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CADUTO FUORI DAL TEMPO

Un uomo si alza all’improvviso da tavola, prende commiato dalla moglie ed esce per andare “laggiù”. Ha perso un figlio, anni prima, e “laggiù” è dove il mondo dei vivi confina con la terra dei morti. Non sa dove sta andando, e soprattutto non sa cosa troverà. Lascia che siano le gambe a condurlo, per giorni e notti gira intorno alla sua città e a poco a poco si unisce a lui una variegata serie di personaggi che vivono lo stesso dramma e lo stesso dolore. Questa è la storia e la trama dello spettacolo tratto dal libro di David Grossman, Caduto fuori dal tempo. Scritto nel 2011, il romanzo elabora la riflessione sulla perdita del suo secondogenito Uri, ucciso in missione da un missile anticarro sul fronte libanese nel 2006.

I numerosi personaggi presenti nel libro vengono tutti interpretati da Elena Bucci e Marco Sgrosso che incarnano più ruoli contemporaneamente: l’Uomo, la Donna, il Duca, una levatrice, un ciabattino e così via. Scelta forse discutibile, in quanto, nonostante l’evidente maestria e capacità attoriale dei due interpreti, non tutti questi ruoli si adattano al meglio a quella che è la predisposizione sia della Bucci che dello stesso Sgrosso. Elena Bucci è ad esempio perfetta come Scriba, incaricato dal Duca di prendere nota delle storie dei suoi sudditi che hanno perso i figli, meno nella parte della madre.

Lo spettacolo parte un po’ con scarsa spinta emotiva ma si sviluppa in un crescendo di sentimenti e di tensione grazie anche all’accompagnamento musicale dal vivo del fisarmonicista Simone Zanchini e ad un ampio uso della scenografia fatta non solo di molti oggetti e spazi ma soprattutto dall’utilizzo di proiezioni, luci e fumo in particolar modo nel finale. Grazie a queste tecniche scenografiche alla fine l’intensità del dramma di cui si fa carico il testo viene trasmessa anche allo spettatore ed è sicuramente di impatto, lasciando scosso chi guarda.

Irene Merendelli

dal testo di David Grossman edito in Italia da Mondadori / traduzione di Alessandra Shomroni / progetto, elaborazione drammaturgica e interpretazione Elena Bucci e Marco Sgrosso / regia Elena Bucci / con la collaborazione di Marco Sgrosso / musiche originali eseguite dal vivo alla fisarmonica Simone Zanchini / disegno luci Loredana Oddone / cura e drammaturgia del suono Raffaele Bassetti / ideazione spazio scenico Elena BucciGiovanni Macis, Loredana Oddone / elementi di scena e costumi Elena Bucci e Marco Sgrosso / trucco e consulenza ai costumi Bruna Calvaresi / assistente all’allestimento Nicoletta Fabbri / progetto a cura di Mismaonda / produzione Centro Teatrale BrescianoTPE – Teatro Piemonte Europa e ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione / collaborazione artistica Le Belle Bandiere / spettacolo realizzato con il sostegno di NEXT 2021

I DUE GEMELLI

Natalino Balasso, in questo adattamento di Goldoni, si serve degli stessi
meccanismi comici della commedia del 1747, per rileggerla in chiave
contemporanea. La nuova avventura dei gemelli veneziani è ambientata
negli anni Settanta del Novecento.

C’era una curiosa gemellarità nei giovani di quegli anni, i movimenti di protesta, gli studenti, i giovani operai si erano polarizzati su due fronti opposti: comunisti e fascisti, rossi e neri.

Tale operazione ha come scopo quello di rivolgersi alla nostra epoca,
riavvicinando il pubblico alle vicende e alle tematiche goldoniane, non
limitandosi a una semplice spolverata linguistica, ma a un vero e proprio
spostamento dei personaggi e dell’ ambientazione storica. Quella offerta
da Balasso pertanto non è una mera attualizzazione di un testo del passato ma una riflessione critica sulla nostra storia recente.

I 7 attori in scena sono impegnati in più ruoli, come nel caso di Ferrini che interpreta i due gemelli, rendendo molto bene i 16 personaggi del testo di Goldoni. Ciononostante è evidente fin da subito che i personaggi sono lontani anni luce dalla concezione delle maschere tipiche della commedia dell’arte, stereotipate e stilizzate. In questo caso, rispetto all’opera di Goldoni, siamo di fronte a personalità complesse, umane e fragili che mutano nel corso della vicenda. Caratteristica che si riflette anche nei costumi, non più quelli tipici appunto delle maschere ma un abbigliamento casual e moderno perfettamente adatto a queste nuove personalità.

Non è la prima volta che Ferrini si confronta con un testo di Goldoni, già nel 2012 aveva interpretato Siora Felice ne I Rusteghi prodotto dallo Stabile di Torino, che aveva visto anche lo stesso Natalino Balasso tra gli interpreti. Sicuramente la qualità recitativa di Ferrini spicca fra quella degli altri attori sulla scena, soprattutto per il modo disinvolto e naturale con cui spesso rompe la quarta parete per rivolgersi direttamente al pubblico.

Nonostante la scenografia sia piuttosto scarna e in generale poco illuminata, la frenesia e la recitazione piuttosto movimentata degli
attori riempiono lo spazio della scena senza creare o lasciare vuoti, sia fisici che narrativi.

Nel complesso il risultato finale è quello di uno spettacolo comico,
divertente e di piacevole ascolto. Impossibile uscire dalla sala senza aver
riso almeno una volta!

Irene Merendelli

Da I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni

con Jurij Ferrini, Francesco Gargiulo, Maria Rita Lo Destro, Federico Palumeri, Andrea Peron, Marta Zito, Stefano Paradisi

regia Jurij Ferrini 

costumi Paola Caterina D’Arienzo

scenografia Eleonora Diana

luci e suono Gian Andrea Francescutti

assistente alla regia Elisa Mina

promozione e distribuzione Chiara Attorre

produzione esecutiva Wilma Sciutto

Progetto U.R.T. in collaborazione con 53 festival Teatrale di Borgio Verezzi

Lo spettacolo è realizzato in collaborazione con Servizi Teatrali srl di Casarsa della Delizia (PN)

e con la fondazione Dravelli di Moncalieri (TO)

DOLORE SOTTO CHIAVE / SIK SIK, L’ARTEFICE MAGICO – CARLO CECCHI

Attore formidabile e regista scrupoloso, Carlo Cecchi porta a Torino Dolore sotto chiave e Sik Sik, l’artefice magico, due testi di Eduardo De Filippo, riuniti da lui in un unico spettacolo.

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PEACHUM. UN’OPERA DA TRE SOLDI – FAUSTO PARAVIDINO

Prosegue la tournée di Peachum. Un’opera da tre soldi, andato in scena dal 23 novembre al 5 dicembre 2021 presso il teatro Carignano di Torino. L’ultimo degli spettacoli scritti e diretti da Fausto Paravidino, in collaborazione con il Teatro stabile di Bolzano, che vede in scena Rocco Papaleo insieme ad attori provenienti da diverse scuole di recitazione d’Italia. L’obiettivo è rileggere in chiave moderna uno dei capolavori del secolo passato: L’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht, con musiche di Kurt Weill.

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INTERVISTA SERGIO ARIOTTI E ISABELLA LAGATTOLLA

In occasione della ventiseiesima edizione del Festival delle Colline Torinesi il Blog Teatro Dams intervista Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla, fondatori, curatori e direttori artistici. 

I blogger Erica Marchese ed Edoardo Perna parlano con loro dell’origine e della natura del Festival, chiedono anticipazioni sulla prossima edizione e suggerimenti per i giovani che si specializzano nella gestione e organizzazione culturale.

Video intervista a cura di Erica Marchese ed Edoardo Perna, montaggio di Micol Sacchi, blogger del Blog Teatro Dams.

EROS E THANATOS – DUE SPETTACOLI A CONFRONTO EDIPO.UNA FIABA DI MAGIA E TUTTO BRUCIA

“Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione”(Cantico dei Cantici 8, 6)

Le Pulsioni, secondo Freud, hanno come fine ultimo l’appagamento che porta allo sviluppo e alla crescita delle potenzialità adattive di quella parte dell’ego deputata al riconoscimento e all’attuazione del Principio di Realtà (L’IO).

In altre parole l’“Eros”, in quanto pulsione, per Freud indica una tendenza all’aggregazione una potenza creatrice strettamente legata alla libido che non solo diventa la forza creativa generatrice di vita ma che spinge l’essere umano verso un’integrità che in qualche modo lo definisce.

“Chi sono io?” questo chiede Edipo alla Sfinge.

Nello spettacolo Edipo. Una fiaba di magia vediamo un giovane soldato zoppicante che arriva dinanzi al velo della verità oltre il quale egli spera di trovare la risposta alla sua domanda esistenziale. Una volta risposto correttamente alla domanda della Sfinge egli strappa via il velo, bramoso di poter finalmente “possedere” la verità ma, trovando il Nulla, sconfortato e avvilito si accascia a terra, in un angolo, inerte come morto.

Sempre secondo Freud ciò che muove l’uomo non è e non può essere solo una pulsione libidica; dopo un’attenta osservazione Freud arrivò alla conclusione che, per esempio, nei comportamenti dei sadici e dei masochisti non c’è solo il piacere, ma anche una spinta alla distruzione, alla disgregazione. Freud approda così a una spiegazione della dinamica della società, basata sul contrasto tra i due principi della psiche umana, Eros e Thanatos.

Anche in Tutto Brucia c’è un velo sullo sfondo di un paesaggio devastato. Un velo pesante, denso, che rimanda alla consistenza di acque ataviche, amniotiche, dalle quali però vengono vomitati aborti, feti non compiutamente definiti, relitti di una società alla deriva, di maternità negate, di uomini bestia, di cadaveri bruciati che possono essere celebrati solo attraverso arcaici riti funebri di fagocitazione, fatti a pezzi e divorati per tornare a essere contenuti per sempre entro uteri sterili, profanati dalla violenza. Ancora una volta vita e morte, Eros e Thanatos.

Entrambi i lavori affondano le loro radici nel mito classico per raccontare la contemporaneità. L’uno -Edipo, per narrare l’aggregazione e la disgregazione di un’individualità; l’altra -Tutto Brucia, ispirato al mito delle Troiane, per narrare l’aggregazione e la disgregazione di una collettività.

Per capire “perché il mito?” dovremmo probabilmente prima provare a rispondere ad altri quesiti: cos’è un mito? Da dove viene? Come nasce? Cosa lo mantiene in vita nel tempo? In che direzione si muove? Fino a che punto lascia in noi un segno e fino a che punto siamo noi a lasciare un segno nel mito stesso? Una sintesi che può risultare efficace ai fini del nostro ragionamento la troviamo nelle TecheRai proprio nella sezione dedicata al mito:

“Il mito classico, in ogni epoca, ha costantemente esercitato la funzione di fissare archetipi di tutti i comportamenti umani e, proprio per questo, ha da sempre rappresentato uno degli elementi fondamentali per fornire una connotazione socioculturale ai vari periodi storici. I miti, infatti, pur basandosi su qualcosa di interamente rivelato, tendono a produrre una forza creatrice regolare e incessante sull’azione umana. […] Il mito determina e subisce tante proiezioni e trasformazioni nel tempo quante sono le vite e le menti che influenza. Pertanto, quando si impone nel contesto temporale di un dato periodo, il mito intesse rapporti di interdipendenza con la letteratura, l’arte, il teatro, la psicologia, i rapporti sociali, incarna scopi, tempi, luoghi e circostanze di fruizione, assurge e esegesi di modelli di comportamento quotidiano e dà vita a molteplici interpretazioni di sé stesso. In tal modo i grandi archetipi umani, si chiamino Edipo, Cassandra, Ecuba, (nomi modificati in funzione della trattazione – ndr) pur improntando su di sé i vari periodi storici con interpretazioni contingenti, assumono connotazioni perenni al di là di ogni epoca”.

Il fascino del mito e il ricorrere ai suoi paradigmi risultano perciò sempre attuali nel loro originario tentativo di risolvere il mistero dell’esistenza.

Interessante è inoltre notare come entrambe le pièce si siano affidate a terre desolate, alla polvere di una memoria che si tende a preservare come monito ma che sembra non essere sufficiente a evitare gli errori del passato.

Edipo entrerà nella terra afflitta da erosione e morte dove un tempo c’era “un prato fiorito” e dove la speranza di una rinascita è racchiusa nella promessa di una vendetta.

Anche nella tematica delle Troiane (Tutto Brucia), in quell’inferno statico di morte, dove tutto è già accaduto, la speranza sembra affidata alla sola certezza profetizzata della futura disfatta degli usurpatori.

In questo eterno conflitto tra Eros e Thanatos, in entrambi gli spettacoli, sembra avere la meglio la morte, la forza disgregativa. Dov’è finito Eros? Allora è necessario che Tutto Bruci, per far tornare in quelle fiamme l’ardore della passione, fiduciosi che quelle ceneri, innaffiate dalle lacrime, possano essere il giusto nutrimento per una terra “assopita” che possa ritornare ad essere un prato fiorito, perché il sacrificio non vada sprecato, perché la lezione appresa a caro prezzo non vada perduta.  

Eros e Thanatos sono due facce della stessa medaglia e la Vita non può che esistere in questa frattura, su questa fragile e sottilissima linea tra Essere (assoluto ed eterno) e Non-Essere.

Nina Margeri

MEMORIE DEL SOTTOSUOLO – MARCIDO MARCIDORJS E FAMOSA MIMOSA

Da martedì 16 a domenica 21 novembre, al Teatro Gobetti, va in scena Memorie del sottosuolo, adattamento drammaturgico e regia di Marco Isidori, dall’opera omonima di Fëdor Dostoevskij. Il romanzo è passato alla storia come l’ennesima aspra riflessione sulla condizione umana, in particolare nella sua presunta inconciliabilità tra “volontà” e “ragione”, e tutte quelle convenzioni umane che per mezzo di quest’ultima si giustificano: scienza, tecnica, organizzazione sociale. Il positivismo ottocentesco, le speranze nell’edificazione di un mondo più giusto, dunque più prevedibile e quindi più “agibile”, sono contraddette dai sofismi del protagonista – logici quando sufficienti, meramente volontaristici quando necessari: 2×2 può anche fare 5, e non sarebbe poi così male! L’opera prende la forma di un discorso-fiume, un dialogo artificiale che il protagonista intrattiene con dei presunti destinatari di cui lui stesso formula domande e risposte.

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TUTTO BRUCIA – MOTUS

Dopo Alexis. Una tragedia greca (2010), rilettura dell’Antigone alla luce della crisi greca, Motus, Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, torna a confrontarsi con una grande opera del teatro antico: Tutto Brucia “pone la questione fortemente politica di quali siano i corpi degni di lutto”, a partire da Le troiane di Euripide.

Qui tutto è polvere, e acqua; l’erosione del tempo, la violenza delle onde, metalli e fuochi della guerra hanno polverizzato una città dell’Asia. La scena è cosparsa di cenere, sullo sfondo una membrana nera come un mare verticale vomita forme di vita, sciacalli e bestie marine s’aggirano fra le rovine degli abissi a dilaniare gli annegati; forse sulla terraferma, a smembrare i corpi carbonizzati. Sulla spiaggia di cenere le donne superstiti attendono il verdetto dei vincitori. Cosa faranno di loro gli stranieri? Le imbarcheranno sulle navi e poi verso l’Europa, saranno il bottino di guerra. Allora gridano e imprecano contro il destino che le ha fatte prima regine, poi schiave in terra straniera – “a fare le puttane[…] a pulire il culo ai vecchi”.

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SONORA DESERT – MUTA IMAGO

Martedì 9 e mercoledì 10 novembre, per il Festival delle Colline Torinesi, è andato in scena alle ‘Lavanderie a vapore’ di Collegno, lo spettacolo Sonora Desert della compagnia Muta Imago, composta da Claudia Sorace (regista) e Riccardo Fazi (drammaturgo/sound designer).

«È la prima volta che realizziamo un lavoro dove non c’è il teatro, non c’è la performance, non c’è un evento dal vivo di fronte allo spettatore, ma c’è un’esperienza proposta direttamente su di te che la fai» dice Riccardo Fazi, che si è gentilmente fatto intervistare.

Il nuovo spettacolo dei Muta Imago è un’installazione allestita in tre diverse stanze. Cinque, se si prendono in considerazione anche la stanza di ingresso, in corrispondenza della biglietteria, e l’uscita, dove si depositano e si recuperano gli effetti personali riposti in appositi contenitori trasparenti. 

«È una scommessa che richiede una disponibilità da parte di chi partecipa.»

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SUNNY SUNDAY (LAST BUT NOT LAST) – LINA MAJDALANIE E RABIH MROUÉ

Il pubblico del Festival delle Colline è invitato alla Fondazione Merz ad un matrimonio molto strano che mescola vivi e morti, finzione e realtà, fiaba e politica. Lina Majdalanie e Rabih Mroué ci trasportano in una domenica di sole, nel 2016, in una piccola chiesa, in una piccola città della Polonia. Si tratta di un fatto realmente accaduto: la commemorazione del militare polacco e eroe nazionale Witold Pilecki. Ricordato in particolare per essersi infiltrato, durante la Seconda Guerra Mondiale, nel lager di Auschwitz, tre anni dopo la fine della guerra fu condannato a morte e trucidato per ordine del regime sovietico.

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