L’allungamento del naso in Pinocchio è solitamente raccontato in termini morali, legato alla riprovazione verso il proferire bugie; ma sollevandosi da questo orizzonte, si potrebbe anche dire: Pinocchio è colui che, raccontando fole o fantasie, subisce una trasformazione fisica: e non è, questa, una delle possibili condizioni o definizioni dell’attore?
Ecco dunque che gli avvenimenti dei tre capitoli del Gran Teatro dei Burattini nel Pinocchio di Collodi detengono il ruolo essenziale di rivelatore della natura burattinesca di Pinocchio: e le grida con cui Arlecchino e gli altri burattini interrompono la recita nel momento in cui lo scorgono tra il pubblico segnano il momento del riconoscimento, dell’appartenenza di Pinocchio a quel mondo, in una sorta di misterioso ritorno a casa. E in quel Teatro, messo alla prova da Mangiafoco, l’enorme e pauroso burattinaio, che minaccia di bruciare Arlecchino in sua vece dopo averlo graziato dalla medesima fine, Pinocchio si propone come eroe tragico, come legno da ardere, adeguandosi perfettamente e naturalmente, per dirlo con Giorgio Manganelli dal suo Pinocchio: un libro parallelo, al “mondo, le leggi, il linguaggio del Gran Teatro”: è il momento, sempre Manganelli dixit, in cui “Egli ha incontrato se stesso, e si è riconosciuto. E si è salvato.”
Non dissimilmente accade agli attori dell’ultimo spettacolo di Roberto Latini, Mangiafoco: scesi da uno scivolo all’interno di un’arena vuota se non di un microfono, raccontano di fronte a personaggi disneyani in monologhi dalla struttura ad audizione la loro vocazione, il loro riconoscimento: e alle grida di Arlecchino e compagni del racconto collodiano si sostituiscono così i ricordi, i primi passi, i fallimenti e gli incontri decisivi (Leo De Berardinis, Perla Peragallo ma anche sconosciuti laboratori di provincia) che hanno acceso una scintilla, un fuoco dentro al quale hanno poi cominciato miracolosamente a bruciare senza esserne consumati. E’ un lavoro archeologico più che meramente biografico: scavando, affidandosi a reperti e resti di antiche memorie (per la maggior parte di loro fanciullesche) si svela per ciascuno quell’incontro con se stessi che ha portato al proprio riconoscimento, alla salvezza – quella salvezza perigliosa e fragile che concedono le assi di un palcoscenico, pronta a dissolversi ad ogni chiusura di sipario, a venire faticosamente ricercata ad ogni prova.
Latini torna così, dopo la riflessione metateatrale de Il teatro comico di Goldoni dell’anno precedente, a concentrarsi nuovamente sul lavoro dell’attore, facendo ancora un passo indietro o, meglio, in profondità: non più attori che recitano attori in scena quanto attori che raccontano direttamente di sé; se ne approccia orchestrando uno spettacolo dal carattere magico, quasi lunare, ma anche nitido, pulito: e se a raccontare di sé si rischia sempre di cadere nel ridicolo, come troppe volte ci si dimentica, la struttura ad audizione consente agli attori una scelta accurata di cosa proferire e anche di un pezzo teatrale da recitare di fronte a questi misteriosi essere fumettistici (Latini nel denso libretto che accompagna lo spettacolo, arricchito dalle riflessioni di ciascun attore, li definisce come “lo specchio sublime, come livello più alto di bellezza”): e saranno Sofocle, Ibsen, Pirandello, Buchner, Leopardi in una commovente versione cantata da Stella Piccioni del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e poi Pasolini e Shakespeare ad alimentare quel fuoco di cui si nutre ogni attore.
Significativa la variazione alla citazione pasoliniana apportata: al dialogo tra Totò-Jago e Ninetto Davoli-Otello, la “straziante, meravigliosa bellezza del creato” nel vedere le nuvole diventa “del teatro” come se questi fosse in grado di contenere (o di creare) il primo e non viceversa, mentre il monologo shakespeariano è tratto dall’Enrico V, dal prologo in cui si chiede agli spettatori di immaginare al posto del palcoscenico le “vaste vallate di Francia”, e di fornire ai re presenti in Agincourt tutto il materiale necessario: scelte significative, si diceva, perché risuona quella parola, immaginazione, fulcro della concezione del teatro di Latini.
Lo ripeterà lui stesso nel suo racconto: citando il primo contatto con il teatro e con la scuola di Perla Peragallo che l’ammoniva come lì, alla sua scuola, non ci fosse nulla da guardare, questo il suo primo insegnamento mai dimenticato. Nulla da guardare vuol dire che non bisogna produrre immagini bensì creare immaginazione, “tentare immaginazione, tentarla, sì, come tentativo e come tentazione” come dice lui stesso nell’intervista presente nel libretto di scena.
E ne è prova una delle scene più poetiche dello spettacolo: quando gli attori rientrano portando seco un blocco di ghiaccio ornato di un rosso naso da Pinocchio; lo depongono, se ne distanziano; Latini li dispone in una forma, forse un pupazzo, forse qualcosa di ancora più primitivo; poi il fuoco, ad illuminarli, a inevitabilmente farli sciogliere e quindi trasformarli davanti ai nostri occhi. Quei blocchi di ghiaccio sono forse quella cristallizzazione inevitabile che ciascuno fa di sé, che ogni attore fa anche del proprio lavoro sul personaggio, dalle liquidità delle prove fino alla solidificazione di una forma per andare in scena, ma che poi, posti sul palco, si accende, suda, lacrima, vive un’altra natura che solo quel fuoco sa donarle.
E’ dunque teatro sulla vocazione dell’attore Mangiafoco, che per quanto soffra dell’inevitabile ripetitività dello schema del racconto di ciascuno degli attori, lascia negli occhi più di quanto si è visto e nella mente scintille di immaginazione.
Gabriele Cardini
Teatro Studio Melato
dal 28 novembre al 22 dicembre 2019
Mangiafoco
drammaturgia e regia Roberto
Latini
luci Max Mugnai
musiche e suono Gianluca Misiti
elementi scenici Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
con Elena Bucci, Roberto Latini, Marco Manchisi, Savino
Paparella, Stella Piccioni, Marco Sgrosso, Marco Vergani
coproduzione Piccolo Teatro di
Milano – Teatro d’Europa, Compagnia
Lombardi-Tiezzi, Fondazione Matera
Basilicata 2019, Associazione
Basilicata 1799 / Città delle 100 scale Festival
in collaborazione con Consorzio
Teatri Uniti di Basilicata