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rumori fuori scena

Apre la stagione del Teatro Stabile di Torino Rumori fuori scena, cult comico di Michael Frayn che svela i meccanismi
che si celano dietro al funzionamento della macchina teatrale: fulcro della vicenda sono le difficoltà della messa in scena del
testo e le rocambolesche dinamiche relazionali che intercorrono tra gli attori .
La prima rappresentazione avviene a Londra nel 1982, trasformandosi in un successo internazionale che
troverà spazio l’anno successivo anche in Italia (Roma). Il testo è stato soggetto anche ad un adattamento cinematografico nel 1992 dal titolo Noises off.


Con questo spettacolo torna sul palco Valerio Binasco, direttore artistico dello Stabile di Torino, dopo un periodo di assenza dedicato unicamente alla regia.
Paradossalmente, il suo ritorno come attore avviene nel ruolo di un regista che allestisce una pièce teatrale: Rumori fuori scena è infatti una commedia metateatrale , di teatro nel teatro, che mette in
scena le vicissitudini di una compagnia teatrale durante le prove e l’allestimento dello spettacolo “nothing on”- “niente addosso”.
Binasco, nei panni di attore- regista (sia nella vita che sulle scene), dirige una commedia divisa in tre atti: allestimento, debutto e tournèe. Il pubblico sbircia dietro le quinte della rappresentazione e nella vita degli attori, tra i loro desideri e le loro rivalità: un dietro le quinte che si manifesta come mondo opposto e speculare a quello in cui siamo abituati a vivere.


Il target a cui aspira è quello della commedia all’ italiana: Rumori fuori scena è il suo tentativo di ricreare la comicità delle sitcom americane, parlando però di teatro e, nello specifico, di teatro nel teatro. Il teatro come luogo di narcisismi e controversie, come luogo in cui verità e finzione si scontrano in una strana lotta
in cui il vero non esiste, e la leggerezza regna sovrana.


“Sembra che la missione poetica del teatro comico borghese sia quella di dare vita ad un mondo normale,
del tutto simile al nostro, ma dove il male e il peccato non appartengono al diavolo ma bensì agli uomini.”


Una “missione” che ha dentro di sé ben più del semplice e puro intrattenimento: una lotta contro la comune pesantezza del vivere. Rumori fuori scena incarna in questo senso le caratteristiche tipiche del genere comico borghese: la molteplicità di situazioni che si manifestano e si sviluppano durante lo spettacolo ci mostrano come il senso di colpa e di responsabilità siano del tutto assenti nella rappresentazione, nonostante i personaggi siano “ordinari” e perfettamente integrati nel mondo.
Binasco tenta così per una volta di di abbandonare i toni cupi a cui solitamente propende per dedicarsi invece ad una delle commedie più straordinariamente vitali ed esilaranti del teatro contemporaneo.

L’interesse di Binasco per il testo di Frayn nasce dalla volontà di parlare della vita degli attori, delle loro passioni: il suo è infatti un teatro d’attore, in cui si percepisce che il lavoro teatrale sia basato in gran parte sull’attore stesso. Il teatro d’attore come celebrazione dell’accadimento teatrale, dell’arte dell’attimo
presente. Sua intenzione è che lo spettatore nell’ascolto e nella visione dello spettacolo si “scomponga” e si chieda che cosa sta accadendo, senza lasciarsi trasportare dall’accadimento teatrale ma essendone fautore egli stesso.

Mentre gli spettatori entrano in sala, troviamo il sipario aperto con gli attori già in scena. Il pubblico si sistema, chiacchiera e prende posto noncurante del fatto che lo spettacolo sia in realtà già iniziato: gli attori recitano, quello che prende forma di fronte ai nostri occhi è già un accadimento teatrale. Si inserisce però un elemento tipico del teatro di regia, che si impone sull’attore: uno dei personaggi femminili ad esempio (Brooke) recita ugualmente le battute del copione nonostante la rappresentazione abbia preso una piega diversa e le parole abbiano perso di significato nel nuovo contesto in cui vengono inserite.

Il ritmo dell’azione teatrale sembrerebbe concitato, ma nell’apparente caos che il testo vuole portare tutto trova un suo posto (tutto tranne le sardine, che costituiscono l’unico inghippo che non trova incastro nella rete di meccanismi) e scorre senza problemi.
Binasco crea un congegno impeccabile di entrate ed uscite : una commedia fatta di porte, quasi musicale nel loro chiudersi e aprirsi continuamente, creando un dispositivo di ingranaggi che si muove in
maniera perfetta .


“ è una questione di ritmo, che è fondamentale in questo tipo di teatro. Produrre un effetto comico non
vuol dire per forza adattarsi ad un ritmo indiavolato.. ci sono anzi continue frenate di ritmo. Quando c’è
grande comicità il ritmo non accelera, si placa.”


Un riconoscimento va, oltre alla splendida elaborazione di Binasco, anche al lavoro sulle scene di Margherita Palli, che contribuiscono all’ eccellente riuscita dello spettacolo, e alla bravura degli attori che
riescono a destreggiarsi in un testo pieno di insidie e di complessi meccanismi.


Testo di Michael Frayn, traduzione di Filippo Ottoni
Regia di Valerio binasco
Scene: Margherita Palli
Costumi: Sandra Cardini
Luci: Pasquale Mari
Attori: Milvia Marigliano, Andrea Di Casa, Francesca Agostini, Nicola Pannelli, Elena Gigliotti, Fabrizio Contri,
Valerio Binasco, Ivan Zerbinati, Giordana Faggiano.
Teatro Stabile di Torino con il sostegno della fondazione CRT.

Ilaria Stigliano

Rumori fuori scena

Rumori fuori scena, titolo originale Noise off è una commedia scritta dal drammaturgo britannico Michael Frayn nel 1977, che ha avuto, e continua ad avere, un successo clamoroso: tradotta in 29 lingue è la commedia più rappresentata del Novecento e nel 1992 è diventata un film diretto da Peter Bogdanovich.
Non è difficile immaginare il motivo di questo successo: si tratta di una commedia che porta lo spettatore nel dietro le quinte svelandogli i segreti di una stravagante compagnia che racchiude in sé tutti i “tipi” umani: il dongiovanni, la bella e frivola, l’insicuro, l’ottimista e l’ubriacone.

È l’intreccio di due linee narrative, che mette in luce la semplicità nell’uomo, influenzabile e anche disarmato quando si parla di sentimenti, battibecchi e pettegolezzi. Ci viene presentata infatti una compagnia, traboccante dei caratteri-cliché di cui dicevamo, con la loro farsa che, con forza di volontà e buone intenzioni, sta mettendo in scena: Niente Addosso di Robert Hausemonger (titolo e autore sono inventati dallo stesso Frayn). Il tutto però è mescolato e strettamente collegato con le dinamiche personali tra gli attori, che nascono, fioriscono e interagiscono continuamente con il loro lavoro. Sembra insomma di ritrovarsi davanti a una classica tele novelas con i colpi di scena, le storie d’amore, i tradimenti, l’imbranato e via discorrendo, con la differenza che si è a teatro. Proprio per questo suo tono è inevitabile che i personaggi siano parecchi; se escludiamo il regista, Lloyd Dallas (interpretato da Fabrizio Martorelli), il direttore di scena Tim Allgood ( Ettore Lalli ) e l’assistente di scena Poppy Norton Taylor ( Lia Tomatis ), gli altri attori si trovano ad avere un doppio ruolo:
Dotty Otley, nello spettacolo La signora Clackett ( Daniela de Pellegrin ), Garry Lejeune, nello spettacolo Roger Tramplemain, ( Claudio Insegno ), Brooke Ashton, nello spettacolo Vicky (Carlotta Iossetti ), Frederick Fellowes, nello spettacolo Philip Brent e Lo Sceicco (Andrea Beltramo), Belinda Blair, nello spettacolo Flavia Brent (Carlotta Viscovo), Selsdon Mowbray, nello spettacolo Lo Scassinatore (Guido Ruffa).
La commedia, divisa in tre atti, si apre con una musichetta leggera, con l’entrata di quella che pare una donna di casa intenta a prepararsi a guardare la tv, comodamente sul divano, con giornale e acciughe, approfittando dell’assenza dei padroni. Lo spettatore inizia così, come naturale, a concentrarsi, per capire chi sia, quale sia il suo rapporto con la casa, con il lavoro, insomma mette in moto i classici meccanismi per cercare di crearsi il nodo iniziale da cui far partire il filo della storia. Per questo rimane quasi scombussolato, dopo cinque o sei minuti, all’irrompente voce che grida dalla platea. Il castello di ragionamenti viene bellamente buttato giù e ci si rende conto di trovarsi in una situazione meta teatrale con il regista che interrompe la scena. La mente allora scatta e capiamo di assistere alle prove generali, disperate della compagnia che da quel momento in poi ci porteranno all’interno di un perfetto meccanismo di equivoci, tra la commedia Niente addosso e gli errori degli attori, tanto che la fine del primo atto coincide con la fine del primo atto della commedia.

Nel secondo atto, invece, la situazione si capovolge. Il pubblico non si trova più dalla parte degli spettatori, ma è invitato a spiare dietro le quinte, dove si troverà faccia a faccia con le dinamiche sentimentali, i litigi e le piccole vendette degli attori, che inevitabilmente andranno a condizionare l’andamento dello spettacolo. Sapendo già le dinamiche della farsa, però, che si sente echeggiare dietro le scenografie, ci si sente quasi complici del disastro. L’aprirsi delle porte, l’entrare, l’uscire, gli oggetti di scena che cadono, si impigliano, rianimano nella memoria di chi guarda il loro ruolo nello spettacolo, ruolo che, ovviamente, andrà perso per via degli attori impulsivi e ormai completamente persi nelle loro sfere personali di vita quotidiana.

Nel terzo atto, il nostro sguardo viene nuovamente ribaltato. Si rivede il palco con la scenografia della casa, il divano, il tavolino e la tv. Ci si rende anche conto della degenerazione che ha avuto il tour di questa compagnia grazie a quella messa in scena che, organizzata in modo casuale, disordinato e sporco, grida pietà. Per la terza ed ultima volta ci si riprepara così a godere di Niente addosso resa ancora più esilarante dall’aumentare dei litigi nel retroscena che dirompano nel quadro in piena vista al pubblico.
Nel finale, quando ormai sembra impossibile recuperare la situazione, tutto si sistema per il meglio, come in ogni commedia che si rispetti. I personaggi infatti, si ritrovano imbarazzati tutti sulla scena, persino il regista, che aveva affermato più volta di non volerne sapere più nulla, all’ultimo si veste come può ed entra in scena cercando di recuperare le fila di quella commedia naufragante.

Nella regia di Claudio Insigno, gli effetti comici sono portati sul palcoscenico con estrema maestria; lo spettacolo è una continua risata dall’inizio alla fine, grazie alla caratterizzazione comica dei personaggi e ai ritmi sostenuti.
La scena, curata da Francesco Fassone, e i costumi, di Barbara Tomada, ci riportano ad un teatro tradizionale, in cui la scenografia è realistica e costruita, e i costumi rappresentativi del ruolo, cosa al giorno d’oggi alquanto rara.
Uno spettacolo famigliare, che mira allo svago, all’alleggerire la mente e fa sentire lo spettatore un’ospite ben accolto, in un umile, semplice e sentimentale compagnia allo sbaraglio.

Lara Barzon e Gisella Grandis