IO MOSTRO, TU MOSTRI – COLLETTIVO C.R.A.C.

Lo spettacolo inizia con tre performers sul palco, il volto nascosto da una scatola che funge da maschera. Non hanno un nome ma vengono identificati come giocatore uno, due e tre; il pubblico ricopre il ruolo del quarto giocatore, l’osservatore. 

La musica comincia: non è una dolce melodia ma è un rimando a qualche cosa di artificioso e di non ben definito, i corpi iniziano a “svegliarsi”, si animano lentamente con dei gesti che appaiono calibrati e meccanici. 

La scenografia è piena di scatole, formano un’allegoria. Essa può significare diverse cose in base a come la si guarda: una fabbrica, un gioco, un magazzino oppure uno scantinato. 

L’osservatore è libero di scegliere e di seguire il cambiamento portato dai protagonisti, che di fatto si muovono come macchine, come se fossero su diversi assi di movimento. Spostando le scatole ci fanno comprendere che il luogo non è unico e si trasforma in posti differenti. Tra i tanti significati che possono emergere, è evidente l’occhio visionario munchiano: l’alienazione di un corpo dedito al lavoro, la perdita dello sguardo compensato mediante la programmazione del movimento e  la mancanza di moto normalmente libero e fluido.

Man mano il sottofondo musicale cambia, si velocizza, e l’uomo-macchina non sostiene più quei ritmi: le azioni armonizzate diventano scontri, confusione, distruzione e addirittura un loop di un solo movimento, come una sorta di blocco sistematico. L’organismo biforme inizia una lotta fra i comportamenti “imposti” e la sua stessa libertà, cerca di lavorare ma allo stesso tempo devia dalla struttura lineare, si sdraia come se la sua carica fosse esaurita per poi alzarsi e riprendere il proprio conflitto. Il pubblico può solo accettare e comprendere ciò che avviene in scena.

Se finora abbiamo osservato una personificazione dell’alienazione con una disumanizzazione attraverso le scatole, nel momento in cui queste vengono tolte ci ritroviamo davanti a dei volti umani. Li osserviamo e l’immedesimazione diviene più forte, potremmo essere noi , avendo il ruolo di quarto giocatore. 

Lo sport, la disciplina sono le tematiche di quella che possiamo considerare l’ultima parte: vengono mostrati esercizi fisici, alternati a dei salti in un contesto quasi ritualistico; se prima non potevamo osservare gli occhi dei performer adesso lo sguardo ci mostra e diventa l’elemento principale per comprendere ciò che avviene.

Il collettivo C.R.A.C. ha lavorato su quella che è la maschera pirandelliana: se per Pirandello essa rappresentava la frantumazione dell’io in identità molteplici ed un adattamento dell’individuo sulla base del contesto e della situazione sociale in cui si trova; la scatola ricopre diversi valori, non per forza negativi, ma ci dà modo in ogni caso di riflettere su un mondo che è cambiato e che richiede nuovi sguardi.

Il pubblico, quarto giocatore, non può ricoprire un ruolo passivo, la riflessione è centrale e indiscutibilmente si esce a fine esibizione con delle domande a cui dobbiamo trovare risposta agendo su un mondo che sta crollando.

Chiara Jadore Cacciari

Un progetto di: Collettivo C.R.A.C.
Interpreti: Mara Roberto, Andrea Bianca Maragliano, Silvia Brazzale
Composizione e musiche originali: Yvan Oriani

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