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Il combattimento di Tancredi e Clorinda- Torinodanza Festival 2024

Nella Sala Piccola delle Fonderie Limone è andato in scena il 20 ed il 21 settembre lo spettacolo Il combattimento di Tancredi e Clorinda, una co-produzione del Torinodanza Festival. Un piccolo gioiellino la cui narrazione si concentra sul contrasto tra amore ed odio e le emozioni che li accompagnano. Struggimento, paura, rancore e risentimento, vengono elegantemente rappresentati dai ballerini Gador Lago Benito e Alberto Terribile, accompagnati dall’intensa performance canora del tenore Matteo Straffi e del clavicembalista Deniel Perer. Quattro interpreti per 25 minuti di spettacolo, commovente, profondamente sentito. Uno spettacolo dalle vibrazioni antiche. La dolcezza e la naturalezza dei movimenti regalano autenticità ad una vera storia d’amore, finita nel peggiore dei modi. L’affetto profondo talvolta ci svela la profondità di chi ci si pone d’innanzi, rendendoci però ciechi, nel vederne le oscurità. Una storia d’amore destinata alla tragedia, un raggio di realtà indiscussa, una rappresentazione della guerra più antica del nostro mondo, quella contro noi stessi e la persona che amiamo, l’unica, talvolta, ad avere il potere, di renderci completamente vulnerabili. Tancredi e Clorinda, ci confermano nuovamente quale sia l’esito di un buio che incombe inaspettato, quando le certezze su cui abbiamo umanamente costruito ogni nostra aspettativa, decadono.

Poco quindi lontan nel sen d’un monte

scaturia mormorando un picciol rio.

Egli v’accorse e l’elmo empiè nel fonte,

e tornò mesto al grande ufficio e pio.

Tremar sentì la man, mentre la fronte

non conosciuta ancor sciolse e scoprio.

La vide e la conobbe: e restò senza

e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

Non morì già, che sue virtuti accolse

tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,

e premendo il suo affanno a dar si volse

vita con l’acqua a chi col ferro uccise.

Mentre egli il suon de’sacri detti sciolse,

colei di gioia trasmutossi, e rise:

e in atto di morir lieta e vivace

dir parea: “S’apre il ciel: io vado in pace.”

Una pedana è protagonista del palcoscenico, dalla forma circolare, bianca, rappresenta un mondo, forse il loro. Col volto coperto, i due amanti- combattenti, lottano, corrono e si rincorrono, fuggono e si cercano. Il suono di ogni passo sulla pedana ricorda un battito del cuore, mi sovviene alla mente il suono onomatopeico del ritmo cardiaco, un’eco dall’inesauribile forza e costanza. Ad un tratto il  suono si ferma, il cuore non batte più, la battaglia è terminata e l’amore con esso. Una corda unisce indissolubilmente i due amanti, che cinti in vita da essa, si incastrano e si intrecciano, si scontrano e si liberano ma senza mai allontanarsi davvero. L’anatomia dei corpi dei ballerini, restituisce il più alto ideale della carne: attrazione e rifiuto, bellezza, possenza e virtù ed  allo stesso tempo, come nell’opera: L’anatomia di un abbraccio di Luna Lu, lo spettacolo, ci regala la possibilità di indagare le anime di Tancredi e Clorinda e vedere due cuori legati ma fragili. Il coinvolgimento che ho provato è stato per me un coinvolgimento totale, ogni nota del canto, scritto da Torquato Tasso, era intrisa di suspense e attesa, la danza, dai movimenti puliti e precisi, ha reso la narrazione chiara e limpida. Una storia quindi che tocca l’anima di ognuno di noi che abbia conosciuto nel suo viaggio di vita l’amore e l’innamoramento e che abbia fatto anche i conti con la perdita, il dolore di un errore e la delusione.

Tancredi e Clorinda sono un paradosso che abita ancora i giorni nostri e che credo fermamente non morirà mai, uno spettacolo quest’ultimo che celebra la sconfitta come libertà e la vittoria come condanna. Le sconfitte  ci liberano e aprono davanti a noi le strade più luminose, come Clorinda che ora, troverà la sua pace. La vittoria invece, accecante, ci richiede un prezzo da pagare, talvolta la nostra stessa esistenza.

Rossella Cutaia

regia e visual Fabio Cherstich
coreografia e movimenti scenici Philippe Kratz
musica Claudio Monteverdi
danzatori Gador Lago Benito, Alberto Terribile
tenore Matteo Straffi
clavicembalo Deniel  Perer

CENCI. RINASCIMENTO CONTEMPORANEO – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA

CENCI- rinascimento contemporaneo, tra passioni e crudeltà

Torino, 15 ottobre 24, ore 19:30. Teatro Gobetti – Festival delle Colline Torinesi: Cenci, rinascimento contemporaneo
Suoni stridenti, un motivetto rinascimentale risuona nel teatro.
Il racconto si avvia come eco e ricordo proveniente da una tomba.
Maschere fisiche e metaforiche danno inizio alla rappresentazione cupa e tragicomica ambientata a Villa Panfili nella Roma di fine Cinquecento.
Un’aria inquietante attraversa la platea, il gelo di una storia brutale sembra fermare il tempo e tenere tutti in sospeso.

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CENCI. RINASCIMENTO CONTEMPORANEO – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA

Ha svegliato nervi e cuore!

Per dissotterrare il sentimento e farci udire l’urlo di dolore, l’immedesimazione (dell’attore nel personaggio e dello spettatore nel personaggio) è l’unica via percorribile?
Non riesco ad abbandonarmi al sentimento: ecco, forse, la dimensione politica di Cenci. La denuncia è fortissima, certamente. Ma se per pungolare le coscienze e scuotere gli animi fosse sufficiente la cronaca dei fatti (il “che cosa”) allora perché ricorrere a quello strumento, potente e pericoloso, che è il teatro? Basterebbe un testo ben scritto sulla storia di Beatrice Cenci. Il punto è che qui a essere politico è il “come”, cioè il modo in cui Piccola Compagnia della Magnolia sceglie di restituire la vicenda sulla scena.

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LA LUZ DE UN LAGO – EL CONDE DE TORREFIEL


Presentato con Piemonte dal Vivo in condivisione con Torinodanza

Il 12 e 13 ottobre 2023 lo spettacolo LA LUZ DE UN LAGO della compagnia catalana EL CONDE DE TORREFIEL è andato in scena presso il Teatro Astra, in occasione della 29esima edizione del Festival delle Colline Torinesi.

El Conde De Torrefiel è una compagnia fondata a Barcellona nel 2010 da Tanya Beyeler e Pablo Gisbert. Il loro lavoro si articola attraverso varie collage di performance metafisiche tra video, pittura, suoni, luci.

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Dopo il precedente lavoro Imagen interior questo spettacolo concentra il progetto come essenza minimalista artefice di una visione narrativa concentrata sui sensi dello spettatore. 

El Conde si rifugia in una sala cinematografica. “Questo è un film” dice la voce fuori campo all’inizio del pezzo, di fronte a uno spazio vuoto scenografato da diversi pannelli bianchi che serviranno per proiettare le storie. 

La musica, i suoni, le immagini in distorsione e le didascalie fanno da catena alla piece multimediale, un esperimento sonico e visivo all’interno di un programma multidisciplinare che tocca i sensi dell’essere umano.

Si passa dalla musica underground Atrocity Exhibition dei Joy Division degli anni ’80, ad Angels dei Massime Attack per finire al Vendredì di Flavier Berger del 2015. Questo è il lasso di tempo musicale: l’educazione tragico sentimentale di diverse generazioni temporali sfocia poi con un action shit painting.

Da lì nasce la storia di due ragazzi di 23 anni a Manchester nel 1995, che dopo un concerto dei Massive Attack (Angel fa da colonna sonora alla prima storia) decidono di andare al tempio della musica del momento, il mitico New Osborne. Lì, quei giovani scopriranno il suono tecno del loro tempo. Cito da un’intervista fatta al El Conde dal giornalista Pablo Caruana Húder e pubblicata su un periodico spagnolo:

“Una musica semplice, costante e ripetitiva, senza variazioni, senza complessità. Musica che non ha testi, musica che non ti dice nulla, musica che non intellettualizza, musica che non ti inganna, musica che ti penetra e soprattutto musica con volume. Un colpo grave, ritmico, continuo che ricorda la semplicità del tempo e allo stesso tempo la complessità del tempo”. E ancora: “Una marea di persone agita i loro corpi allo stesso ritmo. Invocano la complessità del tempo e ballano volendo scomparire…” Una storia di amore, corpi e LSD. Questa prima storia ci parla di quel passato in cui una generazione si è aperta al mondo quando Margaret Thatcher disse “La società non esiste, esistono solo gli individui…” I testi e la voce femminile che narra la storia procedono a ritmo diegetico.

Da lì, verranno altre storie che proseguono sulla sottile linea tra finzione e realtà. Nella seconda un impiegato di banca che, in un cinema sperduto in una Atene d’inizio crisi del 2006, vede un film sulla gioventù anni’80 incontra ripetutamente un tizio più giovane di lui: il tutto viene commentato da una voce narrante over. Questa gay story potrebbe omaggiare il cinema di Fassbinder con un finale ardente. Nella terza storia troviamo una biologa marina trans che tornando a casa legge una lettera lasciatagli dalla nonna morta, che si conclude con “Non aver paura”. Le didascalie ci accompagnano mentre un performer con gesti lenti tinge di nero due pareti bianche, come se ci volesse dire che l’inclusività non esiste.

Infine la quarta storia, ambientata nel futuro, esattamente nel 2036 a Venezia, al teatro della Fenice, dove in mezzo ad un dramma dai contenuti social environmental, irrompono in scena degli eco-attivisti smerdando gli spettatori in sala. Una storia che è anche un epilogo di riflessione meta-artistica, nel solco dei Friday for Future.

Non c’è trucco non c’è inganno, non esiste nessuna quarta, quinta , sesta parete tra le storie. Esistono solo pochi grandi pannelli che intrattengono il pubblico; le quattro storie si aprono e chiudono con l’aiuto dei tre attori in scena che svolgono con lentezza i movimenti dei cambi scena, sotto gli occhi degli spettatori, muovendo i pannelli fino ad arrivare ad un finale simile ad una installazione da happening d’arte concettuale.

Le didascalie, veri e propri testi, sono asciutti e vanno a ritmo seguendo una narrazione che non è parlata, non ci sono mai dialoghi: “I personaggi che non hanno immagine e sono solo parole sono come gocce d’acqua attraversate dalla luce che le fa brillare per un istante e poi le riporta alle profondità dell’anonimato” come lo sono i tre attori sul palco. Non succede nulla in scena e allo stesso tempo tutto accade. Non è teatro in senso classico, è un modo di rappresentare il disagio di un universo giovanile e il pubblico s’interroga se vale la pena di soccombere o combattere per una società consona ai nostri ideali. 

El Conde ha voluto che fosse il pubblico a sviluppare il film durante lo spettacolo, per essere trasportato in un virtuale “Luz de Un Lago”. Sarebbe stato interessante, da un punto di vista soggettivo, dare forse più enfasi ai quattro episodi con maggiori sottolineature musicali. La fine è come uscire dalla sala cinematografica perché la Compagnia annulla il rito di  ringraziamento con gli spettatori.

Luigi Rinaldi

  • regia e drammaturgia Tanya Beyeler e Pablo Gisbert
  • scenografia La Cuarta Piel (César Fuertes, Iñigo Barrón García, Ximo Berenguer), Isaac Torres, El Conde de Torrefiel
  • performer Mireia Donat Melús, Mauro Molina, Isaac Torres
  • sculture Mireia Donat Melús
  • coordinazione e direzione tecnica Isaac Torres
  • suonoRebecca Praga, Uriel ireland
  • luci Manoly Rubio García
  • video Carlos Pardo, María Antón Cabot
  • distribuzione e produzione Alessandra Simeoni
  • una produzione CIELO DRIVE – Alessandra Simeoni
  • con il supporto di ICEC – Generalitat de Catalunya, Festival TNT, Terrassa Teatre Principal de Lloret de Mar
  • coproduzione Festival GREC – Barcelona, CC Conde Duque – Madrid, Théâtre St. Gervais – Genève, Teatro Municipal de Porto – Rivoli, Festival d’Automne – Paris, Festival delle Colline Torinesi, Teatro Metastasio di Prato, VIERNULVIER – Gent