DIARIO DI UN DOLORE – INTERVISTA A FRANCESCO ALBERICI, ASTRID CASALI ED ETTORE IURILLI

Dopo lo spettacolo Diario di un dolore, in scena all’Off Topic il 21 e il 22 ottobre e inserito all’interno del Festival delle Colline Torinesi, abbiamo avuto la possibilità di dialogare con l’autore dello spettacolo,  vincitore del Premio UBU miglior attore Under 35, Francesco Alberici, l’attrice dello spettacolo Astrid Casali e il Dramaturg Ettore Iurilli. Ora, prima di iniziare, seguendo un po’ la sensazione dello spettacolo di essere dentro un contesto amichevole se non familiare, precisiamo che l’intervista non è stata fatta a teatro ma a pranzo, attorno ad un tavolo, in un puro spirito conviviale.

Roberto Iacuzio: “Complimenti ancora per lo spettacolo messo in scena ieri, ancora grazie per questo splendido lavoro in cui siamo entrati tutti in empatia. Questo non è il diario di una singola persona ma è un diario collettivo, dove si palesa una sorta di ‘enciclopedia del dolore’. Noi abbiamo delle domande che sembrano più formali ma tenendo un po’ il gioco dello spettacolo vogliamo che queste risultino solo un punto di partenza per una chiacchierata informale.”
Francesco Alberici: “Prima di iniziare io vorrei presentare Ettore (Iurilli) che è stato collaboratore alla drammaturgia dello spettacolo ed è stato con noi in tutte le fasi di prove ed il debutto. C’è anche Enrico Baraldi che ha dato più un punto di vista registico, esterno.”
Federica Mangano: “Avete già collaborato insieme in altri spettacoli?”
Francesco Alberici: “No.”
Roberto Iacuzio:“Non è nemmeno il debutto questo, vero?”
Francesco Alberici: “Il debutto è stato a Romaeuropa, 2020. Lo spettacolo però era lievemente diverso, infatti, questa estate abbiamo avuto dieci giorni di residenza artistica dove lo abbiamo rilavorato, abbiamo fatto delle modifiche anche strutturali ed è diventato lo spettacolo di adesso.”
Federica Mangano: “Quindi in questa forma è la prima rappresentazione?”
Astrid Casali: “Si, oltre ad aver fatto due repliche in Toscana e il Liguria, come una sorta, più o meno, di ri-debutto.”
Roberto Iacuzio: “Allora, iniziamo con la prima domanda, parliamo della drammaturgia, come si è arrivato a questo testo?”
Federica Mangano: “L’idea del testo parte dall’omonimo libro di Lewis, come ti relazioni con gli autori?”
Roberto Iacuzio: “È un lavoro scritto a più mani, quindi, aggiungo, come siete arrivati ad un testo che sia in collaborazione tra tutti? ”
Francesco Alberici: “Noi abbiamo fatto una prima fase nella quale facevamo, inizialmente, delle improvvisazioni. Quindi raccontavamo per associazione libera: pensieri, pezzi di storie, riflessioni, citavamo libri che portavano ad una grande fase di dialogo aperto in cui si interveniva secondo desiderio. Da lì è nata una mega raccolta di materiale.”
Astrid Casali: “Si, eravamo pieni di materiale.”
Federica Mangano: “Quindi il rapporto con gli autori come era? Oltre a quelli prodotti da voi.”
Francesco Alberici: “Gli autori che sono entrati dentro l’aurora di questo spettacolo sono tanti, nel senso che Diario di un dolore di Lewis, che è stato un spunto, era un titolo che volevo rubargli. Bella l’idea di un diario di un dolore, magari non è chiaro perché alcune volte c’è un titolo che ti parla. Sicuramente il libro è interessante perché lui (Lewis) nel raccontare il suo lutto e nell’analizzare il suo dolore, che è un dolore specifico, la morte di una persona cara, tuttavia se hai vissuto, come tutti, dei momenti di dolore, lo leggi e ti riconosci completamente, anche se questo può sembrare di lieve entità, è sempre un dolore.”
Roberto Iacuzio: “Quello che, infatti, poi è arrivato allo spettatore è una collettività del dolore provato e sentito, che fa parte dell’uomo. Bello è stato quel lavoro di personificazione e di non personificazione del lavoro stesso: è il mio dolore come è di tanti.”
Ettore Iurilli: “Forse a livello di collaborazione, il discorso autore è ascritto a lui (Francesco Alberici) però ha sempre detto che è per le responsabilità di quello che viene detto. Il lavoro comunque è stato collettivo. È iniziato con un pranzo, come questo, mentre mangiavamo ci ha detto di voler lavorare su questa idea.”
Roberto Iacuzio: “Nella visione dello spettacolo, questa scrittura a più mani si sente, soprattutto nella scena finale dove c’è proprio una totale personificazione tra attore e pubblico: io sono lei, lei è me.”
Ettore Iurilli: “Una cosa che, forse, può aiutare è che questo libro (Diario di un Dolore di Lewis) ha un bellissimo titolo in italiano, ha una sfumatura diversa dal titolo originale che è ‘A Grief Observed’ , tradotto letteralmente ‘Un dolore osservato’. Io che sono fuori dal palco rimando questa sfumatura perché è stato un lavoro che ha visto la collaborazione di tutti però c’è stato un lavoro di osservazione, tutti ci siamo osservati. Una cosa che secondo me anche da spettatore si nota”
Roberto Iacuzio: “Si, infatti è uno spettacolo in tema con il Festival che basa tutto sul tema confini/sconfinamenti, che qui ha come fulcro il dolore, non c’è qui quella divisione tra attore pubblico, sembra di stare in famiglia, anche l’inizio con il buffet conviviale che crea un’immagine familiare, essere parte integrante dello spettacolo.”
Francesco Alberici: “Grazie, questo è un complimento molto bello, creare una condizione di intimità è quello che avevamo in mente.”
Astrid Casali: “Quello che teniamo a mente è proprio la condivisione, la volontà di condividere quella cosa senza avere la presunzione di insegnarla oppure recitare una cosa ma condividere con la giusta misura quello che vuoi dire.”
Francesco Alberici: “Ritornando a quello che dicevamo prima, riferendomi alla tua (Federica) domanda sul rapporto con gli autori. Le fonti letterarie sono tante e varie, soprattutto grazie a Ettore (Iurilli) che è un lettore appassionato che ci ha suggerito una marea di libri e queste fonti hanno avuto diverse funzioni sulla costruzione dello spettacolo. Per esempio, in ‘Diario di un Dolore’ abbiamo preso degli estratti letti e abbiamo preso la struttura in quaderni, però un altro libro importante è stato ‘Davanti al dolore degli altri ’ di Susan Sontag che apriva un ragionamento sulla rappresentazione del dolore, su quanto è necessario rappresentarlo e di come ci si pone nei confronti del dolore di un’altra persona che non è il mio. Un altro libro che viene citato è ‘Vite che non sono la mia’ di Carrère’ con la frase che dico in scena: ‘Quella volpe che risucchia il plesso solare’ altro libro importante, già dal titolo paradossale che racconta la vita di persone attorno a Carrère e allo stesso modo nel lavoro, che io sento personale, la storia che prende tanto il centro non è la mia ma è quella di Astrid (Casali) dentro cui ci sono pezzi miei, pezzi di Ettore (Iurilli), pezzi di Enrico (Baraldi), ci sono tante cose. Poi abbiamo indagato anche la dimensione della perdita del padre, quindi un altro libro, bellissimo, che vi suggerisco di leggere, come a noi lo ha suggerito Ettore (Iurilli), è ‘L’invenzione della solitudine’ di Paul Auster, un libro dove l’autore racconta in maniera molto chiara la morte del padre ma che poi va da tutt’altra parte raccontando un pezzo su Pinocchio, di storia dell’arte, insomma lui non parla più del padre, ma tutto parla di suo padre. Gli autori con cui abbiamo interagito sono stati degli spunti per studiare le strutture per poter prenderle e ragionarci sopra, poi tutto avviene in maniera molto istintiva e naturale.”

Federica Mangano: “Veniamo da quasi 3 anni di pandemia, che peraltro ha aumentato il numero di persone con depressione e disturbi d’ansia; da mesi c’è una guerra, non solo una, che ha condizionato il nostro stile di vita; in Iran le donne stanno lottando contro un regime che non gli dà voce. In una condizione politica e sociale come quella che stiamo vivendo, qual è la necessità di parlare del dolore?”
Roberto Iacuzio: “Aggiungo: quanto è forte l’esigenza di parlare di dolore oggi? So che è una domanda da un milione di dollari, ma vogliamo capire tutte le fasi che hanno portato al lavoro visto ieri.”
Francesco Alberici: “Giusto per precisare, questo lavoro è nato nel 2018-2019 in un clima di pace e prima della pandemia. Il desiderio di parlare di dolore nasceva da me perché avevo vissuto dei momenti che per me erano stati molto dolorosi e c’era uno spettacolo che mi aveva molto colpito che si chiama ‘C’Est la Vie’ di Collectif Zerlib e Mohamed El Khatib in cui in scena due attori, che hanno perso entrambi un figlio, raccontano la loro storia. E’ uno spettacolo bellissimo, clamoroso che è stato illuminante.”
Roberto Iacuzio: “Ricorda uno spettacolo dell’anno scorso del Festival delle Colline Torinesi, si chiamava ‘Borborygmus’. Ricorda quella sensazione di portare fuori, esteriorizzare ciò che senti dentro”.
Ettore Iurilli: “Scusa, soprattutto volevo dire una cosa. Mi fa pensare il personaggio di Francesco (Alberici) nello spettacolo. Lui è riuscito, secondo me, anche a portare in scena una specie, indefinibile, di complesso che si ha di fronte ai traumi che ci vengono propinati quotidianamente. Quando voi parlate della guerra, questi sono fenomeni giganteschi che opprimono sia perché empatizzi, non riesci a capire la portata di questa catastrofe e dall’altro consideri i tuoi dolori come minore, ti senti quasi in colpa e Francesco riesce a portare molto bene questo complesso.
Roberto Iacuzio: “Infatti, io ho visto molto in Francesco la parte più comica, come una sorta di deus ex machina comico che decide il ‘gioco’.”
Ettore Iurilli: “Si, ma io intendevo anche il fatto di portare l’attenzione di quell’aspetto che le persone trovano quasi sconveniente: parlare del proprio dolore perché lo considerano piccolo rispetto a quello degli altri.”
Francesco Alberici: “Esatto, la soggezione di fronte al dolore altrui, che è la mia soggezione di fronte al dolore di Astrid (Casali) che io sento come legittimo, che per me è ha più ragione di essere rispetto al dolore che muove me, che nasceva dal fatto che io ero stato lasciato. È chiaro che una parte di te dice che questo è inaccettabile a fronte del fatto che ci sono delle ragioni di sofferenza che sono reali. La tua è irreale, però è anche vero che la stessa Astrid, di fronte ad altre storie come la perdita di un figlio, potrebbe sentirsi in soggezione, l’idea appunto del righello del dolore. Comunque, lo spettacolo è nato nel 2018-2019 prima della situazione attuale, Debuttando in pandemia quindi nel pieno delle restrizioni, sembrava un po’ sballato, parliamo di una roba così intima a fronte di una situazione in cui tutti provano dolore. È stato strano il debutto, però il desiderio di fare uno spettacolo così è nata da un’osservazione critica scritta di Maddalena Giovanelli di Stratagemmi che aveva scritto proprio riguardo a ‘C’est la Vie’ in cui diceva che in un mondo in cui tutti sono invitati, spinti a narrare i propri momenti di felicità e i loro successi, pensa a quello che vedi nei social, proprio in un grande principio di auto narrazione dove racconto che sto bene, che vado avanti e qui nasce la contro esigenza di narrare momenti di dolore, anche perché il dolore non è un imprevisto, noi guardiamo il dolore come una cosa che è successa, come per esempio frasi come ‘poverino, gli è morto il padre’ invece il dolore è parte della vita, è il rovescio della medaglia, è la cosa che ci rende umani, basti pensare a come si trattano le malattie, per esempio si dice ‘ha avuto un brutto male’ al posto di ‘ha un tumore’ e ciò si fa per discrezione, perché non si fa, è volgare e sconveniente, non nominandolo lo celi ma è una cosa di cui bisogna parlare.”
Federica Mangano: “Però dall’altra parte quando non succede in prima persona ti senti fortunata, cioè io mi sento male a pensare che ho avuto dei giorni tristi per una sciocchezza e poi penso a lei che sta male per una cosa seria, mi sento fortunata anche solo nel poter telefonare a mio padre la sera”
Astrid Casali: “Vero, quando ti passa accanto e non ti prende c’è anche questa cosa, mi ricordo mia mamma che una volta tornata da un funerale del figlio di una amica, mi ha abbracciata e detto che era contenta che io fossi viva. Volevo aggiungere che quello che abbiamo detto riguardo agli spettacoli è presente anche nel libro di Lewis dove dice che il dolore è fisico, esiste, è il sobbalzo dello stomaco, è l’irrequietezza. Questa è la cosa che mi interessa di più, il fatto che sia fisico, come il teatro, ti porta fuori di te, invece raccontarlo, non come sfogo ma come condivisione ti permette di liberarlo (il dolore) e di recuperare il corpo, in teatro questo funzione perché passi attraverso il corpo. La pandemia, per esempio, ha tolto tutto ciò che ha a che fare con il corpo, come il contatto. Anche il fatto che, durante lo spettacolo, racconto che da piccola mi facevo portare all’ospedale per ipocondria, anche lì vi è la paura, in quel caso di vivere, si palesa nel corpo. Questa cosa per me, attorialmente, è il pezzo che permette di esprime molto, di far uscire tanto, è catartico. Poi mettendolo in scena significa quasi fare un’operazione al contrario, per me non è concretizzare il dolore ma è il contrario, dare la possibilità, permettermi e permettere di trovare piacere nella condivisione,”
Francesco Alberici: “Astrid ha fatto un lavoro megagalattico perché tra noi lei è la persona che si è presa il carico di raccontare la propria storia, pur con delle modifiche, e di trovare un piacere nel raccontarla. Guardare la propria storia come una narrazione teatrale. E poi lei è quella che ha incarnato il desiderio di narrazione di tutti e quattro, si è fatta testimone in scena di ciò.”
Ettore Iurilli: “Voglio aggiungere una cosa, anche personale, ovvero che di Astrid mi ha colpito la generosità che ha avuto l’apice ieri durante lo spettacolo. Mi ha commosso tantissimo anche rivederla così, dopo tanto tempo. Ieri ho detto a Francesco che la cosa bella sua è che io ho osservato tutta la sua difficoltà in questi anni di prove dove si è confrontata – difficoltà che tu puoi capire fino a un certo punto. Devo dire che ieri la cosa che mi ha più toccato è il fatto che un’artista riesce a raccontare le cose con una leggerezza che permette a volte allo spettatore di liberarsi perché non ti sembra più innominabile quella cosa. Lei racconta una cosa terribile ma lo fa con una grazia, con una felicità, con generosità che permette a te di cadere. Lei non può cadere in quel ruolo, tu sai che è vera ma in quel momento sta fingendo per portarti una verità che ti arricchisce, che ti dà una possibilità di provare delle sensazioni catartiche e liberatorie. Per come si è sviluppato il lavoro conosco il percorso che Astrid ha dovuto fare. Questa cosa, questo lavoro, lo spettatore non lo vedrà mai. Sono stato uno spettatore privilegiato in questo senso e volevo aggiungere qualcosina in più.”
Astrid Casali: “Questo si lega anche a ciò che scrive Lewis ovvero che il dolore non è uno stato ma un processo. Io pensavo di descrivere uno stato, ma questo processo ha bisogno di una storia ed è proprio vero e questa la cosa bella del lavoro: il privilegio di aver potuto fare questo processo che ha messo un lavoro sincero.”
Roberto Iacuzio: “È proprio questa sincerità che noi volevamo riportare, questa deve essere un’intervista con due attori ma vogliamo che risulti, a noi almeno, come un dialogo tra amici in un pranzo, proprio per questo sentimento sincero e familiare che ci ha dato lo spettacolo.”
Francesco Alberici: “Ogni volta che vado a teatro e uno spettatore mi dice questo, per me è una conquista. Ogni volta che vado a teatro e trovo degli attori che mi fanno sentire a casa loro, loro amico, io sono felice.”
Federica Mangano: “Infatti ho notato proprio che non ci sono personaggi in questo spettacolo. Il teatro è fatto da attori che fanno finta di essere qualcun altro. Invece, tu eri Francesco e tu eri Astrid che raccontavate il vostro dolore. Questo mi ha fatto pensare al ruolo del personaggio e se questo è fondamentale a teatro. Prima senza personaggio non c’era teatro. Adesso forse questo è più stand up comedian che teatro.”
Francesco Alberici: “Per fortuna il teatro è un mondo caleidoscopico in cui c’è tutto e il contrario di tutto e quindi ci sono lavori in cui ci sono attori magnifici che interpretano personaggi e lo fanno bene e sono belli da vedere. Io ho lavorato, per anni, con Deflorian/Tagliarini e ne sono molto più condizionato, loro sono abituati a mettere sé stessi in scena anche se aggiungo che quando un attore porta sé stesso in scena è un’illusione prospettiva, cioè io ho un testo a memoria che ho scritto, sto recitando la figura di me stesso ed è un lavoro diverso dalla interpretazione del personaggio ma è sempre un lavoro che richiedere una competenza e un’attenzione diversa. Beh, ci sono stand up comedian che sono fuori di testa, come Louis CK o Ricky Gervais che sono fuori di testa. Ma anche in Italia, per esempio Paolo Rossi che porta in scena sé stesso, lui è uno degli attori più bravi in Italia, ti tiene un’ora così e qualsiasi cosa dice tu pendi sulle sue labbra. Comunque si, noi non abbiamo lavorato sulla creazione del personaggio, non è una scelta ideologica ma è funzionale alla scelta del racconto.”
Astrid Casali: “Ma, comunque, in fondo il personaggio cosa è? È una scrittura, non è che il personaggio esista di per sé, non è concreto. Quindi, in questo senso siamo noi ma in una scrittura precisa e ti metti in un’ottica in cui sai che rappresenterai quella cosa lì.”

Roberto Iacuzio: “Questa è una domanda per Francesco. Da pochissimo hai ricevuto il Premio Ubu e questo per ovvie ragioni genera delle grandi aspettative. Quanto questo premio è una spada di Damocle che dondola sopra la tua testa? Come lo vivi?”
Francesco Alberici: “A me ha fatto estremamente piacere vincere il Premio UBU. Sono stato contento, volevo vincerlo. È un premio. Ci sono una marea di attori della mia età che guardo e dico che vorrei essere come lui. Non è Dio che scende che ti illumina come miglior attore italiano per questo anno. Chiaramente sono molto contento, è una cosa che mi ha rassicurato a livello personale perché mi ha dato un riconoscimento. Fa piacere di brutto. Io però le aspettative le ho sempre avute alte. Io con la mia compagnia che si chiama Frigo Produzioni, dove lavoro insieme ad un altro premio UBU Claudia Marzicano, abbiamo fatto uno spettacolo sulle aspettative degli altri su di noi che si chiama Tropicana, un lavoro che nasceva dall’ansia di fare un secondo spettacolo dopo che il primo era andato molto bene. Le aspettative esterne sono una questione con la quali si impara a fare i conti per sopravvivere. Sicuramente si saranno alzate le aspettative ma sono abbastanza tranquillo. Esigo già parecchio da me stesso quindi capisci da te. Io lo vivo ancora bene. Sono parecchio felice di questo.”
Federica Mangano: “Quindi sei soddisfatto di questo spettacolo?”
Francesco Alberici: “Moltissimo, di questo spettacolo si, parecchio. Senza risultare presuntuoso.”
Beatrice Taranto: “Lo ricordi anche il giorno dopo, ti rimane impresso e quindi ne continui a parlare. Dicevo a loro (Roberto Iacuzio e Federica Mangano) che ci aspettavamo tutto un altro spettacolo. Ci aspettavamo uno spettacolo più tragico, drammatico invece sembra non esserci nulla di tutto ciò. Era anche divertente in certi punti ma nel finale era commovente, senza però la sovrastruttura di strapparci i capelli o stare male. Io mi sono rivista in questa cosa pur non avendo vissuto quella esperienza. Mi è piaciuto anche il fatto di legittimare il dolore personale, anche se piccolo o grande, è importante averlo fatto. Fa riflettere sul fatto che c’è il dolore, il quale va provato e si avanti evitando di sfogarsi.”
Francesco Alberici: “Che tipo di spettacolo vi aspettavate?”
Federica Mangano: “Devastante, io non avevo i fazzoletti ed ero terrorizzata ma poi mi sono messa a ridere quasi tutto il tempo e non me lo aspettavo. Mi sono sentita quasi accompagnata in questo viaggio nel mio pianto, perché alla fine abbiamo pianto.”
Francesco Alberici: “Questo ribaltamento dell’aspettativa vi è piaciuto?”
Beatrice Taranto: “Si, si, io volevo in realtà capire se invece il regista voleva come reazione il pianto isterico, lo strappamento di capelli o altro.”
Francesco Alberici: “Beh, noi non possiamo decidere la reazione del pubblico, possiamo fare delle stime o previsioni, ma sono soddisfatto del lavoro. Per me lo spettacolo di ieri è stato il migliore. Non c’era bisogno di fare un affondo nella tragedia.”
Astrid Casali: “Più che altro se c’è sempre una sorta di lieve distacco o leggerezza il pubblico si avvicina.”
Francesco Alberici: “La storia che racconta Astrid ha una componente molto forte ma se lei ti buttasse addosso tutta questa storia, tu, inevitabilmente, come pubblico di distanzi pensando continuamente che quella è la sua storia non la tua. Io perlomeno ho questo tipo di reazione, insomma, si. Portare il drammatico senza essere retorici è difficile.”
Roberto Iacuzio: “Infatti, il pubblico in questo spettacolo empatizza ridendo anche nel gioco di rottura della quarta parete, quando Astrid si butta in un pianto finto su una spettatrice oppure quando Francesco parla e sempre tu (Astrid) sei seduta in mezzo pubblico. Questo fa pensare che io pubblico sono te e te sei il pubblico.”
Francesco Alberici: “È difficile questa cosa, poi c’è chi è capace di affondare nel drammatico e crea lavori spettacolari.”
Ettore Iurilli: “Penso che sia anche un problema più ampio. Noi in Italia facciamo fatica ad accettare che ci sia un registro comico ‘serio’ ovvero spesso leggiamo delle cose che vogliono essere serie ma sono solo seriose. Si possono raccontare cose molto dure, profonde, difficili anche sorridendo, con un registro diverso, perché questo ha una dignità artistica che spesso in Italia non viene recepito. Non è un problema ma più una caratteristica, una sorta di tradizione che ad esempio la letteratura inglese non ha con i suoi racconti satirici. Noi no, se dobbiamo raccontare il dolore dobbiamo essere più contriti. Si palesa questa tendenza che probabilmente abbiamo anche sentito noi di ‘complesso’ del non ridere su queste cose, si può essere comici raccontando in modo leggero. Ci sono dei comici che riescono a dire cose straordinarie e profonde. Sia chiaro, il nostro non è uno spettacolo comico, ma questo ragionamento permette di parlare di cose serie senza essere seriosi”
Astrid Casali: “Proprio perché fa parte della vita, senza perdere la vitalità.”
Ettore Iurilli: “Poi questa cosa fa prendere il dramma nella quotidianità, cioè fa parte della vita di tutti i giorni, rendendo più umano e vicini.”
Francesco Alberici: “C’è la componente distintiva che è la tua identità artistica, non è definita, ma in un certo punto delle prove e del lavoro si decidono varie fasi come i palloncini o le testate. Perché senti tu che per raccontare quella storia sai che devi andare in quella strada e la nostra fortuna è stata Ettore che ha dato legittimità a tutte quelle scelte evitando l’iperdrammaticità raccontandolo in modo diverso, portando quello che sei.”
Beatrice Taranto: “Tu riesci quando la tua soggettiva la porti (in teatro) e diventa universale. Voi siete riusciti in questo e per me questa è una cosa molto bella.”

Ringraziamo Francesco Alberici, Astrid Casali e Ettore Iurilli per la loro disponibilità e per essere stati volentieri a pranzo insieme a noi. Ringraziamo Beatrice Biondi che ha permesso questo incontro facendo il tramite con la compagnia. Ringraziamo anche Locanda Leggera che ci ha fornito il luogo dove effettuare la registrazione e, ovviamente, pranzare.

Roberto Iacuzio, Federica Mangano, Beatrice Taranto

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