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I ragazzi della Commedia

I RAGAZZI DELLA COMMEDIA

 

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Buio, silenzio, un sipario che si apre, un personaggio che fa il suo ingresso da una quinta e si sistema al centro della scena: un inizio classico, che il pubblico si aspetta di vedere. Quello che non ci si aspetta è l’incredibile naturalezza con cui si verrà letteralmente catapultati all’interno di uno spettacolo scatenato, incalzante, che fin dalle primissime battute ci trascina dentro a una storia fatta di intrecci e lazzi esilaranti che non lasciano un momento di respiro. Si ride cosi tanto da non riuscire a prendere fiato, e ci si lascia andare non a uno, ma ben a due applausi a scena aperta. E’ un sabato sera da ridere a crepapelle quello che ci hanno regalato i giovani attori diplomati del corso accademico 2013-15 della scuola di teatro Sergio Tofano, che sotto la guida esperta del maestro Mauro Piombo mettono in scena La Figlia Contesa: un’ora e dieci di spettacolo ricco di trovate originali ma che mantengono tutti i canoni tipici di questo genere così unico e inconfondibile che è la Commedia dell’Arte.

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I personaggi che prendono vita nel canovaccio sono sei: le due giovani sorelle Euforbia e Consolida, figlie del dottore Graziano Catapunzia, il giovane innamorato Lelio, figlio del commerciante Pantalone, e la Tessitrice, figura originale e duttile. Spetterà a lei il compito di aprire lo spettacolo, e lo farà presentando se stessa come colei che tesse le trame e le storie, che tira le fila del racconto intervenendo nelle vicende dei personaggi, ingarbugliando e intrecciando le loro vite a suo gusto e piacimento per far sì che gli avvenimenti accadano. Fa poi la sua comparsa in scena l’eccentrica famiglia Catapunzia, composta da tre elementi in conflitto tra di loro. Euforbia è una giovane vivace che vuole conoscere il mondo, ma non può perché suo padre il dottor Graziano Catapunzia costringe lei e sua sorella a una vita di prigionia nella casa paterna. Consolida, molto diversa dall’inquieta e disobbediente sorella, è una ragazza tutta casa e chiesa, devota e sottomessa alla volontà del padre che la adora, ma intraprende in segreto una corrispondenza con il bel Lelio, di cui è perdutamente innamorata. Anche Lelio ricambia la bella Consolida, ma è tenuto sotto controllo dal padre Pantalone che sta a capo dell’azienda di famiglia, la “Navigation Corporation and Co.” (“coglion!”, come verrà chiamato il povero Lelio per tutta la commedia), preoccupato di insegnare il mestiere al figlio per poi lasciargli il comando dell’attività. Quando a casa Catapunzia arriva la notizia che Euforbia sarà mandata in convento e Consolida sarà data in sposa al principe della Kamchatka, per soddisfare gli interessi economici dell’avido dottore, si scatena un putiferio: le due sorelle escogitano un piano per sfuggire al loro destino, mentre Lelio viene a conoscenza della sorte di Consolida, poiché il dottor Catapunzia commissiona alla Navigation Corporation and Co. la costruzione della nave che porterà la giovane sposa e il suo principe nella Kamchatka, e anche lui decide di fare qualcosa. È qui che la Tessitrice suggerisce ai giovani che nessuno ha mai visto in faccia questo fantomatico principe, e così Euforbia da una parte (con un marcato accento francese) e Lelio dall’altra (con un altrettanto marcato accento spagnolo) decidono di vestire i panni del nobile e di chiedere la mano di Consolida, e ingannare in questo modo i loro padri. In casa Catapunzia fanno così il loro ingresso ben due principi. Chi di loro sarà quello vero? Tra combattimenti, scontri e pianti, la Tessitrice deciderà di intervenire ancora ma per risolvere la situazione, e a questo punto entra in scena il vero principe della Kamchatka (questa volta sfoggiando un’elegantissima parlata russa). Un lieto fine farà poi calare il sipario sulla scena.

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Tante sono le situazioni tipiche della Commedia, come l’impedimento dei due giovani innamorati che non possono stare insieme, o l’esilarante scena dell’incontro-scontro tra i due vecchi, quante le innovazioni e le trovate originali degli attori, come il padre che dà della vegana alla figlia ribelle mentre lei grida il suo motto “sex, drugs and rock and roll!”.  

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Le meravigliose maschere prendono vita quasi per magia sotto i volti e i corpi degli attori che le portano con sorprendente bravura e destrezza, se si pensa alla loro giovane età. Tutto lo spettacolo è un vortice di battute, lazzi e scontri che non si ferma mai, girando a un ritmo sorprendente che tiene gli occhi e le orecchie del pubblico incollate sul palco dalla prima all’ultima scena. Non manca poi un omaggio al maestro, che siede in sala, da parte degli allievi, così come vuole la tradizione: quando il dottor Catapunzia, per far rinvenire il povero Pantalone svenuto tra le braccia di Lelio, tira fuori una fiaschetta che contiene un grappino proveniente dalla riserva speciale di Mauro Piombo, il teatro viene giù dalle risate.

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La Figlia Contesa

spettacolo maturato nel corso di un seminario intensivo sulla Commedia dell’Arte tenuto dal maestro Mauro Piombo

interpreti:

Matteo Astengo – Lelio

Gaia Baudino Bessone – Consolida

Lucia Ferrero – Euforbia

Matteo Macchia – Pantalone

Riccardo Nazzaroli – dottor Graziano Catapunzia

Marta Ziolla – Tessitrice

direzione artistica Mauro Piombo

lo spettacolo si è svolto sabato 18 dicembre 2016 all’associazione culturale Circolo Bloom, Torino

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Conversando con i sei attori de La Figlia Contesa

Qual è il punto di partenza per costruire uno spettacolo di Commedia dell’Arte; come si inizia a lavorare a un progetto di questo tipo?

LUCIA: avere fantasia!

RICCARDO: si parte da un lavoro puramente didattico. Bisogna prima apprendere la tecnica che sta alla base delle varie maschere, mettersi in gioco con tanta improvvisazione per poi fare un lavoro di limatura.

LUCIA: ogni maschera ha le proprie caratteristiche, e seguendo quelle caratteristiche si crea una storia in cui le varie maschere si incontrano.

GAIA: abbiamo pensato a grandi linee a una storia, a un contenuto, e da lì ci siamo mossi con improvvisazioni che mano a mano sono andate a formare le singole scene.

RICCARDO: o anche da cose che non c’entravano niente, fatte prima di avere questo piccolo canovaccio, che però funzionavano, erano divertenti, e quindi abbiamo cercato di inserirle.

MATTEO M: per prima cosa abbiamo scritto un canovaccio a tavolino e ci siamo accorti che era un errore. Scrivendo prima, le cose non funzionavano, invece la scena ti dava quei giochi che a tavolino non riuscivi a trovare. Non si può partire da un testo, è limitante.

MATTEO A: i canovacci classici infatti consistevano in una storia a grandi linee.

LUCIA: il canovaccio originale dà delle dritte, delle indicazioni di cose che devono succedere, però quelle cose bisogna lavorarle sulle scena.

RICCARDO: è l’azione che muove, non il testo.

MATTEO A: anche perché la linea del canovaccio è molto semplice, quindi se ci si dovesse basare solo su quella che è la trama classica ci sarebbe ben poco da rappresentare.

Quanta libertà si può prendere l’attore quando lavora sulla maschera prima e quando lavora sulle varie scene di interazione dei personaggi dopo? Quanto un attore puo intervenire con la propria personalità sulla maschera e sulle scene e quanto invece deve attenersi a quelli che sono i canoni e le regole che rendono la Commedia dell’Arte quel modo caratteristico e inconfondibile di fare teatro.

GAIA: la personalità dell’attore fa tanto. E’ vero che bisogna stare dentro certi schemi precisi, però poi il gioco viene fuori anche dalle caratteristiche dell’attore stesso. 

LUCIA: già l’abbinamento maschera-attore corrisponde alle caratteristiche che quella maschera avrà.

RICCARDO: inizialmente durante il lavoro didattico c’è meno libertà, perché bisogna lavorare attenendosi a determinati movimenti e linguaggi. Ma una volta che questi movimenti vengono metabolizzati, si apre un’infinita di lazzi! Puoi farci quello che vuoi, aggiungendoci poi anche dei modernismi, che non fanno parte della Commedia dell’Arte classica. Per esempio nel nostro spettacolo ce ne sono alcuni.

MATTEO A: la maschera nel complesso dei movimento, della postura, dell’atteggiamento nei confronti degli altri personaggi e dei contrasti, è sempre quella. I due vecchi andranno sempre in contrasto, i due giovani avranno sempre degli impedimenti, il giovane sarà in conflitto col vecchio e così via. All’interno di questi canoni ben precisi l’attore si può esprimere con un lazzo particolare, con una battuta detta in un modo particolare, con un modernismo particolare. La maschera è l’elemento che modifichi di meno, perché dando a una maschera una connotazione moderna è molto più facile uscire dal canone della maschera vera e propria. C’è libertà, ma deve viaggiare su binari ben precisi.

Quindi siete riusciti a inserire lazzi con riferimenti moderni?

RICCARDO: certo, in questo spettacolo Pantalone è a capo di un’azienda di navi, per esempio, e il suo nome è ditta Navigation Corporation and Co. Rimane quindi il Pantalone mercante, il Pantalone che ha le mani nei soldi, però con una connotazione che nel Cinquecento ovviamente non esisteva.

MATTEO A: o ci sono citazioni, per esempio quando la figlia e il dottore si insultano e lui le dà della vegana.

GAIA: sono elementi piccoli ma utili, perché vengono percepiti dal pubblico di adesso.

C’è un qualcosa che caratterizza questo spettacolo da un qualsiasi altro spettacolo di Commedia dell’Arte? Una firma?

MATTEO A: la figura della Tessitrice e la mancanza degli Zanni.

RICCARDO: la non presenza degli Zanni è una cosa un po’ anomala, perché di solito gli Zanni sono onnipresenti in ogni canovaccio.

LUCIA: la Tessitrice fa da raccordo tra le scene e da introduzione: è un po’ il filo conduttore di tutta la vicenda.

MATTEO A: lo Zanni nella Commedia è proprio per eccellenza il “deus ex machina”, è il personaggio che crea scompiglio ed è lo stesso che, spesso involontariamente, riesce a tirare le fila della situazione. Siamo riusciti a trovare un escamotage, non avendo lo Zanni: usare la Tessitrice, che è esterna alla vicenda, può entrare all’interno della storia come e quando vuole, e si rapporta direttamente con il pubblico.

GAIA: lei lo dichiara anche all’inizio: si presenta come un personaggio che ha la capacità di entrare nella storia e di uscirne a piacimento, tramutandosi in un qualsiasi cosa possa essere utile alla vicenda. Questo non fa parte della Commedia dell’Arte classica.

Perché studiare Commedia dell’Arte? Quanto può essere utile per un attore che intraprende un percorso di studi professionale?

MATTEO A: perché è una palestra di teatro che prepara in una maniera eccellente, secondo me. Non so se questo genere più di altri, ma sicuramente questo genere in modo particolare.

MATTEO M: la sua importanza sta anche nel modo di lavorare. Rispetto ad altre tipologie di lavoro teatrale che possono essere molto più psicologice, qui tutto si basa sulla scena, sul movimento, sull’azione, sul corpo e sulla sua dinamica. E’ il movimento che porta alla parola, ed è il movimento che porta la parola.

MATTEO A: ti permette di lavorare sull’incisività della battuta, perché è il corpo che fa cambiare l’attenzione dello spettatore da un personaggio all’altro.

GAIA: ti rendi conto di come un certo tipo di movimento ti porta a un certo tipo di battuta. Una postura diversa ti porta a un diverso modo di impostazione e di intonazione.

MATTEO A: è molto interessante il superamento della fase iniziale di puro lavoro tecnico per arrivare a una spontaneità dell’attore, sia nei movimenti che nelle battute.

RICCARDO: ti permette anche di lavorare sul rapporto col pubblico, perché si ha spesso la possibilità di dire una battuta rivolgendosi direttamente a esso, guardandolo dritto negli occhi. Bisogna puntare il naso della maschera verso il pubblico e cercare di accalappiarlo. A differenza di altre impostazioni teatrali, che sia prosa o altro, dove la presenza della famosa quarta parete è molto forte e il pubblico sostanzialmente non esiste per chi si trova sulla scena, nella Commedia è esattamente il contrario: è quasi come se il pubblico facesse lo spettacolo, e quando si recita si parte dal esso, dalle sue reazioni, dal suo coinvolgimento. Tutto quello che si fa è per ed è in relazione al pubblico. La Commedia dell’Arte si basa su questo.

Il pubblico del Cinquecento era abituato a esibizioni di questo genere e ne riconosceva ogni aspetto e ogni dettaglio. Al contrario, il pubblico di oggi è molto ignorante verso la Commedia, e spesso si trova disarmato di fronte a certe caratteristiche e attitudini che vengono presentati in scena. Ci sono personaggi o storie che devono essere rappresentate con maggiore chiarezza perché alcuni riferimenti che un tempo erano comuni e conosciuti da tutti oggi sono più distanti e non vengono percepiti, o non avete sentito questa esigenza?

MATTEO M: il pubblico segue, anche grazie forse a quel rapporto diretto di cui parlavamo prima. Il pubblico sente molto lo spettacolo, e sente quando le cose funzionano.

LUCIA: e quando le cose funzionano, arriva il momento di far ingranare lo spettacolo ancora di più. Una volta che lo spettacolo ingrana il ritmo giusto, l’attore avverte proprio una specie di botta e risposta tra la scena e il pubblico. Poi magari la gente non è più abituata a questo tipo di spettacolo e quindi all’inizio può rimanere sorpresa, deve ambientarsi e abituarsi ai ritmi, al linguaggio e soprattutto al contatto diretto con l’attore che recita guardandola negli occhi, ma una volta che entra nel gioco, nell’immaginario, il pubblico si diverte tantissimo.

RICCARDO: tutto sta appunto nell’entrare dentro il gioco teatrale. Noi ovviamente abbiamo curato molto il testo, ma quello che è veramente importante sono i lazzi, le situazioni. Ci sono grandi compagnie di Commedia dell’Arte che vanno in Francia o in Giappone e il pubblico muore dal ridere. Ovviamente non si recita in francese o in giapponese, ma si coinvolge il pubblico con i giochi della scena, che sono chiarissimi. Credo che questa sia la vera magia della Commedia dell’Arte.

MATTEO A: forse ora è addirittura nata un’esigenza da parte del pubblico di rivivere almeno in parte quella partecipazione di cui parlavamo prima, che ora non esiste quasi più. Qui a Torino abbiamo visto come il pubblico si sia quasi stupito di quanto si stesse divertendo e soprattutto di quanto venisse preso in considerazione.

MATTEO M: tutto è dichiaratamente falso, ma questo non impedisce al pubblico di percepirlo come assolutamente vero, ovviamente nel momento in cui le cose sono fatte bene. C’è tanta responsabilità da parte dell’attore.

LUCIA: forse questa è la vera risposta alla domanda di prima, perché studiare Commedia: per ritrovare quella comunicazione col pubblico che il teatro ufficiale ha dimenticato o tende a dimenticare. E’ la volontà di comunicare che ci ha spinti a confrontarci con questo genere piuttosto che con altri.

MATTEO M: in realtà la Commedia dell’Arte può essere anche solo un pretesto per ritrovare questo modo di lavorare, che poi può essere riportato in molti altri generi teatrali con la stessa efficacia. La Commedia dell’Arte è una scuola d’attore, una scuola di recitazione.

recensione e intervista a cura di Eleonora Monticone

fotografie di Andreea Hutanu