MINCHIA – SALVATORE CANNOVA

Le nostre radici sono dove germogliamo o dove facciamo germogliare?

“Stiamo scomodi” recita una delle frasi scritte a pennarello sulla parete costellata di pensieri e parole di Bellarte. Bellarte è un ex fabbrica di mutande e una ‘fabbrica’ presente d’arte, un luogo dal cuore caldo e colorato, incastonato fra alti palazzi moderni della periferia torinese. “Stiamo scomodi” salta all’occhio mentre, comodamente seduti, ci si gusta un bicchiere di dolcetto circondati da piante, libri, locandine affisse, risate, suoni di bottiglie stappate e brani jazz.

Queste parole continuano a risuonare quand’ecco che per Minchia prima ancora del suo protagonista sono i suoi oggetti che lo presentano; quei particolari oggetti, e non altri, che delineano il mondo dentro cui si muove Antonio Cristal Morte Espresso Tonì, un nome emblematico delle infinite peripezie che attraverserà fin dalla più tenera età.

Se la frase della parete esortava a stare scomodi, Antonio cerca invece perennemente una stabilità e un equilibrio che vengono puntualmente rotti. Comincia a frammentarsi fin dal suo primo trasloco dalla Sicilia, terra di radici familiari racchiuse nel profumo di sugo fatto in casa dal nonno e negli spensierati giochi d’acqua con gli amici di sempre.
Antonio deve partire, cambiare città, cambiare lingua, cambiare vita. Sono gli oggetti intorno a lui, disposti in un primo momento in maniera ordinata e circolare, che una volta presi in mano o indossati fanno riaffiorare i ricordi e danno vita a un multiforme e variopinto viaggio in giro per l’Europa.
Cinquanta minuti bastano per percorrere centinaia di chilometri dove il protagonista sperimenta i lavori più svariati; con alcuni tocca il fondo, con altri fa incontri indelebili.

E sono sempre quegli stessi oggetti, segni tangibili di qualcosa o qualcuno che forse solo fisicamente non c’è più, ad ancorarlo e a donargli ancora una volta interezza: una scatola di fiammiferi (da usare solo in determinate circostanze), un fiore peluche con i colori preferiti di una persona preferita, una piccola sveglia, tre palline da giocoleria ecc.
L’attore in scena, Antonio D’Angelo, esplora diversi linguaggi che spaziano dalla parola al movimento coreografato fino alla giocoleria circense, quest’ultimi particolarmente riusciti.

Le tappe del percorso-viaggio sono ricche di tenerezza, nostalgia e intimità. Antonio si mette a nudo, si apre, condivide momenti di gioia e di dolore e quindi di vita. Cerca un varco di comprensione umana e coinvolge attivamente il pubblico, con un atteggiamento spesso giocoso. Gioca con sé, col suo corpo e lo sfrutta (nel vero senso della parola: ne ricava frutti) come veicolo espressivo. Attraverso la reiterazione di precisi movimenti esprime e rincorre emozioni, stati d’animo, esperienze vissute. Il protagonista infatti tenta in tutti i modi di aggrapparsi a parti di sé disseminate dappertutto. Ma così come i suoi oggetti finiscono per sparpagliarsi caoticamente ovunque anche Antonio si trova a vagare non solo nel mondo fuori ma anche in quello dentro di lui e dentro alle persone che, per un tratto più o meno breve, lo hanno accompagnato lungo il suo vorticoso, inarrestabile e travolgente viaggio di vita.
E così come muta lingua, corpo e pensiero mutano anche le sue radici, si spezzano, si mescolano, rinascono in luoghi inaspettati e si rigenerano costantemente.

Bianca Ferretti

Scritto e diretto da Salvatore Cannova
Interpretazione e collaborazione artistica Antonio D’Angelo
Elementi scenici e costumi Salvatore Cannova 
Musiche René Aubry
Luci Gabriele Circo
Assistente alla regia Alessandro Accardi
Produzione Tedacà e Teatro Ditirammu 

In collaborazione con Compagnia Fenice Teatri
Con il sostegno di MIC – Ministero della CulturaMatucana 100 – Centro Cultural (Cile), MYES Catania e con il patrocinio del Goethe Institut Palermo

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