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Turbolenze di emozioni in Raffiche

 

Non capita spesso di sentirsi direttamente trasportati in un presente così sensibilmente vivo, quasi tangibile e assolutamente reale da sentirsi fisicamente in un altro luogo e in un altro tempo.

Tutto è iniziato in medias res al “Le Petit Hotel” di Torino, il pubblico si trovava nella sala d’attesa dell’albergo quando una delle sette gangster, abbracciando un mitra con aria violenta e seducente, compare per invitare una parte dei presenti ad entrare nell’ascensore e, automaticamente, a rendersi partecipe del crimine.

Ci ritroviamo così in una delle camere dello “Splendid’s Hotel”, nome dello stesso testo teatrale di Jeane Genet che ha trovato nella regia di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò una reinterpretazione originale e accattivante.

I complici vengono fatti accomodare e udendo dalla radio in scena, sempre accesa quasi da essere centrale nella storia, alternando notizie a musiche-colonna sonora, i comunicati stampa che le Raffiche inviano ai giornali-radio, comprendono di trovarsi intrappolati e accerchiati dalla polizia che da tempo cerca di identificare e catturare il gruppo di rivoltose.

Le Raffiche si presentano infatti come un gruppo di creature eleganti di non genere, o di donne in vesti da uomo o forse ancora come uomini in corpi di donne contro gli stereotipi, i divieti e le imposizioni di una società opprimente a cui non ci si deve adeguare mai,a costo di morire. Sono un gruppo di sovversive che ha scelto di non identificarsi in favore della libertà dagli schemi di genere e di ruolo.

Nella stanza è presente il cadavere di una ragazza che le Raffiche hanno precedentemente reso ostaggio e che ora, per temporeggiare, spacciano per viva alla polizia, ma c’è anche una poliziotta (Federica Fracassi) complice del misfatto che smaniosa di avventura, decide di unirsi al gruppo di latitanti.

Si scatena così una vicenda mozzafiato che riesce a rendere permanente nello spettatore uno stato di agitazione, una suspance continua che crea un attenzione tanto forte da essere turbinosa, dove dialoghi taglienti si alternano a momenti di puro erotismo di cui Jean (Silvia Calderoni), capo del gruppo, è elemento scatenante.

La regia Motus (nome della compagnia) riesce, in questa occasione, ad afferrare il tempo per dominarlo attraverso una partitura scenica completamente coreografata, dove anche il silenzio delle attrici ha un suo ritmo particolare e trova sfogo in uno spazio gestuale molto coinvolgente. Ottima è stata anche la scelta delle musiche-colonna sonora, perfette per confermare l’intimità del luogo, e che ben esprimono l’interiorità violenta e seducente delle Raffiche.

Arrivando al finale, Jean sarà fisicamente costretta dalle compagne ad indossare vesti femminili, o meglio a travestirsi, per fingersi l’ostaggio già morto e mostrarsi al pubblico di poliziotti che attendono una nuovo colpo di scena da parte delle sovversive, fuori dall’edificio, in un esterno che noi spettatori non vediamo ma sentiamo interagire con le rivoltose. Jean muore per un colpo di pistola e come se nulla fosse mai successo il suo corpo rimarrà fuori sul balcone mentre Pierrot (Ondina Quadri), personaggio che si occupava della propaganda dei messaggi rivoluzionari attraverso scritte sul proprio corpo, in grave crisi di astinenza da droghe, perde il controllo premendo, pochi minuti dopo, il grilletto della sua pistola per togliersi la vita, avendo ormai tutte perso l’identità di gruppo.

Uno spettacolo davvero emozionante che ha creato una “turbolenza di emozioni” quasi mai scontate per il teatro dei nostri tempi e che non per nulla ha ottenuto il tutto esaurito dopo pochi giorni dall’apertura del “Festival delle Colline Torinesi”, contesto in cui è stato sapientemente inserito.

 

RAFFICHE di RIVOLUZIONE tra CORPI e PAROLE

I Motus non potevano mancare ad impreziosire – con la loro provocatoria presenza – la rassegna torinese che nella sua XXII edizione li vede coinvolti in qualità di ospiti per la quattordicesima volta. Intervistata da «Repubblica», Daniela Nicolò regista e co-fondatrice di Motus – racconta: «Venire al Festival delle Colline è come tornare in famiglia […] siamo stati presenti praticamente ogni anno con tutti gli spettacoli». Al Festival la compagnia avevo esordito nel 2003 proprio con Spelndid’s, spettacolo nel quale affonda le sue radici Raffiche – riscrittura dell’originale genetiano andata in scena al Petit Hotel di Torino dal 7 al 9 giugno.

L’opera di Genet, scritta nel 1948, ma pubblicata postuma nel 1993 è ambientata in un albergo dove una banda di gangster si ritrova accerchiata dalla polizia per aver preso in ostaggio una ricca ereditiera americana. Dopo il grande successo riscosso nei primi anni duemila, a muovere la compagnia riminese verso un nuovo allestimento di Splendid’s è stata l’esigenza di farne una versione tutta al femminile. Esigenza però ostacolata dall’agenzia che detiene i diritti dell’opera del drammaturgo francese che, imponendo il mantenimento integrale dei testi, non prevede cambiamenti di genere per i personaggi. Regole quasi paradossali, dal momento che tradimento e travestitismo sono nodi tematici ricorrenti nella drammaturgia dello stesso Genet.

Nasce così Raffiche – testo interamente originale, scritto da Magdalena Barile e Luca Scarlini – che si ispira alla stessa situazione narrativa di Splendid’s per sviluppare una riflessione sul superamento delle barriere identitarie e sulle dinamiche del potere. Un’operazione di questo genere non comporta la semplice assegnazione di ruoli originariamente maschili ad un cast di sole donne, ma prevede una scrittura appositamente pensata per la fisicità delle attrici che determina una risemantizzazione dell’intera vicenda.

Le identità dei personaggi genetiani migrano e si sfaldano nel dare vita alle Raffiche, un gruppo di misteriose mutanti che hanno rapito ed ucciso la scienziata di una multinazionale farmaceutica – simbolo dei dettami imposti dal potere capitalistico. Se i componenti di questo gruppo di lotta siano uomini o donne non è dato sapere. Ogni etichetta è qui presentata nella sua arbitrarietà e vacuità. Chiamatele “gender-hackers” o piuttosto “transtreghe”, come la stesso gruppo ama definirsi: streghe trans-moderne al cui cospetto tremano anche gli spettatori quando le vedono arrivare – imbracciate le armi e stereo alla mano – nella hall dell’hotel. È qui che ci si trova caricati sull’ascensore che conduce al luogo del delitto, nonché della rappresentazione teatrale, divenendone direttamente partecipi. Niente a che vedere con le fin troppo usurate velleità metateatrali. Le Raffiche, con passo severo e seducente, coinvolgono l’ignaro spettatore in uno spazio totalmente inedito e liminare in cui – in piena consonanza con la tematica genetiana dell’attraversamento del confine – non si possono più praticare distinzioni tra assediati ed assedianti, leader e gregari, vittime e carnefici.

Attraversamento del confine che non viene dunque declinato nella sola macro-accezione identitaria, ma assume anche i contorni più subdoli e sottili del tradimento. A condividere con le Raffiche la reclusione forzata c’è infatti una poliziotta volontariamente aggregatasi al gruppo del quale sembra inizialmente condividere i principi rivoluzionari, per poi rivelarsi determinante nell’arresto della banda stessa.

Un dispositivo drammatico con queste caratteristiche spinge alle estreme conseguenze la critica delle opposizioni dicotomiche alle quali non si può pretendere di ricondurre la fluidità pulsante del reale.

Non è un caso che i campi su cui le Raffiche giocano la loro battaglia investano tanto i corpi, quanto i comunicati, quindi le parole – quella ferocissima arma in grado di plasmare il reale pur senza contenerlo. E se con rivoluzione si intende il tentativo o per lo meno l’auspicio di trasformare la realtà, ogni slancio sovversivo – anche il più anarchico – dovrà venire a patti con le parole. Linguaggio fisico e linguaggio verbale rivelano così lo stesso carico di eloquenza.

Le parole – fastidiosamente infedeli, disperatamente necessarie – guidano il cambiamento e come tali hanno un forte potenziale politico. Ogni forma di potere, pur nei diversi gradi di legittimazione ed istituzionalizzazione, deve saper fare buon uso della retorica. Così Rafale a Scott:

Tu mi insegni, Scott, la grammatica è un’invenzione capitalistica patriarcale che regola e dispone i corpi del discorso secondo modelli imposti che vanno scardinati. Dobbiamo riappropriarci del discorso, ri-sessualizzare la punteggiatura.

No al punto e alla virgola, sì ai due punti e al punto e virgola. No all’assolutismo dei punti esclamativi, sì all’incognita aperta dalle X e dalle Y. Anche i morfemi di genere vengono sbugiardati in tutta la loro convenzionalità.

Come le Raffiche, che dividono la loro resistenza tra linguaggio del corpo e linguaggio verbale, così la sceneggiatura alterna serrati scambi di battute a momenti strettamente performativi. Il tutto brillantemente condotto da interpreti diverse per età e provenienza, ma accomunate da un carisma fuori dal comune.

Non solo dialoghi dunque, ma anche passi di danza, fatali attrazioni, rombanti colluttazioni, spari e suicidi… fino alla tragica disfatta. Quanto suggerito da Scott prima della resa lascia aperti interessanti spiragli di riflessione. Al machismo imperante di chi per farsi rispettare sa solamente esibire i muscoli, si deve rispondere anche scoprendo le caviglie e mostrando il volto struccato. E se il lusso dell’arrendevolezza – invocato sul finale – fosse la vera rivoluzione?

Cecilia Nicolotti

RAFFICHE

RAFALES | MACHINE (CUNT) FIRE

di Motus

regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

dedicato a Splendid’s di Jean Genet
con Silvia Calderoni (Jean), Ilenia Caleo (Rafale), Sylvia De Fanti (Bravo), Federica Fracassi (il Poliziotto), Ondina Quadri (Pierrot), Alexia Sarantopoulou (Riton), Emanuela Villagrossi (Scott), I-Chen Zuffellato (Bob)
la voce della radio Luca Scarlini e Daniela Nicolò
testi Magdalena Barile e Luca Scarlini

produzione Elisa Bartolucci e Claudia Casalini
distribuzione estera Lisa Gilardino
comunicazione Marta Lovato

produzione Motus
con Ert, Comune di Bologna
in collaborazione con Biennale Teatro, L’arboreto – Teatro Dimora Mondaino, Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza, Teatro Petrella Longiano
con il sostegno di MiBACT, Regione Emilia Romagna