HEXPLOITATION – INTERVISTA ALLA COMPAGNIA SHE SHE POP

Il punto di vista dei performer Sebastian Bark e Johanna Freiburg

Trascriviamo l’intervista, tradotta dall’inglese, che ci ha permesso di confrontarci con gli attori del gruppo di performer tedesco She She Pop. Abbiamo avuto il piacere di ascoltare il punto di vista di Sebastian Bark e Johanna Freiburg. Sono emerse questioni interessanti riguardo diversi temi esplorati nello spettacolo Hexploitation che ha avuto luogo al Teatro Astra in occasione della ventisettesima edizione del Festival delle Colline Torinesi.

Irene: Il vostro lavoro ha esposto una tematica molto interessante: la visione della donna che la società impone alla donna stessa. Personalmente ho riscontrato un collegamento con l’interpretazione fatta da Pirandello, secondo cui l’uomo è incapace di esprimere la propria interiorità, fatta di molteplicità, attraverso il proprio corpo. Vorrei chiedervi se c’è una connessione tra questo concetto e il significato del vostro lavoro in Hexploitation.

 Sebastian: È un concetto interessante, ma, più che di impossibilità di esprimersi dell’individuo attraverso il proprio corpo, parlerei della differenza dell’esistenza di una persona e ciò che la società impone, in quanto alla sua immagine e il suo ruolo. Cosa significa essere donna? Diabolica? Una minaccia al patriarcato, al capitalismo? Si tratta più che altro della riappropriazione di ciò che si vuole esprimere. È interessante che sia arrivata l’idea di un confronto tra l’esterno e l’essenza interiore. Abbiamo lavorato precedentemente sul tema, ma questo spettacolo tratta maggiormente del conflitto tra individuo e società. 

Johanna: Sì, e riguarda anche l’invecchiamento del corpo femminile, e più spesso si tende a stigmatizzare la donna in quanto strega, non essendo questa più in grado di riprodursi, conseguentemente alla menopausa, non rientra più in quel sistema dell’economia capitalista. La donna era colei che partoriva i futuri lavoratori delle fabbriche. Pertanto, una donna incapace di concepire veniva ritenuta inutile dal sistema. 

Sebastian: Come se avesse una malattia 

Johanna: Esattamente. Anche nei tempi moderni si parla di una malattia con la quale ci si deve confrontare. L’intera questione riguarda la posizione da prendere rispetto al cambiamento del corpo femminile, e ribaltarne la visione: portarlo alla luce, sul palcoscenico, per rivendicarne l’entità. Noi lo rivendichiamo nuovamente! Rivendichiamo quello spazio. Rivendichiamo il possesso del nostro corpo. 

Sebastian: Rivendichiamo anche la potenza della creatività femminile. Non potrai dare la nascita a nuovi individui, ma potrai partorire nuove idee… creature come fantasie… fino ad arrivare a nuovi concetti di genere. L’essenza è qualcosa che viene prodotto nel processo di condivisione. Inoltre, questo processo non risente dell’età, né termina con l’inizio dell’invecchiamento determinato dalla menopausa. 

Johanna: E si parla anche di riappropriarsi di quella conoscenza che donne come le cosiddette “streghe” possedevano. La figura stessa della donna come strega deriva dalla percezione del sapere femminile come un pericolo…ne derivava un certo potere… come per esempio nel caso dell’aborto. Tale conoscenza va rivendicata.

Angelica: Provare a spiegare qualcosa che le persone non riuscivano a comprendere, e di cui rifiutavano il significato.

Johanna: Sì, esatto. 

Sebastian: Per quanto riguarda la mia parte è stato di grande ispirazione… mi riferisco alla parte del miscuglio degli ingredienti per produrre l’unguento… 

Johanna: La scena dell’alchimista.

Sebastian: L’alchimista, esatto. E mi ha aiutato moltissimo documentarmi attraverso testi di alchimia, in particolare di uno storico della cultura medievale, Carl Gustav Jung. Penso che scrivesse in particolare del nord Italia dell’epoca, e ho apprezzato confrontarmi con i testi di questa materia per preparare alcune scene. 

Johanna: Sì e anche Silvia Federici, altra autrice italiana, è stata di ispirazione per parte del nostro lavoro, come il suo libro “Calibano e la strega“…ci ha trasportato molto all’interno di quel pensiero. 

Sebastian: Noi raccomandiamo caldamente la sua lettura, è come una Bibbia per noi.

Johanna: È stata lei a delineare le connessioni tra il capitalismo e il trattamento che le donne hanno subito a causa della misoginia del sistema. La donna ha iniziato ad acquisire una certa posizione nella società del tempo e perciò si è cercato di sminuirla. 

Sebastian: Ecco vedete, dovete fermarci, ci piace troppo parlare di questi argomenti! 

Angelica: Siamo qui per questo! Io avrei una domanda rispetto alla nudità in scena. Ho recentemente frequentato un laboratorio riguardante questo aspetto e vorrei sapere com’è andata la vostra preparazione, se avete affrontato un percorso, qual è stata la vostra esperienza? 

Johanna: In effetti non è la prima volta che recitiamo nudi! Ma sì, questo spettacolo è stato diverso dal solito, questa volta si trattava di puntare le videocamere su di noi, “nei” nostri corpi… è stata sicuramente un’esperienza più intima. 

Angelica: Sì, è per questo che ve lo chiedo… era molto intima come esposizione. 

Johanna: Quello è stato il passo successivo. Abbiamo affrontato un processo, ovviamente, anche se ci conosciamo da più di venticinque anni… quindi completamente, ormai, potremmo dire. Tuttavia, c’era un limite da superare per passare al livello successivo. Abbiamo parlato molto di questo tra di noi… Vogliamo andare in quella direzione? Ce lo siamo chiesti… certamente. Quello che è stato maggiormente d’aiuto è stato il set, l’ambientazione creata da noi. Per esplorare noi stessi e il nostro corpo in sicurezza. Noi, sul palcoscenico e per l’intera durata della performance, siamo in pieno controllo di ciò che mostriamo, di nostro, al pubblico.  Puntiamo le telecamere dove vogliamo essere visti e creiamo noi stessi le immagini proiettate.

Ogni gif creata in tempo reale in scena… è tutto frutto del lungo viaggio che abbiamo affrontato come gruppo.  Si potrebbe pensare alle videocamere come strumento di oggettivazione del corpo, ma al contrario, per me si sono rivelate un aiuto, uno strumento per conoscere al meglio il mio corpo. Sono usate in modo da darci potere, non da privarcene… e c’è sempre una certa giocosità nell’insieme. Giocare con l’idea del proprio corpo: è quasi come se si imparasse a mostrare le parti meno belle di sé per trarne un’esperienza liberatoria, godibile e pacificante. Il bello è stato fare tutto questo insieme. Un esempio è quella che noi chiamiamo la “flesh mountain”, l’insieme di corpi nudi indistinguibili tra loro. 

Sebastian: Un collage di nudi di ciascuno di noi 

Johanna: In quel caso non ha più importanza… neppure chi sia quale corpo… siamo un insieme indistinto. E diventa semplicemente una sorta di celebrazione della carne e del corpo che invecchiano. Non si sente più il bisogno di nascondere determinati aspetti…anzi! Li esponiamo e ne traiamo gratificazione, forza. 

Sebastian: È quasi una gestualità farlo. Non è solo questione di “Questo è come io appaio” ma “Questo è ciò che voglio che tu veda di me”. Da qui la citazione “Sono pronto per il mio primo piano!”. Significa passare dall’imbarazzo al convincimento di desiderare in prima persona quella situazione, anziché percepirla come un disagio.  La parte essenziale all’interpretazione è stata forse l’assenza di un regista. Se pensassimo ad Hexploitation come ad una performance diretta da un’altra persona non ci piacerebbe. Probabilmente in una situazione di tipo gerarchico ci sentiremmo a disagio. Il tutto è profondamente connesso con la nostra volontà di mostrarci. 

“Alright, I’m ready for my close up Mr. DeMille”

– Norma Desmond a Mr. DeMille nel film Sunset Boulevard del 1950

Johanna: Non c’è nessuno che imponga di mostrare o fare una determinata cosa. 

Angelica: Potrebbe essere d’aiuto qualcuno, magari un esterno, che vi possa aiutare sulla scena? 

Sebastian: Noi ci aiutiamo a vicenda. 

Johanna: Sì, abbiamo avuto delle persone esterne che ci hanno aiutato con un workshop: abbiamo disegnato ciascuno i propri genitali, nella medesima stanza, per mezzo di uno specchietto tra le gambe. In questo modo abbiamo potuto mostrare le immagini del nostro corpo agli altri, e lo hanno fatto anche i membri del gruppo che non sarebbero comparsi sulla scena con noi. La condivisione ci ha portati ad un altro livello, abbiamo condiviso questa atmosfera di intimità. Perciò, esattamente, abbiamo affrontato il processo come gruppo e in un modo completamente antigerarchico. 

Irene: In questo modo avete imparato gradualmente ad interagire sia con la vostra nudità, sia con la nudità dei vostri compagni sulla scena?

Sebastian: Siamo tutti diversi e ciascuno di noi ha avuto difficoltà, chi più, chi meno. Alcuni di noi si sentono più a proprio agio di altri. Certe inibizioni richiedono del tempo per comprendere a cosa mira tutto questo… che cosa significa veramente. Riappropriarsi di una gestualità in cui ritrovarsi. Avere sicurezza e sentire che lo si fa perché lo si vuole fare. 

Angelica: Molto interessante. 

Irene: Solitamente la nudità è sinonimo di libertà solo nel momento in cui si è soli, o in intimità. Avete imparato a trovare tranquillità e libertà anche in una dimensione diversa da quella dell’intimità…anche davanti ad un pubblico? O vi sentite, a volte magari, come “intrappolati” sul palcoscenico? 

Johanna: Vuoi rispondere tu? 

Sebastian: No no, lascio a te la parola 

Johanna: Per me, personalmente, lo spettacolo non riguarda tanto il rapporto tra noi e il pubblico, quanto tra noi e il set. Come un vero e proprio parco-giochi…le videocamere creano una sorta di percorso che attraversiamo, ci interfacciamo con l’ambientazione sul palcoscenico…ed è quasi come se invitassimo il pubblico a guardare questa interazione. Tra noi e il “parco giochi”. Il gioco sta nell’atmosfera…a volte mi sembra quasi di pensare che il pubblico potrebbe quasi non esserci… e il gioco funzionerebbe ugualmente. Certamente, il pubblico è necessario. Ma in questo caso non è il rapporto con gli spettatori, almeno rispetto alla nudità in scena. Abbiamo fatto lavori simili, ma questo non è il caso. 

Sebastian: Sì, non riguarda il confronto. 

Angelica: Io vorrei sapere se è stata una vostra scelta la traduzione simultanea, in cuffia, per gli spettatori. Era una decisione dei tecnici o vostra, a livello performativo? 

Johanna: Lo abbiamo fatto per la prima volta 

Sebastian: Era una nostra idea. Abbiamo pensato che sarebbe stato confusionario, soprattutto su consiglio del video designer, inserire i sottotitoli all’interno della sistemazione del set. Non c’era possibilità di inserirli senza disturbarne in qualche modo la lettura, o senza ostacolare la visione della scena. Essendo molto visiva abbiamo preferito optare per una traduzione audio. Inoltre, spesso improvvisiamo, perciò se avessimo i sottotitoli dovremmo attenerci strettamente al testo. La scelta della traduttrice è dovuta alla necessità dell’adattamento del testo allo sviluppo delle improvvisazioni. 

Angelica: Pensavo che, forse, dal momento che lo spettacolo è così incentrato sul cinema, i sottotitoli avrebbero potuto essere una buona soluzione. 

Sebastian: Voi avreste preferito i sottotitoli? 

Angelica: Personalmente sì, ed è emerso da una discussione con altri spettatori: in molti li avrebbero apprezzati. Abbiamo discusso sul fatto che la traduttrice avesse, ovviamente, una singola voce. Questo ha reso complessa, a tratti, la comprensione delle battute e di chi le pronunciava. 

Irene: In effetti una singola voce per quattro distinti ruoli poteva sembrare confusionaria…tuttavia, io ho preferito la traduzione audio, penso che avrei trovato i sottotitoli confusionari. 

Sebastian: Grazie per il feedback, è importante per noi conoscere le impressioni degli spettatori.

Johanna: Questa era l’idea, dare modo di comprendere il testo e godere dell’aspetto visivo. 

Irene: Un’ultima domanda riguardo la scenografia. Come avete organizzato le varie postazioni? È stato difficile prepararsi per movimenti sulla scena e i cambiamenti di proiezione continui? 

Sebastian: La sistemazione dei dispositivi video è molto complessa, sì. Certamente, le riprese dal vivo richiedono una certa prontezza, come i loop che abbiamo girato e proiettato sulla scenografia. I collage sono stati elaborati dal nostro video designer, Benjamin Krieg…lui è in grado di vedere le potenzialità della scena come installazione video. Potremmo vederla così effettivamente…sì, c’è stata una lunga preparazione e abbiamo fatto molta pratica. Adesso abbiamo i nostri trucchetti… sappiamo quando essere in che punto del palco, quando sistemarci il costume…

Johanna: Sì, e riguarda anche il testo. La prima cosa che facciamo non appena arriviamo a teatro, una volta pronto il set, è fissare le posizioni di ciascuno di noi. Dove ci siederemo, staremo in piedi o fisseremo le videocamere. 

Irene: E il testo è interamente opera vostra? 

Johanna: Sì, come gruppo abbiamo fatto un gran lavoro di squadra, e siamo riusciti a mettere insieme tutto grazie al lavoro del video designer che ci ha seguito sin dall’inizio. È il terzo lavoro che facciamo con lui. I costumi, anche quelli fanno parte della scenografia e sono importanti quanto ogni altro aspetto, a livello creativo, per mettere su lo spettacolo. 

Sebastian: A noi piace darci un compito vicendevolmente, lo chiamiamo “parla del tuo collega”. “Com’è cambiato il suo corpo nel corso degli anni? Cosa c’è di diverso da quando vi siete conosciuti in giovane età?” Ed è molto difficile a volte, perché devi dire qualcosa sull’altra persona…a quel punto viene fuori qualche idea. Ognuno dà il proprio contributo al testo.  

Angelica: Come nel momento in cui vi interrogavate. 

Sebastian: Esatto, come nel caso dell’esempio di inquisizione sulla scena, il momento in cui si afferma “Domanda” e ci interroghiamo sui vari temi, e ci diamo l’un l’altra le risposte… è la forma del compito che siamo soliti usare per improvvisare insieme. Questo è lo sviluppo del testo. 

Johanna: Senza dimenticare i libri che vi abbiamo citato, e i film. Anche i film hanno avuto un ruolo nel processo: Sunset Boulevard e Gaslight in particolare.  

Sebastian: Ora dobbiamo andare, ma è stato un piacere 

Johanna: Grazie per le vostre domande 

Grazie agli attori per aver risposto alle nostre domande, al Teatro Astra per aver ospitato il nostro incontro e a Beatrice Biondi e Valentina Spezzani per il loro supporto durante l’intervista.

Angelica Ieropoli, Irene Turchetto

Un commento su “HEXPLOITATION – INTERVISTA ALLA COMPAGNIA SHE SHE POP”

  1. Bellissima intervista. Per quanto riguarda la traduzione simultanea, ho fatto del mio meglio, è stata una bella sfida. Quattro interpreti avrebbero sicuramente reso meglio le 4 diverse voci, ma bisogna anche considerare i costi. Senza voler portare acqua al mio mulino, credo che i sottotitoli avrebbero distratto molto da quello che avveniva in scena.

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