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“CHARLIE SONATA” di Douglas Maxwell

Con il festival di nuova drammaturgia IL MONDO E’ BEN FATTO, dal 17 al 21 ottobre, un progetto di Fertili Terreni (Tedacà, il Mulino di Amleto, Acti-Teatri Indipendenti e Cubo Teatro), abbiamo avuto per la prima volta in Italia la lettura scenica di Charlie Sonata di Douglas Maxwell, giovedì 18 ottobre e domenica 21 ottobre, da parte dalla compagnia dei Demoni. La Compagnia nasce nel 2006 dall’unione di attori diplomati alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. Dalla sua fondazione, in dieci anni la compagnia ha prodotto 11 spettacoli e toccato più di 60 città. La compagnia ha sede a Genova, dove è nata ma ha iniziato una stretta collaborazione con Tedacà di Torino.

Domenica c’era Douglas Maxwell stesso a presentare il suo scritto, una presenza preziosa che ha permesso di vedere l’intreccio tra la vita dell’autore e la sua creazione. “Bere vino e scrivere è ciò che mi rende umano” dice il drammaturgo scozzese, raccontando quanto abbia fatto fatica ad emergere e come abbia dovuto fare tanti lavori diversi per sopravvivere non riuscendo mai a smettere di scrivere. Scrivere definisce ciò che l’autore stesso è e, trasformare le persone in eroi è ciò che lui sa fare.

Charlie Sonata, andato in scena per la prima volta dal 29 aprile al 13 maggio al Royal Lyceum di Edimburgo, è dedicato dallo scrittore al suo amico Bob, alcolista e drogato, con l’intento di fare di lui l’eroe del suo testo, di dare a Bob la rivalsa che in vita non è riuscito ad avere. Chip o Charlie Sonata incarna Bob, una persona di straordinaria bellezza interiore, forse troppo sensibile per un mondo spietato che spinge a muoversi eccessivamente in fretta, senza lasciare il tempo di trovare il proprio ritmo; Chip il suo ritmo non lo ha trovato ed è rimasto intrappolato nel passato rifugiandosi nell’alcol. ”Il viaggio nel tempo non accetta compromessi” questa frase ricorrente nel testo mette bene in luce il tema della difficoltà ad adattarsi. Il tempo è come un mazzo di carte con più regine di cuori in cui la stessa epoca si ripropone più e più volte e così gli eventi più bizzarri della vita continuano a ritornare con impercettibili variazioni. Il passato ti segna e sembra non esserci possibilità di riscatto: Chip è perseguitato da un passato ce ha il volto di un padre che lo ha sempre rifiutato, della donna amata che lo ha derubato e ferito, dell’amico Greg che non lo ha invitato al suo matrimonio. L’alcol è l’unico rimedio a questa sofferenza, un veleno che brucia, fa male ma anestetizza.

Chip diventa eroe nella misura in cui vuole salvare Drew, la figlia di Greg e Kate, in coma per un incidente; è disposto a fare qualunque cosa per salvare la sua vita. Lui non ha paura di morire, non ha niente da perdere. Chip in ospedale è avvicinato da Meredith, sorella del medico che oscilla tra maniacalità e depressione, una donna sulla cinquantina con il trucco sbavato sugli occhi e un tutù da ballerina rosa, due ali nere, elementi che la rendono quasi surreale, un che di fantastico e grottesco allo stesso tempo. Drew è la bella addormentata che va risvegliata, vanno eliminati i rovi: questa è la missione che renderà eroe lui e farà raggiungere “l’apoteosi dai rottami” a lei.

La vicenda si svolge a Glasgow ma l’ambientazione vera è la testa di Chip, in cui presente e passato si mischiano; l’abilità della drammaturgia di D. Maxwell è proprio quello di coinvolgere lo spettatore a fondo nella testa del protagonista facendo vedere allo spettatore quello che Chip vede e vivere la sua stessa confusione. Tutti i personaggi sono incredibilmente umani seppure nello scenario di una fiaba. Realtà e fantasia si mischiano in un testo brillante che fa ridere e piangere, sognare e riflettere. La compagnia dei Demoni è riuscita a rendere autenticamente questo effetto con una lettura scenica molto ben fatta che passa con il giusto coinvolgimento emotivo il messaggio dell’autore.

FDCT23-VIENI SU MARTE/VICOQUARTOMAZZINI

 

VicoQuartoMazzini/ Vieni su Marte   

andato in scena il 6 Giugno alla Casa del Teatro

Uno spettacolo di VicoQuartoMazzi                  
regia Michele Altamura e Gabriele Paolocà

interpretato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà
drammaturgia Gabriele Paolocà
scene Alessandro Ratti
costumi Lilian Indraccolo
produzione VicoQuartoMazzini, Gli Scarti

con il sostegno di Officina Teatro, Kilowatt Festival, Asini Bardasci, 20Chiavi Teatro

con il sostegno del MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”

 

VicoQuartoMazzini è una compagnia di teatro indipendente formata da Michele Altamura e Gabriele Paolocà. Ultimamente ha portato avanti un personale progetto di rivisitazione dei classici e tra i lavori più recenti ricordiamo Karamazov (2017) e Little Europa(2016) dal Piccolo Eyolf di Ibsen. Questa volta la giovane compagnia porta al Festival delle Colline Torinesi, in una prima nazionale, la storia di una iperbolica e folle spedizione del genere umano su Marte. Il tutto liberamente ispirato a Cronache Marziane di Ray Bradbury.

Nel 2012  parte un progetto, dal nome Mars One, che intende installare una colonia permanete sul pianeta rosso; arriva un numero esorbitante di candidature: 202.560. Non basta più spostarsi in una città dall’altra parte del mondo ma l’uomo moderno sembra avere bisogno di un pianeta nuovo. Che cosa cerchiamo? Cosa stiamo inseguendo che non troviamo qui ma proiettiamo in un altro pianeta? Da cosa vogliamo scappare? Lo spettacolo, dalla durata di settanta minuti, cerca appunto di indagare quali siano i desideri e le motivazioni di queste persone pronte a lasciare tutto e ricominciare da zero. Questo viene reso alternando a scene teatrali proiezioni video, tra cui spezzoni delle candidature inviate per il progetto. I candidati spiegano le loro motivazioni a muoversi sul pianeta rosso e il piano che hanno in mente di sviluppare; emerge molto forte l’urgenza di avere uno spazio nuovo in cui potere trovare la propria identità da capo, uno spazio che li accolga, uno spazio dove non ci siano guerre, non ci sia corruzione e si possa, invece, essere felici. Vieni su Marte, infatti, parte proprio da questa riflessione, per poi aprire numerose finestre tematiche che riguardano l’umanità a tutto tondo, correndo il rischio, forse, di non riuscire ad approfondirle tutte nello stesso modo.

L’emigrazione viene trattata, innanzitutto, facendo rifermento al fenomeno dell’emigrazione italiana interna degli anni ’50 e ’60: gli attori parlano dialetti di varie località italiane durante tutta la durata dello spettacolo. C’è chi è costretto a spostarsi per motivi di lavoro oppure in cerca di fortuna perché non trova il proprio spazio nel mondo, come il clochard che vorrebbe fare l’attore. L’idea è molto interessante anche se non è così chiara la relazione dell’uso continuato del dialetto con tutte le tematiche trattate. L’emigrazione viene sviluppata, infatti, anche richiamando la colonizzazione europea degli indiani d’America; emigrazione come imposizione da parte degli occidentali dei propri usi e costumi che si presume siano più evoluti  e migliori rispetto agli usi “incivili” delle popolazioni indigene. Qui gli indigeni  sono i Marziani; non c’è neanche il tentativo di conoscerli ma da subito l’uomo si impone; vuole costruire un’altra “Terra” su Marte, il che collide con il desiderio di cambiamento e novità alla base dell’intera spedizione sul pianeta rosso. Sembra prevalere la paura. E’ inconcepibile la presenza di qualcuno che non sia come noi, Il Marziano va umanizzato ad ogni costo. Questo è reso possibile immaginando di sottoporre il marziano ad un percorso psicoanalitico in cui ovviamente l’analista è umano. La figura dell’analista, purtroppo poco credibile come tale perché troppo aggressivo e incalzante, si sforza di fare emergere i traumi inconsci, in realtà inesistenti, del paziente. Il povero marziano vive ignaro di ogni paura e inquietudine dipingendo stelle prima dello sbarco degli umani.

La scena finale, molto d’effetto, rappresenta il Marziano finalmente UMANIZZATO dopo un lungo tempo di lavaggio del cervello; piange sconsolato sulle ginocchia dell’analista che è fiero del proprio paziente. Vieni su Marte ha sicuramente il merito di portare in scena l’umano con le sue paure e contraddizioni grazie e una drammaturgia molto varia.

Carola Fasana