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FDTC-23 DICKINSON’S WALK

“Muovo passi meccanici su una strada senza fili” questo è il leitmotiv che accompagna la passeggiata di chi assiste a The Dickinson’ s walk. Un leitmotiv scelto sia per dare un po’ di respiro alla poesia ma anche perché è la perfetta descrizione della performance. Sulla carta lo spettacolo appare semplice, non serve altro che un’ attrice, un paio di auricolari e una leggera propensione alla passeggiata. Ma queste cose per fortuna non restano su carta e la semplice promenade alla quale lo spettatore attivo si presta perde subito la sua fisicità per diventare una passeggiata interiore. Sono certa che a qualcuno sia capitato di perdersi per le strade della sua città e dei suoi pensieri lasciandosi guidare dalla musica nelle orecchie, ma in questo caso non è la musica a muovere i nostri passi bensì la poesia. L’ accesso al nostro io interiore viene aperto dalla voce di Roberta Bosetti che ti entra letteralmente in testa con il semplice escamotage di un paio di cuffiette. La seguiamo sulle strade di una città che pensavamo di conoscere ma che forse, per fretta, disattenzione o solo per abitudine, non abbiamo mai visto davvero. Rassicurante come la voce della mamma, ci guida nel paradosso del fuori attraverso le poesie di Emily Dickinson che descrivono un mondo intero al quale lei, rinchiusa nella sua stanza, ha avuto accesso solo con l’immaginazione.
È una solitudine condivisa che parte dal soggettivo per arrivare all’universale, ogni spettatore vive la scenografia della città cucendoĺa sulle proprie misure, cogliendo sulla propria pelle gli appuntamenti musicali accidentali, il suono di un clacson o la risata in un bar, condividendo la sua singola esperienza con altre venti persone che, stimolate dalle poesie, creano il loro spettacolo generandone un altro per chi lo incontra inconsapevolmente anche solo passando per strada. Continuando a camminare attraverso un paesaggio che ha perso il nome proprio per assumere a pieno titolo il nome comune e condiviso di Città, la compagnia Cuocolo/Bosetti apre le porte di casa e ci permette di entrare in una stanza che potrebbe essere di ognuno di noi, anche della Dickinson, perché è l’esplicitazione fisica di quel salottino privato che risiede in ognuno, che ha la sicurezza e l’accoglienza di una casa che però non ha pareti, ha solo una finestra dalla quale immaginare il mondo.