QUEER PICTURE SHOW – IRENE DIONISIO

O Il moderno Orlando

La sala dell’Off Topic, piccola ma accogliente, ha al suo interno un’atmosfera fumosa. Sulle poltrone sono poggiate delle palette verdi e il pubblico si chiede a cosa mai potranno servire durante lo spettacolo. Si parla tra sconosciuti, ci si confronta.

Si spengono le luci in sala e al centro della scena appare un unico attore (il premio Ubu Giovanni Anzaldo) che ci viene presentato come Orlando da una semplice scritta alle sue spalle. E come l’Orlando di Virginia Woolf attraverserà le epoche, i costrutti sociali, la morale e la “decenza”, accompagnando con il suo monologo anche lo spettatore.

Nella sua prima apparizione il protagonista indossa una gorgiera, ad indicare che il suo personale racconto ha inizio nell’epoca elisabettiana. La sua riflessione su quel periodo è molto interessante: durante l’epoca elisabettiana, infatti, alle donne era proibito calcare le scene. Quindi i ruoli femminili venivano sempre interpretati da uomini, spesso fanciulli molto giovani, che dovevano sembrare più femminili possibili. Come trucco di scena si utilizzava una polvere a base di piombo per rendere il viso pallido e attraente per i canoni estetici dell’epoca. Un artificio tossico che veniva utilizzato dalla stessa Elisabetta I. Se anche lei lo utilizzava per apparire più attraente e femminile c’era davvero differenza tra la regina e gli attori?

Qui nasce la prima provocazione dello spettacolo: cosa è femminile e cosa no? Come cambiano i canoni di bellezza con il passare delle epoche? E soprattutto, che cosa è socialmente accettabile e cosa no? Del resto, come dice una famosa Drag Queen “Siamo nati nudi. Il resto è Drag.”

In maniera dissacrante vengono mostrate tutte le contraddizioni della società borghese. In una scena dello spettacolo il protagonista parla alla propria famiglia che ci tiene ad insegnare le regole del galateo ai propri figli. È importante essere sempre educati e dignitosi, comportarsi bene, pulirsi ed utilizzare le posate in un certo modo. Ma il coltello? È conficcato nel cuore del padre come a voler dire, forse, che le pulsioni violente, selvagge vanno dissimulate sotto una coltre di dignità.

Lo spettacolo è formalmente un monologo, l’unica cosa con cui Orlando dialoga durante lo spettacolo è una voce femminile meccanica e robotica che ricorda quasi il computer di bordo HAL di 2001: Odissea nello spazio.

La voce fuori campo è al di sopra di ogni evento narrato, risulta a tratti giudicante ed invita a mantenere il decoro, ad “evitare gli eccessi”. Eppure la voce ci esorta anche a prendere parte attiva al dibattito che viene portato in scena, durante lo spettacolo ci chiede di votare. È qui che entrano in gioco le palette verdi che tanto avevano incuriosito il pubblico all’inizio che diventano a tutti gli effetti oggetti di scena, seppur fuori scena. Con sarcasmo la voce ci dice che, almeno questa volta, i nostri voti verranno ascoltati e presi in considerazione ma il prezzo da pagare per questo è che nessun voto è segreto. Durante le votazioni infatti ogni componente del pubblico può guardarsi attorno e rendersi conto di quali siano le opinioni di chi siede in sala.

Chi o che cosa rappresenta questa voce esterna? Una qualche divinità superiore con cui il protagonista si scontra e si confronta? La morale? Oppure è la Storia stessa che cerca di raccontarsi? Una narrazione di cui il protagonista, a nome di tutta la comunità LGBTQ+, sembra volersi riappropriare per poter raccontare la Storia dal suo punto di vista.

I costumi vengono cambiati in fretta, si trasformano con il passare del tempo e presentano caratteristiche di ogni singolo periodo raccontato. Durante ogni cambio d’abito, quasi come se fosse uno spettacolo di magia, la nostra attenzione viene catturata da altri elementi, dalle scene dei film proiettate davanti ai nostri occhi o dalla voce robotica che dialoga direttamente con il pubblico.

La scenografia è volutamente spoglia, priva di oggetti di scena se non in qualche raro caso. Quello che la compone sono invece proiezioni di film, per citarne solo alcuni dei tanti Priscilla la regina del deserto e l’iconico The Rocky Horror Picture Show a cui si ispira lo stesso titolo dello spettacolo.

 A dividere il pubblico dall’attore, che spesso in un gioco di luci ed ombre diventa lui stesso elemento scenografico, dei veli che danno l’idea di spiare in modo voyeuristico e morboso la vita e l’intimità del protagonista, mostrate in modo volutamente crudo e provocatorio.

La narrazione è lineare, segue cronologicamente gli avvenimenti più importanti della storia della comunità LGBTQ+, dai balli in drag del 1800 ai moti di Stonewall del 1969, per arrivare fino agli anni ’80 con l’avvento dell’HIV tristemente ed erroneamente chiamata ai tempi “peste gay” o “gay cancer”, fino ad arrivare alla contemporaneità.

Orlando cambia continuamente forma ma sempre per rimanere fedele a se stesso, in un percorso di sperata liberazione. Anche la recitazione e i movimenti scenici, all’inizio contenuti, esplodono poi sul finale in una danza estatica, libera finalmente dal pregiudizio.

Beatrice Taranto

Regia Irene Dionisio

Testo Irene Dionisio, Francesca Puopolo

Con Giovanni Anzaldo

Musiche SweetLife Factory

Videoscenografie Aurora Meccanica

Light Design Fabio Bonfanti

Costumi Roberta Vacchetta

Un commento su “QUEER PICTURE SHOW – IRENE DIONISIO”

  1. Questa recensione è molto nitida, puntuale. Leggerla è come essere parte del pubblico. Un testo difficile da portare sul palcoscenico tra l’altro. Complimenti Beatrice

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