Masterclass di Toni Servillo

Vasi vuoti che si riempiono e si svuotano

Il David di Donatello Toni Servillo si è presentato con estrema umiltà alla masterclass tenutasi il 26 novembre durante il quarantesimo anniversario del Torino Film Festival. Facendo una carrellata sulla sua vita, Servillo è passato dal racconto di storie familiari con zii “zitelloni” che andavano soli a teatro, al suo tardo incontro con il cinema, fino a parlarci della sua visione del mondo degli attori. 

“Mi sono sempre considerato un uomo di teatro e credevo che tutta la mia attività si sarebbe esaurita augurandomi una fortuna nel teatro. Il cinema è arrivato piuttosto tardi con Mario Martone, che propose di fare un film indipendente.”

Il film in questione è Morte di un matematico napoletano del 1992 incentrato sulla biografia del matematico napoletano Renato Caccioppoli.

Quindi attore teatrale e cinematografico. Servillo spesso scherza dicendo di essere Toni a teatro e Servillo al cinema. In verità, si è sempre considerato un uomo di teatro, lo stesso mondo che l’ha accompagnato sin da bambino. Ricorda di quando le sere, a Napoli, la sua famiglia aveva l’abitudine di andare a guardare le commedie di Eduardo De Filippo.

“Queste erano spesso popolate da padri responsabili o madri sull’orlo di una crisi di nervi. Una sera, guardando con attenzione una di queste commedie, mi sono girato indietro e mi sono reso conto di avere alle spalle gli stessi che avevo di fronte.”

La visione goldoniana sul rapporto tra teatro e mondo è quella di Toni Servillo. Secondo lui, la via della recitazione va intrapresa per risolvere un problema identitario con un gruppo, che decide di rappresentare e rappresentarsi il mondo. In questo lavoro, fondamentale diventa il pubblico che, come per Jouvet, dà un mandato all’attore per vivere al posto suo o per potersi rivedere in quei racconti umani.

“I copioni sono materiali e quello che a teatro si incendia è l’esecuzione.”

A proposito dei copioni, Servillo ha altresì raccontato la sua operazione propedeutica alla vita scenica. Innanzitutto, per tutelare il suo lavoro di attore rispetto al regista, impara molto bene il testo. Ne segue una riscrittura su dei quaderni per introiettare il personaggio che va successivamente liberato grazie a una forza diversa da quella mnemonica, il più vitale possibile. Significativo per questo processo è il distinguo che Servillo fa tra “personaggio” e “ruolo”.

“ Il personaggio è quello che tu interpreti e con cui hai una relazione intima. Invece, il ruolo è quello che il tuo personaggio riceve o fa, anche quando non c’è direttamente in scena, e che è in relazione agli altri personaggi.”

Servillo utilizza un’immagine nitidissima per descrivere il mestiere dell’attore: “Siamo dei vasi vuoti che si riempiono e si svuotano”. L’attore si perde e si ritrova costantemente, ma il personaggio rimane sempre separato e non resta niente quando non lo si interpreta. 

L’approccio iniziale di Servillo ai personaggi è di estrema timidezza. Egli è convinto che, soprattutto nel caso della drammaturgia classica, i personaggi siano il risultato di una creazione autoriale che si eleva dal piano della realtà. Per questa ragione, bisogna fare uno sforzo per avvicinarsi e non ci può essere un avvicinamento immediato; la pratica del palcoscenico accorcia questa distanza. L’importante, secondo Toni Servillo, è tenere bene a mente che si può trovare il giusto centro tra attore e personaggio, ma “io non sono Amleto e posso solo avere un incontro con lui”.

Federica Mangano

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