IPERBOSCO – COLLETTIVO CIFRA DANZATEATRO

Qual è l’etimologia della parola “natura”? Cosa significa natura? In quale modo essa riguarda i rapporti umani interiori ed esteriori?

Lo spettacolo Iperbosco del Collettivo CIFRA Danzateatro indaga queste questioni mediante un percorso composto da danze, poesie e azioni disseminate durante la passeggiata attiva dello spettatore. A spettacolo concluso non si troveranno risposte, ma un nuovo sguardo, un nuovo modo di riflettere su ciò che ci circonda, ciò che siamo e il nostro modo di relazionarci e creare rapporti.

Accolti all’interno della Corte del Parco P.a.v., assistiamo alle prima azione di tre performers che instaurano una connessione con il pubblico e l’ambiente, lanciando dei sassi contro delle mura. I movimenti sono inizialmente ritmici e calibrati, fino a quando divengono gesti liberi e liberatori, sostenuti da un improvviso canto proveniente da altri due performers collocati sulla parte alta della struttura. Le sonorità richiedono all’occhio una maggiore attenzione: si viene avvolti da un’atmosfera quasi rituale, nella quale si dissolve il ruolo del pubblico e si diventa curiosi dell’accadere, pronti, attraverso questi “titoli di testa”, ad andare incontro al cammino.

La prima tappa del tragitto è la serra, dove i performers creano dei quadri viventi: mutano con lentezza per darci modo di cogliere l’attimo e instaurano contatti con la natura presente. Ci sembra di assistere a composizioni di stampo e filosofia magrittiana (la riflessione sulle problematiche del vedere e alla percezione del nostro mondo) fino a quando non veniamo stimolati ad interagire e abitare il quadro; diveniamo parte di una relazione che non interessa solo noi esseri umani, siamo in pace con l’ambiente e con chi vive l’esperienza.

Questo passaggio aiuta il pubblico a sostenere la camminata successiva ad occhi chiusi: l’azione performatica non riguarda più gli artisti ma lo spettatore. Avviene un patto di fiducia, una interconnessione fra corpi e un’attenzione a percepire in maniera più ampia i nostri sensi.

Raggiungiamo così l’installazione La Folie du Pav di Emmanuel Louisgrand. È qui che per la prima volta abbiamo la prima interazione vocale da parte dei performers: si origina la prima narrazione con la domanda ripetuta, “Qual è la tua natura?”. Viene chiesto a chi partecipa, a chi è partecipante e a chi non lo è. È un racconto che si genera all’interno delle persone, si crea uno sbilanciamento interiore, iniziamo a porci domande sull’esistenza e veniamo portati “irrequieti” all’interno del Labirintico Antropocene di Piero Gilardi. Il perimetro del labirinto si trasforma in una casa, una relazione di abitudini quotidiane con l’ambiente naturale: c’è la coppia che si muove all’interno e discute; una performer che, in un vicolo cieco che ricorda un bagno, si lava il volto e le braccia con della farina di mais; chi stende delle foglie e, per ultimo, chi canta una canzone bevendo da una tazza da tè vuota.

Affrontiamo così un viaggio in luoghi del nostro quotidiano, indubbiamente vissuti in maniera diversa, fino a percorrere, uscendo dal labirinto, la fase dell’infanzia. Qui inizia la lettura della poesia Geografia dell’infanzia (libro Azul di Serena Gatti): è un attimo fuggente, un invito a uscire dalla casa e vedere nuove prospettive; un insegnamento che dovrebbe essere consegnato ai bambini in età scolastica ma che qui si ha l’esigenza di riferire agli adulti.

Ci incamminiamo verso la zona del parco giochi. I performer, già arrivati, iniziano a ballare sulla canzone Com’è bella la città di Giorgio Gaber. È un momento di apparente spensieratezza, eppure le azioni, la mimica e i gesti degli artisti ci fanno intuire una conflittualità, qualcosa di cupo che viviamo nel contrasto tra città e natura. È proprio nel momento in cui ci viene presentata questa conflittualità che percorriamo il tragitto per andare verso il Trèfle Dominique di Gonzalez-Foerster. È il momento in cui ci viene dato un consiglio mediante un percorso individuale in due gruppi, divisi per le due strade della circonferenza; un incontro, un osservarsi, perché solo mediante un’unione riusciamo a fare la differenza. Una tappa che termina con dei bigliettini in dono (“giovani piante”; “farci testimoni”) a confermare quanto sia importante oggi la collettività .

Infine, il percorso si conclude con una danza, armonica ma con qualche nota di contrasto. Un ballo anticipato da un breve monologo che ci parla di quanto sia difficile comprendere noi stessi e il resto, perché tutto è molto intrecciato e quindi bisogna metterci in dubbio, in dialogo. Una danza, un viaggio, che nonostante ponga dei quesiti esistenziali ci rimanda a La danza di Matisse, sottolineando l’ode alla vita e alla gioia.

Chiara Jadore Cacciari

Un progetto di: Collettivo Cifra danzateatro
Interpreti: Martina Auddino, Camilla Cicciotti, Cristina Da Ponte, Alessandra Fumai, Riccardo Maffiotti, Caterina Montanari, Michele Noce, Marzia Raballo, Luca Sansoè

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