Il musical Evita al Teatro Regio

Il celeberrimo musical firmato da Andrew Lloyd Weber e Tim Rice, la coppia d’oro di successi come Jesus Christ Super Star e The Phantom of the Opera, è al Regio dal 4 al 9 maggio 2018. Uniche date italiane del tour internazionale per questa produzione di Bill Kenwright in accordo con The Really Useful Group e prima esecuzione assoluta della versione per orchestra sinfonica: Sir Lloyd Webber in persona ha curato la revisione e orchestrazione della partitura, con David Cullen.

La presenza di un musical nella stagione Opera & Balletto ha fatto storcere il naso ai melomani tradizionalisti e in difesa della scelta qualcuno ha addotto la necessità di avvicinare all’opera gli under 30, presenze rare nei teatri lirici. La sera della prima erano presenti alcuni giovani, ma c’erano soprattutto anziani abbonati e persone di mezz’età che “avevano visto il film” (di Alan Parker, 1996, con Madonna e Antonio Banderas). La scelta del direttore artistico Gaston Fournier-Facio mira ad abbattere confini rigidi tra i generi, tema sempre dibattuto tra i musicologi, e ci offre la possibilità di godere di un brillante esempio di teatro musicale “leggero”.

Nelle ambizioni di Lloyd Webber c’era quella di avvicinare il suo musical alla tradizione operistica, in particolare a Giacomo Puccini: Evita è un sung-through musical in cui i dialoghi parlati sono sostituiti da recitativi e tutti i numeri musicali sono organicamente funzionali allo svolgersi dell’azione drammatica.

La vicenda segue la parabola esistenziale di Marìa Eva Duarte, adolescente ambiziosa e spregiudicata, che sposa il colonnello Juan Domingo Peròn e diventa Evita, influente first lady. Lloyd Webber e Rice furono accusati di aver reso glamour la dittatura, nonostante abbiano tracciato con parole e musica un ritratto ricco di contrasti. Il personaggio del Che (liberamente ispirato, ma non storicamente coincidente, con un altro argentino particolarmente affascinante) è una sorta di alter-ego di Evita ma anche voce di un popolo non compatto nell’osannare la Santa Peronista. Il Che pone le domande direttamente al pubblico, fa sorgere dubbi e ironizza sugli aspetti più smaccatamente celebrativi.

La regia di Bob Tomson e Bill Kenwright, insieme con la coreografia di Bill Deamer, mette in risalto gli aspetti più glamour e insieme contraddittori della vicenda. La visione che ci restituisce l’allestimento è quella di un panorama politico che funziona attraverso i meccanismi dello star system. Madalena Alberto rifiuta di sentimentalizzare l’eroina da lei interpretata e ne esalta invece le qualità di performer. La voce della Alberto si mostra sempre adatta a interpretare Evita mentre diventa sempre più bionda e più indispensabile al marito e da soubrette si trasforma in guida spirituale dell’Argentina. Ironica ed energica quando chiede di “Christian-Dior-izzarla”, soffice e suadente nella celebre Don’t cry for me Argentina. I due atti sono idealmente imperniati proprio su quest’ultimo song, che riassume la vicenda umana della protagonista e costituisce il più importante Leitmotiv, tessendo una trama di rimandi drammaturgicamente significativi e conferendo all’opera una eccezionale unità formale ed espressiva. Il Che è interpretato da Gian Marco Schiaretti, la sua voce è capace di esprimere una variegata gamma di tonalità e porta con sé un mix di passione e disincanto. Il Coro di voci bianche del Teatro Regio e il Coro del Conservatorio “G.Verdi” ben si amalgamano al cast di protagonisti. L’Orchestra del Teatro Regio diretta da David Steadman presenta, integrata all’organico sinfonico tradizionale, una sezione di strumenti appartenenti alla musica pop che rendono con forza espressiva stili diversi, tra cui tango argentino, ritmi sudamericani e rock anni Settanta: l’insieme che ne deriva è godibilissimo.

La prima di Evita è stata una serata in cui il piacere dei sensi e (la possibilità di) riflessione critica si sono incontrati lasciandoci l’amara consapevolezza che il populismo risuona fragorosamente nelle politiche contemporanee.

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