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DULAN LA SPOSA – VALERIO BINASCO

Mentre si alza il sipario del Carignano con Il Crogiuolo riportato in scena da Filippo Dini, inaugura la 27esima edizione del Festival delle Colline, anche il Gobetti dà il via alla stagione. 
Il primo titolo in cartellone è Dulan la sposa, testo di Melania Mazzucco, inizialmente nato per la radio, che arriva sulla scena affidato a Valerio Binasco, nella doppia veste di attore e regista.
Lo ha intervistato per noi Federica Mangano, vi invitiamo a leggere l’intervista qui.

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LE SEDIE. DELL’URGENZA DI DIRSI AMATI

“[…] il discorso amoroso è oggi d’ una estrema solitudine. Questo discorso è forse parlato da migliaia di individui (chi può dirlo?), ma non è sostenuto da nessuno; […]”

Frammenti di un discorso amoroso – Roland Barthes  (Traduzione di Renzo Guidieri)

Per i non patentati è più semplice prendere un treno per Milano e poi una metro che ti apre le porte dell’ascensore a pochi metri dal Teatro Carcano, piuttosto che far partire la questua tra gli appassionati e, nei casi più disperati, estenderla anche ai meno interessati al fatto teatrale, purché guidatori disposti a condurti da Torino alle Fonderie Limone (e in quei giorni organizzativi è tutto un “dai, ma sarà bellissimo… La noia? A teatro? Ma non si è mai sentita… è più facile che un cammello passi da una cruna di un ago che… e poi passa quel maledetto cammello che bisogna cancellare lo sventurato dall’agendina dei possibili accompagnatori per spettacoli futuri).
Dunque Le sedie di Eugene Ionesco con la regia di Valerio Binasco, prodotto dal Teatro Stabile di Torino che ha fatto il suo debutto proprio alle Fonderie Limone di Moncalieri lo abbiamo visto comodamente nella sua tappa meneghina.

 Adesso che si tratta di un ottimo lavoro, possiamo dirlo con cognizione di causa e anzi, vi invitiamo a rincorrerlo nelle prossime tappe: il 5 aprile all’Ermanno Fabbri di Vignola, poi dal 7 al 10 aprile allo Storchi di Modena, e infine, dal 28 aprile al 1 maggio al Dante Alighieri di Ravenna. A cuor leggero potrete portarvi i vostri amici non habitué: non si annoieranno! 

Ph. Luigi De Palma


All’ingresso in sala il sipario è aperto. Ci accoglie la scena post-apocalittica dell’acclamato premio Ubu Nicolas Bovery: le rovine un palazzo, forse reduce di un bombardamento (?) (difficile non pensare alla guerra, così presente in questi giorni), in cui si sente il peso degli anni, dei secoli. Sul lato destro del palco una catasta di sedie, a sinistra sulla parete di fondo una finestra che si illuminerà durante lo spettacolo, ricordando i quadri di Mark Rothko.

Ph. Luigi De Palma

Il testo l’abbiamo letto in treno. La trama è presto detta.
Due coniugi, anzianissimi, si sono amati per tutta la vita (una vita piena anche di macerie, occasioni mancate, lutti) preparano la casa per ospitare tutte le autorità. Il vecchio infatti ha un messaggio sul senso ultimo dell’esistere che ha consegnato ad un oratore che lo dovrà dire in pubblico, l’oratore però è sordomuto. Debutta nel 1952: lo stesso anno di Aspettando Godot; ma se Beckett ci ingabbia in una realtà autistica in cui perfino l’incontro con l’alterità è negato, Ionesco pur nell’urlo della vacuità del senso, lascia spazio per l’altro. Ed  proprio sulla relazione amorosa che insiste la regia di Binasco, che come al solito è un amante del testo molto fedele, ma sempre amante, mai marito! La sua è infatti una regia che viaggia sui binari di Ionesco, ma che non teme autorialità nella scrittura scenica.
Questi due clown-clochard molto felliniani (vestiti molto sapientemente da Alessio Rosati) mentre preparano la casa per questa conferenza, e poi arrivano le immaginarie autorità, mentre aspettano l’oratore, si amano, danno testimonianza del loro amore, così logoro, lercio eppure ancora in vita, nutrito dalla fantasia e dal potere del racconto: un racconto di routine, che si dicono e ridicono da anni, ma che suona sempre nuovo agli orecchi degli amanti. 

[…] È una musica troppo vecchia ormai… Parliamo d’altro…
Gioia mia, io non me ne stanco mai… È la tua vita, e mi appassiona. 
La conosci a menadito.
Per me è come se dimenticassi sempre tutto… Ho lo spirito nuovo tutte le sere… Ma si, vedi, lo faccio apposta, prendo delle purghe… ridivento nuova per te, mio tesoro, tutte le sere… 

Tutto è ben saldo in questo lavoro e la recitazione di Michele di Mauro e Federica Fracassi è tutta agita per sottrazione, lirica e tenera, attenta a tenere in vita quel gioco fragilissimo che è il teatro (cos’altro è ? se non un “facciamo finta che…” giocato molto seriamente). Si fa fatica a trattenere qualche lacrima. E se tutti ci aspettiamo l’oratore, questo non arriva nell’edizione di Binasco, ma una luce lo cerca tra il pubblico. 

Quando il mondo va rotoli, sta per finire, non resta che farsi testimoni e narratori (sordomuti) dell’amore, di quel discorso amoroso, sempre incomprensibile, ma sempre attuale, urgente. Urgentissimo. 

Detto questo, possiamo anche fare il salto nel vuoto. 

Buio.

di Eugène Ionesco
traduzione Gian Renzo Morteo
con Federica Fracassi e Michele Di Mauro
regia Valerio Binasco
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Alessio Rosati
musiche Paolo Spaccamonti
assistente regia Giordana Faggiano
assistente scene Nathalie Deana 


Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

Giuseppe Rabita