più discutibile, il testo sembra superato, e con esso anche la realtà dei primi duemila, non solo dal movimento sociale, ma anche dallo sviluppo tecnologico: Internet prima, i social Network e le grandi aziende di streaming poi, fornendo agili mezzi di comunicazione a ogni individuo da una parte, producendo e distribuendo una cinematografia globalizzata dall’altra, sembrano liberare progressivamente la strada della celebrità dall’arbitrio dei grandi e piccoli padroncini dei media nazionali, proletarizzando o democratizzando (come vogliamo vederla) o almeno scompigliando le condizioni di accesso al lavoro di vedette, il faticosissimo lavoro di ragazzə immagine della società.

Nicolas Toselli

10° Anniversario Tour 2012-2022
con Silvia Gallerano
di Cristian Ceresoli
una produzione Frida Kahlo Productions (Milano) 
con Produzioni Fuorivia (Torino) Richard Jordan Productions (London) 
in collaborazione con Summerhall (Edinburgh) e Teatro Valle Occupato (Roma)
direttore tecnico Giorgio Gagliano

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