TARTUFO – di JEAN BELLORINI

O si dà piena approvazione alla commedia del Tartuffo, o bisognerà condannare tutte le commedie senza eccezione!

Dal 25 al 28 gennaio il Teatro Astra ospita una produzione del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale e Théâtre National Populaire de Villeurbanne per la regia di Jean Bellorini: il Tartufo di Molière, tradotto da Carlo Repetti.

La linea di programmazione del teatro torinese per la stagione 2023/2024 propone il tema della cecità, un tema in effetti presente nella commedia molierana e incarnata dal personaggio di Orgone.

«Voi vorreste che tutti fossero ciechi come voi; vederci bene vuol dire essere dei miscredenti, e se uno non va in adorazione di fronte ad ogni messinscena, vuol dire che non ha fede né rispetto per le cose sacre». Così Cleante si rivolge ad Orgone, accusandolo di miopia, poiché non è in grado di vedere oltre le apparenze di Tartufo, un (falso) pio cui si è affezionato. «Per te non c’è nessuna differenza tra l’ipocrisia e la devozione? Vuoi trattarle tutte e due allo stesso modo, rendere lo stesso onore alla maschera e al volto […]?». Dunque, dal punto di vista drammaturgico, Cleante è una figura davvero eccezionale: Molière in molte commedie affianca al protagonista «malato» il portavoce di sapienza. Allora ci si chiede chi sia il vero malato che vuol raffigurare Molière, se il sonnambulo oppure l’impostore: chi è il cieco? Cosa vuole o non vuole vedere? E perché? Inoltre questo saggio intervento di Cleante pare anticipare di tre secoli il tema pirandelliano della maschera e del volto in maniera sorprendente.

Dal punto di vista stilistico, Molière perseguiva una recitazione meno convenzionale, più realistica, più aderente alla verità psicologica dei personaggi e delle situazioni, rispetto ad autori maggiormente acclamati e apprezzati del suo tempo, come Corneille e Racine, esponenti del cosidetto «teatro aristocratico». La nuova idea di teatro di Molière avrebbe trovato la sua definitiva realizzazione nel teatro borghese di Goldoni. Ma gli attori di Bellorini sembrano solo apparentemente fedeli a stilemi realistici e psicologici, non mancando toni grotteschi e note di umorismo.

Dal Tartufo in poi, la linea di sviluppo che emerge dall’opera di Molière è quella che conduce a una moderna commedia di costume: ispirata all’attualità, conformata ai criteri della verosimiglianza, delle vicende e delle psicologie dei personaggi. Le scelte scenografiche (Bellorini) e dei costumi (Macha Makeïeff) vogliono evitare la fedele attinenza realistica e psicologica: i vestiti sono eccentrici e colorati e l’arredamento allestito è quello di una moderna cucina concreta. Inoltre attrici e attori sono truccate/i di bianco in volto. In questo senso, quando la maschera continua a rappresentare un volto umano, diventa fissazione di un atteggiamento mimico. Un certo richiamo alla commedia dell’arte e in generale al teatro delle marionette traspare dalla recitazione meccanica dell’attore Ruggero Dondi (Cleante).

I temi affrontati sono l’attaccamento ai beni materiali, l’ipocrisia, la devozione, il limbo sottile tra sacro e profano, i vizi, il falso agire sotto il nome di Cristo, la povertà dell’onestà, gli affari, le lotte tra padri e figli, il matrimonio d’amore e d’interesse.

Quest’ultimo si concretizza nella scelta di Orgone di dare sua figlia Mariana in sposa a Tartufo. Il dialogo prende vita in proscenio, in uno spazio quasi “extradiegetico”, un corridoio orizzontale segnato da un tappeto grigio e da due schieramenti di sedie ai lati. In seguito altre conversazioni tra due o tre personaggi avranno luogo in questa specie di scena aperta, che pare sfondare la quarta parete, anzi si può dire che la attraversa come fosse uno spioncino per mezzo del quale è consentito confessarsi non solo tra interlocutori ma anche al pubblico.

Dorina è la confidente di Mariana. Definita «suivante» nell’originale, avrebbe funzione di una damigella di compagnia accolta in casa secondo l’uso del tempo. Ma Dorina prima di tutto è una donna. Alla notizia del matrimonio forzato, Dorina reagisce, si oppone e non si zittisce neppure di fronte all’ira di Orgone. Quando rimangono sole, Mariana e Dorina si confrontano intimamente, come si intuisce sogliono fare spesso, sull’amore reciproco tra Mariana e Valerio. Dorina domanda quali siano le intenzioni della fanciulla e Mariana disperata risponde che vorrebbe piuttosto morire. Dorina si infuria, perché non accetta che la sua compagna rinunci alla vita senza ribellarsi. Dorina non accetta lo sconforto: «non ho nessuna comprensione per chi fa tante chiacchiere, e al momento cruciale si squaglia come fate voi». Indossa abiti succinti e scollati, tant’è che alla seconda scena del terzo atto, quando finalmente Tartufo fa il suo ingresso nello spettacolo, egli le chiede di coprirsi il seno.

Tartufo è quindi l’eterno atteso: evocato per due atti interi insistentemente e apparso soltanto al terzo, in scena mangia voracemente, divora gli spaghetti, si riempie la pancia, mastica in modo sgradevole, è un porco. Il regista vuole presentarci proprio un uomo goloso, ingordo, ghiotto attraverso questi gesti, ripetuti anche all’inizio dell’atto quarto, quando egli è in scena con Cleante. In questo momento si condensa il confronto autentico tra il saggio e il viziato, tra chi mette in discussione la falsa povertà e chi brama la ricchezza, l’uno avvalendosi degli stessi insegnamenti cristiani tanto rivendicati dal secondo, l’altro fuggendo con la scusa dell’ora delle preghiere.

I cambi di scena sono sempre accompagnati da una musica. Forte è la componente coreografica, dal Tartufo innamorato che si avvicina saltellando ad Elmira, moglie di Orgone, al Cleante burattino. Sulle note de La cura di Battiato, Orgone (ignaro del tradimento) e Tartufo stringono l’accordo di eredità dei beni (posseduti dal primo e destinati al secondo) danzando come una coppia. Avvicinano le mani sul tavolo, si sfiorano e si guardano intensamente. Quella di Orgone sembra essere non solo ammirazione: la scena cela quasi un amore passionale.

Nella scena V dell’atto IV atto si apre la commedia nella commedia e a giocare un ruolo fondamentale è Elmira. Ancora una volta il merito di smascherare la menzogna è di una donna. È una commedia di donne che rivendicano la libertà; di un vecchio saggio dalle movenze pantomimiche; di un uomo impostore e un altro cieco, che non vuol credere fin quando non vede. Un quadro cinematografico defilippiano. Alcune immagini sembrano evocare Natale in casa Cupiello di De Filippo, a partire dal conflitto generazionale tra padre e figlio. La commedia nella commedia squarcia il velo della tragedia familiare.

La commedia è scritta in versi e ha una struttura in cinque atti. Nella traduzione, Repetti rispetta quasi amorevolmente la metrica del verso poetico italiano. La prima versione del ‘64 era una commedia in tre atti che si concludeva con la vittoria di Tartufo, ma l’ostilità dei cortigiani conservatori avrebbe indotto Molière a un lieto fine, garantito dall’ intervento del rex ex machina. Se davvero così fosse, sarebbe certo questo il più alto prezzo pagato da Molière per conquistarsi il favore del sovrano al diritto di esprimersi. Bellorini decide allora di sfruttare questo “incidente” al fine di evidenziare ancora una volta il carattere grottesco del suo stile: sul finale, infatti, una specie di Cristo (deus ex machina) rimasto quasi sempre in scena aggrappato ad una croce, vestito con occhiali da sole, accappatoio arancione e leggins attillati neri, acclama il lieto fine e fa imprigionare Tartufo (scende una gabbia che lo cattura). Una soluzione che punta in realtà a demistificare il lieto fine della più banale convenzione, utilizzando un espediente inverosimile, smaccato e parodistico.

di Alessandra De Donatis

di Molière

traduzione Carlo Repetti

regia Jean Bellorini

con Federico Vanni, Gigio Alberti, Teresa Saponangelo, Betti Pedrazzi, Ruggero Dondi, Daria D’Antonio, Angela De Matteo, Francesca De Nicolais, Luca Iervolino, Giampiero Schiano, Jules Garreau

collaborazione artistica Mathieu Coblentz

scene e luci Jean Bellorini

costumi Macha Makeïeff

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale e Théâtre National Populaire de Villeurbanne

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