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“SIATE CORAGGIOSI”

Quando si parla di Angelo Tronca, non si fa certo un nome sconosciuto al panorama teatrale torinese. Tra i tanti artisti proveniente da tutta Italia che in questi giorni hanno letteralmente invaso la città con il Torino Fringe Festival, arrivato alla quinta edizione, Angelo ha portato la bandiera locale andando in scena con il suo Don Chisciotte Amore Mio insieme al collega Francesco Gargiulio, volto altrettanto noto che interpreta il fedele compagno Sancho, Astrid Casali nel ruolo di Roberta, Beniamino Borciani per musica ed effetti sonori, con la regia di Alberto Oliva. Lo spazio è quello del “De Amicis art bistrot” in Corso Casale, che a un primo impatto lascia un po’ spiazzati. Scendiamo in quella che sembra una cantina e ci accomodiamo su sedie sistemate in file a forma di “L” che descrivono un luogo piuttosto stretto, tanto che ci si chiede: ma riusciranno a muoversi qui dentro? Ebbene, ciò che ci fa capire che ci troviamo di fronte ad attori molto bravi è anche la capacità di prendere uno spazio così piccolo e di renderlo infinito: Don Chisciotte e Sancho Panza viaggiano in groppa ai loro cavalli per praterie sconfinate, arrivano fino a una locanda dove trovano riposo, per poi imbarcarsi su una nave e solcare mari sconosciuti. E il pubblico riesce a vedere e a percepire ogni singolo chilometro percorso dai nostri epici eroi, che pur si muovono in pochi metri di stanza.

Tutto ha inizio con dei ringraziamenti, come ogni poema epico che si rispetti. Viene ringraziato Dio per l’ispirazione ricevuta. Poi il teatro, inteso come pavimento senza il quale si sprofonderebbe giù, e come luci che illuminano così bene i teatranti permettendo agli spettatori di assistere allo spettacolo. Infine si ringrazia il pubblico tramite una giusta quanto semplice osservazione: sarebbe potuto starsene a casa o fare altro, e invece è venuto. Questi i presupposti che aprono un’ora di risate e di meditazione, di battute quasi demenziali che si muovo in parallelo a concetti estremamente seri. Il tema del coraggio, come ci dice l’autore, domina tutto il testo. Ma si tratta di un coraggio timido, che agisce in sordina. I due protagonisti, per quanto a volte molto plateali, non sono eroi gradassi e pieni di sé che pensano di essere sempre nel giusto. Li ascoltiamo parlare delle loro difficoltà e delle loro paure e non ci sembra quasi che siano veri eroi. Del resto, come dice lo stesso autore, Don Chisciotte è un eroe per necessità, ma non per questo è meno eroe dei più classici degli eroi.

“Siate coraggiosi”, questo è l’augurio finale che l’attore riserva al suo pubblico.

Uno dei primi momenti a cui assistiamo è un divertentissimo elogio di Sancho alla caffettiera. Inginocchiato davanti a questa, posta sopra a un tavolino come fosse una reliquia, l’attore viene travolto da un sentimento di profonda gratitudine per quell’oggetto di metallo che sbuffando ogni mattina permette di ricevere quella scossa di energia necessaria per cominciare la giornata. Il pubblico capisce subito, e non potrebbe essere più d’accordo con l’attore.

Come narra la storia, i due cominciano a viaggiare, diventando cavalieri erranti della Mancha. Quando scendono dai loro destrieri, il punto di vista si sposta più “in basso”. Sistemati nelle loro stalle, legati e con poco o niente da mangiare, i due animali si confrontano. Il cavallo di Don Chisciotte, Ronzinante, chiede all’asino di Sancho Panza se secondo lui i due si stancheranno, prima o poi. “Magari muoiono”, si augura a un certo punto. L’asino è esasperato dalle lamentele di Ronzinante. Innanzi tutto, obbietta, come mai potranno stancarsi se se ne stanno seduti in groppa a loro due, e loro due continuano a portarli in giro? Poi quasi si offende al desiderio espresso dal cavallo, che augura la morte del suo padrone. Lo odia, sì, ma non vuole che si parli male di lui: l’asino prova sentimenti contrastanti. In una scena successiva, i due animali sono legati a un palo o a una staccionata probabilmente, noi vediamo solo le due corde intorno ai colli che si tendono, tenute saldamente da due spettatori. Questa volta Ronzinante chiede all’amico asino cosa pensa del futuro. Gli racconta un sogno fatto recentemente, e nel sogno l’asino, stremato per il caldo e per l’assenza di cibo, cade a terra morto mentre dei corvi staccano pezzetti di carne via dalla sua groppa. A questo punto l’asino perde la pazienza, e si sfoga in un esilarante considerazione su questi uccelli: in un mondo dove sono tutti vegetariani, vegani, celiaci e intolleranti, questi corvi non potevano mangiare semi come fanno tutti gli altri? Dovevano proprio accanirsi sulla sua carcassa?

Particolarmente divertente è la scena dove l’autore dichiara di non aver scritto più niente da quel momento in avanti, finale compreso. Il collega rimane giustamente spiazzato, trovandosi senza più niente da dire al pubblico, e chiede furioso come mai non ci sia un finale. Così l’autore ci confessa di essere stanco, di essersi annoiato mentre scriveva e di aver semplicemente smesso. Giustamente si è fatta una certa ora e ci dice di avere fame e che vorrebbe andare a mangiarsi una pizza, e qui di nuovo il pubblico non potrebbe sentirsi più vicino all’attore, alla faccia dell’immedesimazione. Ma questo non può assolutamente essere: lo spettacolo deve andare avanti. Le idee che escono fuori sono molte. Perché non concludere andando sul simbolico, si chiede Angelo, come per esempio riempire di mollette la faccia del collega. Francesco sembra entusiasta, propone addirittura di giocare la carta del teatro d’avanguardia. “Mi spoglio!” esclama, come se fosse l’idea più originale di tutti i tempi. In questo modo i due aprono un siparietto sul fare teatro oggi, non lasciandosi sfuggire l’occasione per lanciare un’acuta e sottile critica che, personalmente, mi ha divertita molto.

Così, mentre uno corre in un angolo a inventarsi qualcosa all’ultimo minuto, l’altro si esibisce in una serie di barzellette sul tema “Dottore, dottore!” per intrattenere il pubblico che attende. Alla fine l’autore propone il suo finale: i protagonisti muoiono. Non troppo originale, secondo il suo collega.

Queste e tante altre sono le trovate di Angelo Tronca che possiamo gustare in questa rappresentazione. Ultima in ordine di tempo, una chicca che ha lasciato il pubblico incredulo e ancora una volta molto divertito. Sancho e Don Chisciotte si trovano in mezzo a un temporale, di notte, stretti stretti sotto un ombrello. Nella stanza però, comincia a piovere sul serio: fissata in cima all’ombrello c’è una bottiglia di plastica, forata, con dell’acqua dentro. Dai fori della bottiglia l’acqua comincia a uscire e a colare dolcemente dalle punte dell’ombrello, incorniciando i due in piccole cascatine di “pioggia”. Un tocco di classe per finire in bellezza.

Eleonora Monticone

DON CHISCIOTTE AMORE MIO

testo di Angelo Tronca

regia di Alberto Oliva

musiche di Beniamino Borciani

costumi di Lucia Giorgio

Don Chisciotte – Angelo Tronca

Sancho – Francesco Gargiulo

Roberta – Astrid Casali