“STRANI OGGI” COME IERI

La ricerca della felicità è un diritto. E non ci sono gabbie, confini, o oceani che possano fermare il desiderio di vivere la propria vita.”

Dopo il debutto un anno fa al Teatro Gobetti e una tournée di successo, Strani Oggi torna a casa, al Teatro BellARTE di Torino.

Partendo da cinquanta interviste a italiani che vivono all’estero e a stranieri che cercano di costruirsi un futuro in Italia, la compagnia Tedacà porta in scena le storie di Miriam, Joseph, Nicola, Sofia e Giacomo, cinque giovani che si sono dovuti scontrare con la parola “crisi”. Tutto ruota intorno alle loro aspettative e ai loro sogni, ma anche ai loro timori. Quanto è difficile abbandonare le certezze, le abitudini, la famiglia, per inseguire qualcosa che non sai nemmeno dove cercare? Lasciare il tuo paese per fare fortuna, senza la certezza di trovarla. Ma ormai sei arrivato a pensare che dovunque è meglio di qui.

Gli attori sono già in scena mentre il pubblico prende posto. Di spalle, seduti su delle sedie colorate, che fanno parte dei pochi oggetti di scena. Poi le luci si spengono, il silenzio scende, e le storie accadono.

Lo spettacolo si apre col monologo conclusivo di Strani Ieri, portato in scena dalla compagnia nel 2011. Si comincia quindi con le storie dei padri, spesso emigrati dal Sud Italia, che hanno investito sui loro figli forze e speranze di possibilità migliori delle loro. E questo non può che rendere ancora più difficile per i protagonisti la scelta di partire, consapevoli di voler andare altrove per non fare il lavoro dei loro genitori.

Ma più si avanza, più le storie personali diventano fonti per riflessioni universali. Perché qualcuno può viaggiare in cerca di opportunità e qualcun altro no? E così lo sguardo si allarga e noi possiamo vedere la figura del migrante in tutte le sue sfumature.

Ciò che più rapisce però è il contesto in cui queste storie si svolgono. Pochissima scenografia, ben studiata e utile allo scopo. Una miriade di colori. E tanta, tanta musica, dalla classica alla dance. Una musica che porta con sé movimento, a volte molto dinamico ma sempre magistralmente controllato. La quarta parete viene quasi del tutto abbattuta; perché i personaggi parlano a noi per parlare di noi.

La dimensione reale e quella immaginaria si mescolano; passato e presente, ricordi e speranze si uniscono nel qui e ora.

Un torrente inarrestabile di parole e di voci interrotte solo per dare spazio alle note musicali, o a silenzi che parlano ancora più forte. La struttura delle battute in alcuni momenti lascia ampi margini di improvvisazione, che rendono lo spettacolo sempre diverso, ma che sono sempre riportati negli argini di quel torrente impetuoso. I cinque attori si muovono e si incastrano in questo caos perfettamente organizzato.

Una parola per descriverlo: sorprendente. Ogni momento ha qualcosa di nuovo e di assolutamente inaspettato. La componente ironica è molto forte, ma quando necessario è capace di lasciare spazio a momenti di riflessione profondi e forti che inchiodano lo spettatore alla sedia. Un po’ come si sentono i protagonisti. Inchiodati. Perché ormai nel loro paese hanno messo radici, e le radici sono importanti. Ma come dice Giacomo: “Noi non abbiamo le radici. Abbiamo le gambe”.

Ideazione e drammaturgia: Simone Schinocca, Livio Taddeo
Con: Valentina Aicardi, Francesca Cassottana, Andrea Fazzari, Federico Giani, Mauro Parrinello

Regia: Simone Schinocca
Assistente alla regia: Claudia Cotza
Scene: Sara Brigatti
Costumi: Agostino Porchietto
Musiche e arrangiamenti: Maurizio Lobina e Giorgio Mirto

Produzione Tedacà

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