Lazarus – David Bowie, Enda Walsh, tradotto e diretto da Valter Malosti

Lazarus, nella sua versione italiana tradotta e diretta da Valter Malosti, in scena al Teatro Carignano dal 6 al 18 Giugno, è un’opera scritta da David Bowie e Enda Walsh.

Ispirato al libro The Man who fell to Earth di Walter Tevis e all’omonimo film in cui Bowie interpreta l’alieno Newton, lo spettacolo continua a raccontarci la storia di Newton da dove l’avevamo lasciata. Nonostante non appartenga a questo Mondo, egli rimane prigioniero senza poter tornare al pianeta che lui chiama casa. Incapace di vivere, non riesce nemmeno a morire. Un immortale senza spirito vitale.

Rimasto solo senza l’amore della sua vita Mary Lou e ormai al limite dell’alcolismo, le sue giornate si susseguono all’interno del suo appartamento claustrofobico. Unico contatto con il mondo esterno sono numerosi schermi televisivi sui quali vediamo apparire all’inizio la figura di Elvis, scomposta, accompagnata da un audio distorto: un’altra leggenda della musica che, nonostante il suo talento, visse la parte finale della sua vita  in depressione, vittima e prigioniero della sua stessa fama, circondato da schermi, in preda a paranoie e dipendente da farmaci.

Newton, nella versione italiana interpretato dal frontman degli Afterhours Manuel Agnelli, nella sua solitudine inizia ad essere circondato da figure oniriche, come una triplice Mary Lou che gli ruota attorno e una misteriosa ragazza di nome Marley, interpretata da un’ispiratissima Casadilego che sul palco canta con una voce cristallina e commovente, che lo accompagnerà come fosse la voce della sua coscienza fino alla fine di questo viaggio.
La sua storia si intreccia poi anche con altri personaggi che gli gravitano attorno: Elly, interpretata da Michela Lucenti, bravissima nel portare in scena complicate coreografie che ricordano quelle di Pina Bausch, una donna che lavora per Newton e che seppur sposata (infelicemente) si innamora di lui tanto da sentirsi posseduta dallo spirito di Mary Lou e diventarne ossessionata. Un personaggio perennemente affamato d’amore che lo cerca costantemente negli uomini sbagliati fino ad arrivare a legarsi a Valentine, che la schiaccia emotivamente rendendola “piccolissima” sul palco con atteggiamenti violenti.

Il personaggio di Valentine, interpretato da Dario Battaglia, è un killer spietato che ci viene presentato sulle note di The man who sold the World. È un villain che, almeno nella versione italiana, sembra quasi uscito da un fumetto, con fortissimi rimandi al Joker. In una scena, visivamente iconica, dopo aver assassinato una delle sue vittime, prende una macchina fotografica e, rivolto verso il pubblico, “scatta” una foto, esattamente come fa Joker nella copertina di The killing Joke di Alan Moore.
Ma potrebbe anche essere uscito direttamente dalla testa di Neil Gaiman, saltato fuori da una delle sue opere più visionarie.
Neil Gaiman stesso, in diverse interviste, disse di essersi fortemente ispirato alla figura di Bowie per alcuni dei suoi personaggi, in particolare per il suo Lucifer, che lui immaginava «Come una via di mezzo tra un angelo e un tossico. E il giovane Bowie era molto vicino a questa idea.» Disse anche che lo immaginava come un possibile interprete per Joker.
Mi chiedo se tutti questi riferimenti siano voluti, ma si ha comunque l’impressione di un cerchio che si chiude perfettamente.

Sulle note di It’s no game compare una donna dai lunghissimi capelli che indossa un kimono e che canta parte della canzone in giapponese. Un rimando al Teatro Kabuki, di cui Bowie era fortemente appassionato. Il coreografo e ballerino Lindsay Kemp lo aveva introdotto negli anni ’70 a questo mondo, e la figura dell’onnagata (attore che interpreta ruoli femminili) era stata un’importante fonte di ispirazione per il cantante nei primi anni della sua carriera.

Nello spettacolo quindi si mischiano diverse arti in un processo alchemico che è stato sempre presente anche nella vita di David Bowie, non solo un cantante ma un artista a tutto tondo.

Le storie di questi personaggi avanzano collegate dal filo rosso delle canzoni, da Lazarus fino ad arrivare nell’epilogo della storia a Heroes, in modo scomposto, intrecciandosi senza mai incontrarsi davvero.
Uno spettacolo frammentato, esistenziale, claustrofobico. Non perfetto in tutto e per tutto, ma la forza di Bowie è tutta lì dentro, si sente ancora anche se lui non è più tra noi. Come Newton ha un’anima immortale e come Lazzaro viene fatto “rivivere” ancora e ancora attraverso la sua arte.
Tutti i personaggi, i demoni e le riflessioni di Bowie esplodono sul palco e continuano ad esistere e lasciare una scia anche dopo il suo passaggio, come la coda di una cometa luminosa.

Non si può definire Lazarus un musical, perché è forse più un concerto che racconta una storia. O meglio, una pièce di teatro musicale, come lo stesso Valter Malosti lo ha voluto definire durante un’intervista.
A proposito di questo, Malosti racconta:
«Per Newton non volevo un attore che sapesse cantare, ma un cantante che fosse anche in grado di recitare. Per questo motivo ho scelto Manuel Agnelli per il ruolo. La musica lo attraversa, passa emotivamente al pubblico e non viene bloccata. E poi la sua tessitura vocale è molto simile a quella di David Bowie.»
E in effetti se durante lo spettacolo, per un attimo, lo spettatore chiude gli occhi e si concentra sul timbro vocale si accorgerà subito di quanto somigli alla voce di Bowie. Quasi come poterlo ascoltare ancora una volta sul palco. Un’emozione fortissima per chi, fan di Bowie, non ha mai avuto l’occasione di sentirlo dal vivo.
Ma dico “quasi” perché Agnelli ci tiene a precisare:  
«Non cerco di imitare Bowie. Sarebbe impossibile farlo, lui era inimitabile. Bowie ha scritto quest’opera mentre stava morendo e sapeva perfettamente che stava per morire. In questa condizione canti in un modo incredibile, che non è possibile replicare in nessun modo. Imitarlo sarebbe stato irrispettoso, un’imitazione provinciale, da cover band, e non era questo quello che cercavamo.»
Spiega inoltre che, sebbene il personaggio di Newton sia indissolubilmente legato a David Bowie, tanto da sovrapporsi simbolicamente ad esso, Bowie scrisse Lazarus sapendo perfettamente che non sarebbe stato lui ad interpretare Newton sul palco, lasciando che altri raccogliessero la sua eredità dopo la sua morte. Del resto, nella versione originale il titolo è scritto come “Lazarus”, come a far capire che questo personaggio parla a tutti noi, ai diversi, agli emarginati, agli artisti, a chi non si sente parte di questo Mondo.

Beatrice Taranto

Di David Bowie e Enda Walsh
Ispirato a “The man who fell to Earth” di Walter Tevis
Regia di Valter Malosti

Personaggi e Interpreti
Newton Manuel Agnelli
Marley Casadilego
Elly Michela Lucenti
Valentine Dario Battaglia
Micheal Attilio Caffarena
Zach Maurizio Camilli
Coro Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino
Maemi/Donna giapponese Camilla Nigro
Ben Isacco Venturini

In Video
Mary Lou Roberta Lanave

Coreografie Michela Lucenti

Band
Sax Laura Agnusdei
Batteria Jacopo Battaglia
Tromba e filicorno Ramon Moro
Tastiere e synth Amedeo Perri
Basso Giacomo Rossetti
Chitarra Stefano Pilia
Chitarra Paolo Spaccamonti

Un commento su “Lazarus – David Bowie, Enda Walsh, tradotto e diretto da Valter Malosti”

  1. Lucida, chiara, lineare ma anche appassionata ed emozionata recensione che riesce a fare immergere chi legge, nel mondo onirico e visionario di Bowie attraverso il suo ultimo lavoro. Come un lascito testamentario, Bowie ci dona le sue ultime sensazioni ed emozioni terrene e terrestri, scritte da lui che veniva sicuramente dalle stelle…
    Bella, profonda e sentita recensione!

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